23 agosto 2014


23.agosto.2014


Posted By on Ago 22, 2014

"ULTIMA NATA"

“L’ULTIMA NATA CHE HA QUASI DUE ANNI”

Certe volte il figlio ritorna per unirsi alla madre: allora il padre è fratello dei propri figli. La madre è l’amante dei due lati del tempo, amante bifronte. Il figlio che torna a far l’amore con la madre la rende donna. È questa la possibilità che i greci avessero capito il tempo einsteiniano e più ancora la ipotesi quantistica. La tragedia è che l’intuizione viene condannata. Giocasta si uccide. Edipo si acceca. Antigone lo rende di nuovo padre (vecchio, cieco). Ma resta addosso il lampo di un’idea, che diffusa nella trama spazio-temporale ci sia davvero la concezione di una nascita nella quale il pensiero umano riesca a perdere l’illusione della simultaneità a favore di una coesistenza (non simultanea) di condizioni opposte della natura fisica della realtà materiale. La coesistenza di fatto implica la caduta, l’inutilità della dialettica dello ‘svolgimento’ di una diplomazia delinquenziale e compromissoria. La mente perde la pretesa della ragione di escludere quanto è definito impossibile essendo solo impensabile (….improbabile). È la condizione del rifiuto differente dalla negazione. Il rifiuto è quantistico, la rivoluzione sempre possibile. La negazione resta nella dialettica storica. Sempre attiva ad impedire la nascita e lo sviluppo dell’altro da sé.

Siamo lingue di cammello assetato sui monti pietrosi, divisi come capelli da colpi di pettine, in dorsali ben separate. Cammelli sulle montagne dei continenti o sulle cime di scarsa altitudine di ogni piccola isola. Mi separo. Dico che nella pre-storia non ci sono prima e poi. Consecutivo non vuol dire conseguente: il prima non è causa. Edipo a Colono dice: “non ho colpa ero strumento del fato”. Non esiste la parola ‘volontà’ in Grecia fino al quarto secolo avanti cristo. Edipo Re è dunque sempre Edipo a Colono. Egli non sa mai volere in senso intenzionale. Se davvero siamo interessati bisognerà comprendere il ‘senza volere’ di azioni agite che determinano cose che causano un dolore tragico ma stuporoso. Un dolore stupido, una ‘nozione’ del dolore senza emozione del dolore.

L’uomo prima della propria storia ha una mente bicamerale. Non racconta e non vuole. Non ci sono padre e figlio. Non ci sono successione, colpa, principio di causa. Crono, Laio, Edipo non ci sono. La mente bicamerale consentirebbe in ogni caso la coesistenza distratta di termini antitetici, come quelli che i tre personaggi rappresentano alla nostra mente. I paradossi sono parapioggia. Gli atti involontari legano e slegano il dopo e il prima su una colonna verticale semovente. Il pensiero è privo di rancore. I sospetti, qualsiasi sospetto, non sono ritenuti legittimi. Il moto è un contenuto di tutti i significati. I comportamenti d’arte e lavoro sono blocchi alternanti. Il tempo è dissipazione termodinamica irreversibile. Ma irreversibile vuol solo dire che è assai improbabile che una cosa fredda possa dare calore ad una cosa calda. Non vuol dire che non ci sia alcuna probabilità che questo non succederà mai. Così Edipo è uno scienziato pazzo e visionario che cura la peste risolvendo enigmi. Ma la soluzione è incompleta, perché esclude la natura probabilistica della propria certezza, che potrebbe esserci una soluzione differente, che deve essere presa sempre in considerazione nel mondo fisico. La soluzione della peste che si vuole per Edipo è fuori dal mondo, una fantasticheria: assoluto spirituale. Così Edipo è mito ma soprattutto un’entità di senso metafisico, che vuol dire non fisico ed è per questa sua natura che egli resta, per tutto il tempo della sua vita, ininfluente sulla propria vicenda: un vecchio figlio deposto, un indiano nella riserva dei disperati amatissimi.

