al mattino !! Allora


“Per me non c’è dubbio che il nostro pensiero proceda in massima parte senza far uso di segni. Anzi assai spesso in modo inconsapevole. Come può accadere altrimenti che noi ci meravigliamo di certe esperienze in modo così spontaneo. Cotesta meraviglia si manifesta quando un’esperienza(*) entra in conflitto con un mondo di concetti già sufficientemente stabile e formato in noi. Ogniqualvolta noi sperimentiamo in modo aspro e intenso un simile conflitto, il nostro mondo intellettuale reagisce in un modo decisivo. Lo sviluppo di questo mondo intellettuale è, in un certo senso, una continua fuga dalla meraviglia.” A. Einstein. Autobiografia. 1949.

(*)(Bisogna assumere che quella esperienza sia una esperienza del soggetto, a partire dalla prorpia capacità di immaginare diversamente la soluzione di certi eventi naturali precedentemente altrimenti spiegati. Non sarebbe una esperienza derivante dalla percezione di una evidenza obbiettiva: ma una esperienza di sé, cioè una intuizione/certezza(**) del soggetto.

(**)(La dizione intuizione/certezza del soggetto è da me ripreso dalla trattazione sulla nascita di M.Fagioli in Istinto di Morte e Conoscenza: intuizione/certezza che esiste un seno….che è la prima attività di pensiero del bambino alla nascita).

Cercando di rendere meno vana la propria inutilità si pensa ancora. Aggiungere non è il caso e il trionfo scientifico è sottrarre, togliere, distogliersi e incantarsi di onde insieme alle figure marine. Nascono da questa operazione totalizzante le intuizioni che restano sospese. Facemmo la scenografia per Ulisse per il Piccolo Principe e per Einstein Innamorato. Scenografie in cui fili di acciaio, incardinati con chiavistelli alle quinte trasversali alte, sostengono protagonisti, stelle, fate, sirene, uccelli, nuvole e enormi gocce : pioggia o lacrime non si distingue mai bene.

La fisiologia del pensiero non cosciente si riversa sulla natura con cataclismi, invasioni, alluvioni dilaganti e noi della specie umana ci prendiamo il gusto di un nostro occasionale sopravvento. Nella scenografia ho messo qualche poltroncina per un certo numero di spettatori: imbecilli curiosi non mancano mai. Non voglio alludere: penso due cose, adesso: che lo scenografo è fondamentale e che il pensiero non cosciente non si ‘risolve’ mai. La conta delle stelle non ha ‘senso’. Da quale cominciare e verso quale di tutte le altre ( la seconda e la terza ) spostare il dito e l’attenzione sulla carta astrologica per dire “due…” e poi “…tre” ?

E siccome non ha ‘senso’ e ‘verso’ quella esperienza numerevole (di miserevole numerazione) che dovrebbe essere la conta dei torti e delle ragioni nell’amore… allora in questo nuovo  scientifico amore, noi potremo restare accanto con la forza attraente dei rimandi. Nelle occasionali curve di sabbia di apparizioni e svanimenti. Se riusciremo ad evitare di portare il nostro amore nella rappresentazione isterica di un farsa ottocentesca, contro lo sfondo di una trattazione pseudo scientifica su una sindrome inventata. Oppongo una lettera d’amore, una lettera della Piccola Rosa di Ungheria, Mileva Maric, innamorata di Einstein.

“Che piacere ieri mi ha fatto la lezione del prof. Lehnard. Ora lui ci sta parlando della teoria cinetica dei gas. Pare che le molecole di ossigeno viaggino ad una velocità di più di 400 metri al secondo. Per cui, dopo aver fatto calcoli su calcoli il nostro buon professore ha impostato delle equazioni, le ha differenziate, integrate, sostituite, e alla fine ha dimostrato che le suddette molecole si muovono effettivamente a tale alta velocità, ma che il loro viaggio è lungo solo un centesimo dello spessore di un capello…” – Scienza dunque ma poi anche : “Ho passeggiato sotto le querce tedesche, nell’incantevole vallata del Neckar: quel fiume tuttavia si snoda timidamente perché è coperto da una fitta nebbia che non lascia trapelare alcunché, insomma per quanto mi sforzi gli occhi, tutto ciò che vedo è desolato e grigio. Desolato e grigio come l’infinito.”

