affetti


a pensare l’infinito serve un’intelligenza artificiale e per valutarne la profondità serve un test a proposito della qualità di affetti ipotetici: se infinito voglio che sia un amore che duri per sempre come sapessi l’eternità e vedo un’eclissi trasparente se arrivando ti pari di contro a tutto: saremo per sempre poeti di fortuna sperduti nella avvolgente sensazione di un abbraccio accecante…..

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“sguardo”

Così esposto al balcone, se guardo fuori, ho, di là dalla strada, un grande albero all’altezza degli occhi, sopra i capelli un cielo sempre differente tra rami mossi, ai piedi pietra chiara, a destra una muro vecchio grigiastro di colature di pioggia: e finalmente, a sinistra, le scale tornite di marmo vecchio.

Non pregiati il marmo e neanch’io: ma tutti e due reciprocamente allenati da tanti anni alla discesa sicura, forte, posata, agile e senza errori.

Ho notato, scendendo le mie scale, che lo sguardo da qualche tempo è più diretto e da adesso forse per sempre servirà a non prendere più in viso, mentre traverso i giardini delle case intorno, i rami bassi delle grandi siepi contro i quali si rischiano lesioni agli occhi.

C’è una riflessione sul vedere come fenomeno di superficie o di confine. Nel senso che vedere è cogliere la forma dell’oggetto, la sua superficie. Ma soprattutto per il fatto che le attività sensoriali si esercitano anch’esse su un confine: a partire da superfici recettoriali attivate e attraversate dagli stimoli fisici. Quella corrente di allagamento estesico è vitalità della forma.

La stessa funzione di forma, più in alto, coinvolge le azioni di flusso elettrochimico nella massa cerebrale. Ma là è una realtà tridimensionale. Lo spazio di una superficie recettoriale periferica, nelle sue affluenze centripete che inondano i parenchimi cerebrali, diventa gelatina di simultaneità temporale per via della neuro-anatomia delle connessioni sincroniche (parallele) che scambiano informazioni simultanee tra corteccia e nuclei della base, e tra aree distanti dell’una e degli altri.

La sincronicità delle funzioni del parenchima encefalico aggiunge, alla rappresentazione figurata dello spazio esterno, la con-temporanea certezza di sé e del mondo specifica del soggetto percipiente. Si diventa pensanti misurando il volume della propria consistenza al cospetto delle cose percepite.

Il balcone in fondo alle mie scale guarda la strada e per ulteriori scale scende giù. La forza muscolare delle gambe, per salire al mattino e ridiscendere dopo il lavoro di ogni giorno, misura con gradi differenti di dissipazione termica la coscienza del dovere che mi porta in alto e la distrazione di scivolare nell’aria serale quando torno in strada che è buio.

La persistenza del sentimento di realizzazione sostiene la nuvola d’oro delle durate sopra di me per giorni e giorni. Il tempo del pensiero diventa spazio solido da attraversare per mettere in relazione e mantenere unite la mia realtà privata e il mondo degli affetti.

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Ciò che sono è un nome. Mi invento l’etimologia. Nome. Numen. Divinità. Persona. Sacralità della persona. Non nominare certi nomi invano. Cosa è invano, a questo proposito, cerco.

“Non vanificare il nome. Non polverizziamo con dichiarazioni fasulle, tipo >amoreamoreamore< la frontiera del senso. Aspetta… aspetta!” 

Ho lasciato risuonare definizioni come genio, scoperta, finalmente, vittoria, sapere. Ogni volta sulla spiaggia onde che bagnavano e si ritiravano ma non tingevano, non lasciavano traccia. Non erano come uomini e donne  con merce di civiltà oltremarine.

È restato invece il blu sulla tela antica. “Un tubetto di quell’azzurro scuro là, si… quello!…grazie“. Dodici anni. E andare via con i cilindri di alluminio dei colori ad olio nelle tasche: fuori un aria piena e schiere di pittori in giacca ampia su colline al vento.

Mani già nodose come poi ora a settant’anni o quasi. Nomi per strada. Borghi che agli incroci delle stradine hanno divinità locali.

Un’urbanistica politeista: ecco cosa traversai. Ancora traverso le medesime vicende. Nessuna storia. Mi evolvo qua da sempre.

Sempre‘ comincia nel 1976 quando conobbi Massimo Fagioli: lui che è diventato quarant’anni con le dita colorate di un’onda blu. Il resto non ha influito gran che.