Non dalla nascita comincia la sua vita ma dalla sua deposizione a terra, perché muoia. Meglio: la sua vita come essere umano viene posposta alle necessità storiche e narrative del potere delle successioni e delle podestà. Così è posto nella foresta da un pastore e resterà per sempre ‘esposto’, il nato per uccidere il padre. Il non legittimamente nato, perché chi nasce si oppone al tempo che mangia i suoi figli, perché il tempo dei figli invecchia e rende inutili i padri. E di quel tempo i padri non potranno liberarsi. Edipo è l’uomo filosofico, è esso stesso il tempo. Ma quel tempo era ancora, allora, una ‘cosa’ che il mito non consentiva potesse essere alterato. Per questo i grecisti dissero bene che Freud aveva sbagliato, che il problema di Edipo non era la sua nevrosi di uccidere il padre per impossessarsi del corpo della madre. Il problema di Edipo è la nascita, essi dicono. Infatti Edipo è privato della nascita, non del rango. Resta privato della nascita per tutta la vita. A Colono, nel rivendicare l’azione del fato, forse si riavvicina alla propria origine, ma confusamente. Così resta che la tragedia greca ( cioè la tragedia dell’uomo ‘moderno’ ) sta nel fatto che il tempo contiene quello che accade ma non deve entrare a far parte degli avvenimenti che contiene. Edipo così ideato è tempo in idea di corpo inerte, senza conseguenza e volontà, soma, che esprime lo spazio della propria massa biologica che sta, a sua volta paradossalmente, dentro un ‘altro’ tempo, un tempo strano, che non si può toccare. (I greci antichi erano newtoniani assai prima di Newton.)

È tragico, in quel senso, perché davvero allora il padre è sostanzialmente il figlio. E Edipo non può che essere Laio, da subito. Edipo può ‘sapere’ d’essere figlio di re ma non può sapere d’esser nato, perché egli è subito anche il proprio padre. Non ha l’infanzia, dunque non ha il primo anno, non è, e non sarà mai bambino. Laio che vuole uccidere Edipo è già Edipo che lo ucciderà. Laio e Edipo sono, d’altra parte senza soluzione di continuità, essi stessi anche Crono: sono tutti e tre il tempo. Non c’è sviluppo nella mitografia. Perché non c’è infanzia. La auspicabile pederastia cui i giovanissimi ateniesi venivano consegnati forse lascia sospettare che poco contasse la conoscenza del mondo infantile.

La teorsi analitica ortodossa lascia insoluto il problema della volontà che si porta la colpa e la legge della condanna, il senso di colpa eterno che dovrebbe saper curare….. e lascia esclusa la possibilità della trasformazione. Perché nell’identificazione c’è la coazione e la sovrapposizione, il tempo non cambia e non partecipa delle novità. Psicanalisi dell’inconscio mitopoietico è un mondo senza nascite, seppure affollato di fili intricati, di catene di cause ed effetti descritte come logica. Le storie che lo compongono fanno una trama informe di consequenzialità disamorate. In questo mondo greco razionalissimo, composto di attimi di successioni unigenere di padri e figli, la donna è esclusa. Fu esclusa al crollo della mente bicamerale con l’insorgere della coscienza, quando il padre e il figlio non poterono essere mai più l’uomo. Ma la madre, esclusa da quel tipo di tempo/storia, a volte impazzisce, e diventa amante e omicida ogni volta che impazzisce. L’amante è bifronte. Un volume temporale.

Il tempo cronologico è di Crono Laio ed Edipo. È frontale e incede. Va avanti senza capire. Non può distrarsi. La realtà che vede è quanto resta al di qua dei divieti. Il crollo della mente bicamerale fa la coscienza, lo schema del tempo come consecutività conseguenti. Ma non tutto viene perduto. C’è e resta, a promettere vicende ancora ignote, l’altro tempo, il tempo/spazio delle radure dove si incrociano pastori. Il tempo/spazio degli incroci di padri e figli. Il tempo della ruota dei conventi dove venivano abbandonati, esposti, figli non desiderati. Quando tempo storico e tempo pre/storico si incontrano si genera la tragedia del difetto di comprensione. Il prima, in quei casi, viene rafforzato come causa e promessa. Il dopo come  conseguenza e conclusione, giustificazione e corpo del reato.