(****)(Mileva Maric è, per quanto se ne sa, il primo amore di A. Einstein. Nata in Ungheria nel 1875 entra nel Politecnico di Zurigo per studiare matematica nel 1896, lo stesso anno in cui vi entra anche Einstein. Bellissima viene conosciuta come la Piccola rosa di Ungheria: è l’unica donna iscritta all’Istituto. Nel semestre invernale 1897/98 si è ritirata dal Politecnico e comincia a frequentare l’Università di Heidelberg. Mileva scrive ad Albert la sua prima lettera d’amore.)

E’ una lettera di amore e della nuova scienza che indaga la necessità di riferirsi a dimensioni infinitamente piccole. Una lettera in cui quanto non è misurabile si rispecchia in un fiume nascosto dalla nebbia. Bisognerà operarsi gli occhi. Svelare. Lottare contro il romanticismo dell’infinito, con la lucida superfice d’amore del linguaggio matematico. La pelle differente dei ventenni legati al desiderio reciproco. Immaginare senza segni, senza figurarsela cioè, una impensabile distanza che pur tiene separate, anatomicamente distinte le loro dita intrecciate ai rami del paradiso. Mileva scrive ad Albert e adesso qualcuno si chiede quanto abbia influito sulle propensioni scientifiche di lui. Forse essa incide comunque, con un modo, con la poetica di una letteratura romantico/scientifica , persuadendo l’animo di un genio ad operare in modo da diradare la nebbia. Da togliere grigiore e desolazione all’infinito che resta soltanto oggetto di indicibilità poetica. Naufragio.

Seppure forse voleva soltanto che il ragazzo sentisse da lontano il desiderio delle mani di lui sui suoi occhi annebbiati, sull’universo infinito di lei: anima e, soprattutto, corpo. Che verso prende, sotto gli archi della seconda linea delle quinte, la storia? Che personaggio scende e che montagna rovina a coprire tutto l’ oro ritrovato e perduto nella miniera di te? Perché poi si vede bene che al di fuori delle inclinazioni scientifiche, del senso verso il quale indagare nell’universo scientifico, Einstein fece la sue scoperte non quando fu innamorato di Mileva -l’intelligente ribelle e appassionata – e poi della cugina Elsa – frivola alla follia – per la quale abbandonò brutalmente proprio Mileva: ma nella durata che pare, con evidenza dalle ricerche dei biografi, una azione disincantata e cinica, spietata e frivola a sua volta, del lasciarle. Di liberarsi di loro.

E’ la separazione, la fine dell’amore, la successiva serie di tendaggi e macchine elevatrici delle quinte, che mette in scena la configurazione del genio? Si crea lo spazio di angoli e luci per una persona sola che mantiene, attraverso la vita psichica, la continuità dell’esperienza del proprio (rapporto con il ) essere al mondo. Faccio tesoro, come si dice, delle letture della mia ricerca sul pensiero. Cercando di rendere meno vana la mia inutilità, appena sei ‘sparita’ e non c’eri improvvisamente più, sono riuscito a continuare a pensare. Sono certo, prima soltanto sospettavo.. : si fa l’immagine con la materia dell’assenza. L’assenza si percepisce. Secondo pensiero, seconda domanda: che stimolo sensoriale è la fossetta sulla sabbia una volta tolto il calcolo, il sassolino tondo dell’abaco litoraneo?  Che stimolo è il vuoto nello spazio che ci fa dire che sono rimasti zero sassolini, zero fette di torta, nessun amore?

La fossetta sulla sabbia viene vista nella sua forma di una concavità dolce. Così il piano chiaro e vuoto del tavolo con il vassoio pulito. Così la seggiola nera del tavolino nel giardinetto del bar. Il pensiero non è riducibile alla semplice realizzazione sensoriale elementare. Qualcosa si aggiunge subito che fa la percezione: il piatto la seggiola la concavità rappresentano l’assenza di qualcosa che prima era là e adesso non c’è più. Dunque la fossetta nella sabbia, la seggiola e la ceramica splendente di bianco del piatto dei dolci stimolano una funzione non più semplicemente sensoriale. Eccitano una attività ‘mentale’. Una fantasia.