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“AMORI FUORI CAMPO”

I giorni in cui siamo privati di noi dall’amore e dal sole sono quelli in cui meno ci apparteniamo. Quando il cuore appiattito sulla modesta curvatura della spiaggia sfiora i granelli della giornata e dimentica e dimenticando esce via dalla clessidra. L’allegria di poco conto è la polvere di vaniglia sui dolcetti al cacao: divento empirico costruisco vulcani di sabbia scavo e scavo miniere con la mano buona appoggiandomi col viso a terra per arrivare profondo. Perdo la libertà dei turbamenti che mi farebbero vibrare. Il benessere dell’acqua del mare fa come fare l’amore finché alla fine il pensiero si diffonde sulla pelle e divento gratitudine accaldata senza sogni se non forse restare vicino alle onde interamente indifeso e coraggioso. I grandi pensatori quando costruiscono treni di legno ai figli. Vivo una cronaca immaginaria durante la ripresa del giorno successivo. Posso avere molti lunedì, se organizzo di rendere schiavi della ricerca i vicini, e così tornare tutte le volte sull’isola di partenza secondo la sceneggiatura ciclica. La vaniglia sui pasticcini di cioccolata e noci tritate sa di eroismo e pratica. Di servizio militare e accademia dei dissidenti. Così la gioia toglie le sfumature e Picasso fa la guerra al rinascimento con gli spigoli netti come lame. Travolto, dopo la potenza esercitata dalla radiazione luminosa, non so e non mi importa di distinguere le responsabilità differenti tra le risate e il sole. Ricordo soltanto che poi, tornando, ho sperimentato ancora come si potrebbe fare a impedire senza offendere. In quanti modi buffi si può pronunciare “No” per non ferire. La presa del potere ha moltissime sceneggiature. Tutti dicono che è poco comprensibile come si possa conciliare metodi e libertà. Sturar Mill affermava che il potere è implicita violenza. Quasi anarchico. La gravità di Newton impera persino adesso la vita a misura delle nostre costruzioni, ma ci sono dei dubbi che il pulviscolo emotivo, che avvolge le descrizioni del sole di ieri, invece non ne sia del tutto svincolato. A partire dalla necessità di dire ad un bambino di due anni ciò che in un certo momento non vogliamo che faccia, rifiutando un facile consenso, si fonde il suono della voce sicura con un sorriso dai contorni seducenti. La linea e l’ombra del non finito fanno pensare a quanto si deve studiare se non si vuol diventare improvvisamente incapaci, proprio nei momenti d’amore nei quali si gioca il nostro e l’altrui futuro.

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Se tutto passerà questo è stato. Devo piantare sotto uno strato di fertilizzante le cose. Gemme e foglie rendono l’idea del tempo ad un osservatore che mi assomigli. Nelle discussioni ti chiamo vicino al margine della tavola. Gli scontri sono rifiuti per vivere. Prepararsi. Prepararsi. Me lo ripeto sempre. Il rifiuto non riduce le opportunità. Ne crea sempre una in più. Il rifiuto non è la discrezione dialettica. É altro. È una cosa che non avrebbe ‘dovuto’ realizzarsi e invece. D’altra parte non so come procedere diversamente. Guardo l’ombra disegnata dalla luce tra i bambù. Si, no, si, no. Il ‘no’ del rifiuto fa un ritmo binario che arreda le pareti con una sottilissima composizione pittorica di vettori. L’irregolare distribuzione degli interstizi illuminati è, per analogia, la necessità di stabilire una velocità angolare al margine delle sfumature come si effettua il calcolo infinitesimale per realizzare l’esattezza del ricordo di un sogno.

Ma basta, mi dico, e zoppicando a causa di una gamba impigliata nei pantaloni faccio il verso ad una cicogna sul bordo del mattino nella sala che esplode di giallo. Volumi interi di giorni stanno arrivando e decido che l’estate me la preparo da ora. Non voglio che nessuno…. penso dentro di me festeggiando la data di oggi. Salto sui quadrati delle piastrelle del corridoio mentre la gamba imbavagliata scivola alla fine fuori dai jeans e sento un rapido dolore -un momento di tristezza, credo- smascherato da questo sole perfetto e indifferente.

Le cannucce della tettoia sui fiori sono anime regolarmente disposte per consentire il chiaroscuro. Il dolore svanisce assorbito e distribuito in milioni di fibre muscolari del polpaccio. Dopo la tristezza lancinante per cause sconosciute, con regolarità l’amore variabile torna sempre. È ‘te’ senza figura, te/immagine. Vieni sempre dopo la crisi del pensiero quando l’illusione cosciente ‘vorrebbe’ fermare la vita mentale per un riposo che è una fisiologia  ‘impossibile’: il riposo sarebbe assenza di vita che è nell’asfalto nero della strada ma soltanto più lontano, oltre il filare delle rose.

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