Penso allo spazio/tempo di Einstein in relazione a Massimo Fagioli, che riscatta la psicoterapia restituendola alla medicina, con la scoperta della funzione della vitalità della biologia cerebrale alla nascita, e penso che Massimo Fagioli sbaglia quando restituisce la scoperta alla storia. Errore storico, non teorico. Sperare in un riconoscimento della propria  scoperta come inscrizione nella vicenda della psicanalisi. La scoperta implica proprio il paradosso che sia una mente ‘immatura’ ad accoglierla. Non ci sono due destini: prima uccidere il padre o prima fare all’amore con la madre. Massimo Fagioli ha riconsegnato la psicanalisi ( che è la narrazione a causa della nascita umana) alla storia (: che è la narrazione del dopo la nascita umana). Egli consegna la nascita alla storia ma la nascita, dal punto di vista della attività di ideazione di una certezza è creazione e immagine di un tempo la cui natura non è ‘dissipativa’. La nascita sottopone il padre e la madre che verranno al ‘giudizio’ del figlio appena nato: ma non è giudizio, è possibilità di conoscenza. Il bambino fa all’amore con la madre e contemporaneamente uccide il padre. Pensare la nascita è immaginare di rendere inutili le cose ritenute, prima, necessarie. Uccidere il padre non è omicidio ma verosimiglianza di un’infanzia. Sebbene l’amore con la madre sia sempre dimenticato, perché è nel primo anno senza coscienza, poi, senza un legame, (neanche nell’ambito della formazione si realizza davvero quel legame), nell’interpretare dell’adulto c’è tuttavia la vita immatura infantile. Come se allora, senza progetto di ‘volere’ diventare interpreti nel setting, l’amore per l’analisi fosse già reso possibile, coesistendo i due tempi di allora ed adesso: il presente e l’origine. In questo senso l’analisi è si tutti, alla portata di tutti, è democratica.

Come se per una volta, ma per ognuno di noi, l’incomprensibile specifico dell’umanità, un oggetto gelido circondato dall’ignoranza della ragione, avesse trasmesso, contro ogni previsione probabile, il proprìo residuo calore di una radiazione di fondo, al tizzone ardente del desiderio attuale: l’attuale linguaggio non conforme di non una ma tantissime ricerche lentissime e inquiete. Quaranta e più anni dopo. Oggi. Sempre.

Scrivo pensando che la ricerca aveva sbattuto via i figli lontani nel mondo. Sotto differenti bandiere. Scrivo che Massimo Fagioli ha sbagliato a riconsegnare la nascita alla storia. Troppo presto. Ha sbagliato a non capire che la conoscenza sarebbe arrivata comunque, dopo trenta e quaranta e più anni, tantissimi imprevedibili anni comunque. Che sarebbe arrivata senza un nesso storico. Da persone e luoghi imprevisti ed ignoti. Perché la scoperta aveva la vitalità che, una volta appresa, avrebbe consentito comunque quanto, forse inconsciamente!, nel pensiero di alcuni, non si voleva accadesse. Che essa aveva in sé i criteri per realizzare, da parte di chiunque, la sua comprensione: il tempo termodinamico lineare della lotta non deve sempre diventare coerenza sillogistica, procedura logica, principio di non contraddizione.

Mi ero preso il tempo delle radure, degli incroci. Dicevo dell’amore per le staIoni e i passaggi a livello. Posso dire: ho capito, non è più necessaria questa distanza, c’è sempre stata una differenza. Il genio non aveva distrutto le identità, non aveva appianato le differenze in una sottomissione passiva. Passivi-aggressivi i seguaci rimangono ad attendere una restituzione di attribuzione autoriale. Non verrà. Molti altri hanno capito e sviluppato le possibilità. Tornare e Restare sono di nuovo possibili ambedue. Sono tornati ad essere ‘uguali’, perché rispetto alla rivoluzione della nascita essi sono sempre stati la stessa cosa. La storia non ha lo spirito che si svela nel tempo. Perché?

Perché il tempo termodinamico non ha alcuna potenza sulla vita del pensiero umano che diventa creativo. Gli amori sono stati fisici che perdurano, nonostante le distanze. Troveremo paradossali ragioni. Motivi mai visti. Gli arazzi di un mare sotto ai nostri piedi su cui dormire nutrirci e raccontare…. giorno per giorno. Oggi che ritorna un ragazzo. Oggi che gira l’anno, il sessantesimo, di chi si ama. Oggi che al compimento del giro i figli e i figli dei figli si piegano gli uni sugli altri come sette fiori attorno ad un fiore centrale. Oggi che, come nella antica astronomia che leggeva il cielo come la carta del mito, ritorno, nascita, e amore si sono allineati restituendoci quanto c’è sempre stato ed aspettava di essere còlto.

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