ripetizione liturgica e coazione a ripetere sono differenti

Posted By claudiobadii on Ott 3, 2013 | 1 comment


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Elias Canetti

“Le Voci Di Marrakech” di Elias Canetti

Le grida dei ciechi

Tento di raccontare qualcosa, ma subito ammutolisco e mi accorgo di non aver detto ancora niente. Una sostanza meravigliosamente lucente che non riesce a fluire rimane dentro di me e si fa beffe delle parole. Sarà per la lingua, che là non capivo, e che ora poco a poco deve tradursi in me. Si trattò di avvenimenti immagini suoni il cui senso si formò allora ma che non furono percepiti né definiti per mezzo delle parole. Stanno al di là delle parole. E sono più profondi e più ambigui delle parole. Io sogno un uomo che disimpari a tal punto le lingue della terra da non comprendere più, in nessun paese, ciò che dice la gente. Che c’è nella lingua, che cosa nasconde, che cosa sottrae. Durante le settimane che ho trascorso in Marocco, non ho tentato di imparare né l’Arabo né alcuna delle Lingue Berbere. Non volevo perdere nulla della forza di quelle strane grida. Volevo essere colpito da quei suoni per ciò che essi erano. E non volevo che nulla fosse attenuato da condizioni inadeguate e artificiose. Sul paese non avevo letto niente, i suoi costumi mi erano estranei, come la sua gente. A ciascuno capita di imparare, nel corso della propia vita qualcosa su tutti i paesi e su tutti i popoli. Ma quel poco lo smarrìi nelle prime ore. Mi rimase tuttavia la parola “ALLAH ”. Non potevo evitarla. Mi veniva concessa per una parte della mia esperienza. La più frequente, la più penetrante e la più persistente. L’esperienza coi ciechi.Quando si viaggia si prende tutto come viene. Lo sdegno rimane a casa. Si osserva, si ascolta, ci si entusiasma per le cose più atroci, solo perché sono nuove: i buoni viaggiatori sono gente senza cuore. Quando l’anno scorso dopo quindici anni di assenza mi accostai a Vienna, passai da Blindenmath, paese del quale in passato non avevo mai sospettato l’esistenza. Quel nome mi colpì come una frusta e da allora non mi ha più abbandonato. Quest’anno, quando giunsi a Marrakech mi trovai di colpo fra i ciechi, centinaia, un numero incalcolabile di ciechi, per lo più mendicanti, in gruppi a volte di otto, a volte di dieci. Stavano in fila a un mercato, pigiandosi l’un l’altro e recitavano una roca litania, eternamente ripetuta che veniva da molto lontano. Mi misi davanti a loro, immobile come loro, non fui mai del tutto certo che avvertissero la mia presenza. Ciascuno di quei ciechi tendeva davanti a sé una ciotola di legno per l’elemosina, e quando un passante gettava qualcosa in una di queste ciotole, la moneta offerta passava di mano in mano, tutti la tastavano, tutti la saggiavano, finché uno (questo era il suo compito) la metteva finalmente in tasca. Tastavano insieme, così come insieme mormoravano e gridavano. Tutti i ciechi offrono a chi passa il nome di dio e ogni persona, dando loro l’elemosina, può acquistare qualche diritto presso di lui. Iniziano con dio, terminano con dio, ripetono il suo nome diecimila volte al giorno. Tutte le loro grida contengono il suo nome in forme mutevoli, ma il grido, una volta stabilito, rimane sempre lo stesso: sono arabeschi acustici intorno a dio, mille volte più impressionanti di quelli visivi. Alcuni confidano soltanto nel suo nome e non gridano altro: c’è in questo una tremenda ostinazione. Dio mi si presentò come un muro al quale i ciechi davano l’assalto sempre nello stesso punto. Sono convinto che i mendicanti si tengono in vita più con le loro formule che con l’elemosina. Colui che grida è definito dal suo grido, continuamente ripetuto. Ce lo imprimiamo nella mente, lo conosciamo, ora egli è qui per sempre, è lui, nella sua caratteristica nettamente circoscritta, il suo grido. Non verremo a sapere nient’altro di lui, egli si protegge, il grido è anche il suo confine. In questo luogo preciso egli è ciò che grida, esattamente questo, niente di più, niente di meno: un mendicante, cieco. Ma un grido è anche una moltiplicazione. Il suo ripetersi rapido e regolare fa di quell’uomo un gruppo, c’è nel suo chiedere un’energia speciale, egli chiede per molti e intasca per tutti. ‘Pensa ai mendicanti, a tutti i mendicanti, dio ti benedica per tutti i mendicanti ai quali fai l’elemosina!’ Si dice che i poveri arriveranno in paradiso cinquecento anni prima dei ricchi. Con le elemosine si acquista dai poveri un pezzo di paradiso. Quando uno è morto lo si segue a piedi, con o senza prefiche gorgheggianti, molto velocemente fino alla tomba, perché il morto raggiunga presto la beatitudine. I ciechi cantano la professione di fede. Da quando sono tornato dal Marocco ho provato a sedermi in un angolo della mia stanza, gli occhi chiusi, le gambe incrociate, e ho tentato di dire per mezz’ora, alla velocità giusta e con la giusta intensità “Allah… Allah… Allah…” Tentavo di immaginare che avrei continuato a dirlo così per tutto il giorno e per una buona parte della notte. Che dopo un breve sonno avrei ricominciato, che avrei proseguito per gironi settimane mesi anni, che sarei diventato vecchio, sempre più vecchio vivendo in questo modo e che a questo tipo di vita sarei rimasto tenacemente fedele, che sarei diventato furioso se qualcosa me la avesse turbata, che non avrei voluto nient’altro, che avrei perseverato fino in fondo. Ho capito quanto sia allettante questa vita che tutto riduce alla ripetizione, nella sua forma più semplice. Era poi molto più varia l’attività degli artigiani che vedevo al lavoro nei loro piccoli stanzini? e le trattative dei mercanti? e i passi dei ballerini? e le innumerevoli tazze di tè alla menta che qui tutti gli ospiti prendono? quanta varietà c’é nel denaro? e nella fame? Ho capito cosa sono davvero questi mendicanti ciechi: sono i santi della ripetizione. Dalla loro vita essi hanno eliminato la maggior parte delle cose che per noi ancora si sottraggono alla ripetizione. C’è il luogo dove si accoccolano, oppure stanno in piedi. C’è il grido che non muta, c’é il numero limitato di monete in cui possono sperare, tre o quattro pezzi diversi. Certo, ci sono anche i donatori, che sono diversi tra loro, ma i ciechi non li vedono, e nella loro formula di ringraziamento fanno si che anche i donatori diventino tutti uguali.”

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  1. Nel numero 6 2013 di MicroMega sono pubblicate 40 pagine inedite di Camus

    “I testi inediti affrontano temi diversi e sono riconducibili a diverse epoche storiche e a differenti fasi dello sviluppo del pensiero di Camus. Eppure a ben guardare, un filo rosso li unisce, la proposta di una filosofia autentica e radicale, mai neutrale, sempre appoggiata sulla ricerca della veridicità del linguaggio e sul rifiuto della menzogna. Ovvero, di quell’ideale filosofico e umano che lo stesso autore ebbe modo di definire solitaire, solidaire.”

    .. esprimersi in modo non veritiero significa “accrescere il dolore del mondo” diceva Camus in compagnia di amici stimati Ponge, Parain, Char..

    In una lettera a Francis Ponge su Il partito preso delle cose Camus scrive “.. Prima di risponderle, mi sono preso il tempo di rileggere attentamente Il partito preso delle cose, così come le sue note, e di leggere Le Bois de pins.. l’ho fatto non senza emozione poichè, ha ragione, ritrovo in lei cristallizzato su un punto preciso e con una costanza che io non posso rivendicare, una preoccupazione per me essenziale… è la sua stessa padronanza a rendere convincente la sua ammissione di fallimento. Intendo dire i romantici non mi persuadono – e soprattutto non mi commuovono -quando mi parlano di sentimenti o situazioni ineffabili, indicibili, infiniti.
    Questi prefissi privativi sono soltanto segni della loro personale indigenza. Mi dicono che il tale sentimento è indicibile, ma non me lo fanno sentire..Al contrario quando uno scrittore fa prova di un’ammirevole padronanza espressiva , è allora che la sua ammissione di fallimento ci insegna qualcosa. Non sono l’impotenza a parlare o la balbuzie che mi convinceranno del mutismo cui siamo condannati., sono le riuscite relative del linguaggio di cui lei parla.

    Quando si è terminato Il partito preso, si è acconsentito al relativo, ma attraverso mezzi superiori… come Kafka fa acconsentire al fantastico con il naturale, Melville al simbolo con il quotidiano, lei fa accettare il mutismo grazie a una sontuosa scienza del linguaggio.. ” ..

    In un testo del 1965 che accompagnerà La Posterité du soleil Char scrivrà a proposito della prima visita di Camus in Provenza – finito il pasto, partimmo per l’Isle.. capii dall’espressione degli occhi di Camus, dall’esuberanza che li illuminò, che entrava in contatto con una terra e degli esseri dai soli gemelli che prolungavano, con più vegetazione, colori e umidità, la terra d’Algeria cui era tanto legato- ecco..

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