Einstein fece la sue scoperte non quando fu innamorato di Mileva -l’intelligente ribelle appassionata – e di Elsa – frivola alla follia – dunque non quando esse c’erano, ma quando cessarono di esserci, nel momento che esse, divenendo assenti poiché lui smise di amarle, lasciarono nella sua vita quel ‘vuoto’ che è stimolo della fantasia che accese il pensiero globale. 1905, fine della relazione con Mileva e scoperta della relatività ristretta. 1915, fine dell’amore per la cugina Else e pubblicazione della Relatività Generale. La scoperta scientifica come funzione di una realtà di pensiero non cosciente. Ecco lo Zero maiuscolo, l’ingresso nello spazio vuoto della Scoperta Scientifica: l’Inimmaginabile. Il genio trasforma l’assenza in stimolazione della funzione della fantasia: come il pensiero non cosciente del sogno di stare cavalcando un’onda luminosa.

Intuire è una creazione, soprattutto una certezza senza figura. Identità di pensiero. Poi avrei voluto chiederi che rapporto c’è tra identità e soggetto, tra identità e soggettività. Ma sai che mi viene alla mente (ascolta ascolta il motivo della distrazione, l’inceppo a svolgere la ricerca) : noi parlavamo troppo, insospettiti più che innamorati. Quindi il sospetto ha rovinato il pensiero, distrutto l’identità: e l’amore -che è certezza scientifica- si è alterato in soggettività e sentimentalismo. E dal fatto personale torno a cercare: quindi l’identità ‘deve’ essere differente dalla soggettività. Forse identità è solo quando si entra in rapporto per sopportare l’incertezza: senza negarne l’essenzialità strutturale. Cerchiamo quale sia l’identità dell’identità: se ha a che fare con questo essere in grado di trasformazione dell’assenza in qualcosa differente dal nulla. La natura umana affoga nel lusso delle affabulazioni: i formicolanti sussurri della materia negli alveari della fisica degli elettroni.

Nella tempesta chimica dei legami, secondo la completezza dei livelli energetici intorno ai nuclei, si creano salti e discontinuità, margini di competenze ulteriori. Certezze sul futuro. Nei laboratori stratificati attorno alla potenza del numero atomico e della massa inerte io dormo ritrovando il gusto di contare le stelle. Acchiappare cose a cui resto legato sempre. La doppia vita di Veronica ha l’altra scenografia dei miei pensieri. E per dire amore dico avventura. Non ho voglia di trarre conclusioni. Non è mai sicura la garanzia assertiva. Solo la percezione dello spegnersi dei passi fa la nuova pronuncia da cui nasce la lingua possibile. Per questo mi ripeto che di aggiungere non è più il caso; e il trionfo è sottrarsi e distogliersi e farsi incantare di onde: che hanno così incalzanti la difformità ribelle di creste imprecise. Che spruzzano farina d’acqua salata contro la linea netta delle albe marine della mia adolescenza.

Negli spruzzi di farina d’acqua concentro tutto un mondo di cose che non ci sono più. Qualcosa che adesso non c’è più, di cui la funzione della fantasia percepisce l’assenza. 1): la realtà naturale delle cose stimola attraverso i sensi la materia biologica delle aree sensoriali appropriate; 2): l’assenza di qualcosa che c’era e non c’è più è una certezza che si ha per azione della fantasia; 3): non c’è un area cerebrale, una localizzazione topografica della fantasia, non c’è una corrispondenza tra percezione della assenza e una provincia neurale corrispondente; 4): la fantasia è una funzione globale del pensiero.

La sensazione visiva di un avvallamento nella sabbia diventa l’idea di un sassolino rotondo che è stato sottratto sulla griglia dell’abaco, durante la conta dei pesci tolti al mare. La visione dell’avvallamento sulla sabbia diventa la percezione dell’assenza di qualcosa che si immagina ci sia stato e adesso non ci sia più. Questa azione del pensiero eccitato dalla forma dello spazio vuoto diventa la realtà utile del pensare lo zero. I cerchietti delle mie pupille, il colore delle iridi azzure che circondano una circonferenza nera di inchiostro e lava vulcanica, testimoniano che zero è il segno indelebile del tuo passaggio sulla mia anima. E della mia vittoria sulla pazzia. Che non ho ‘trasformato’ l’assenza nell’idea malevola del nulla.

Identità dell’identità è la concretezza/certezza che in tua assenza continuò ad amarti. La mancanza di te, che non sei nelle strade e nelle piazze e nei bar della città, è identità dell’identità che, nel determinare la mimica del pianto e dello sguardo assorto, non diventa mai il nulla della pazzia. Identità dell’identità è l’immagine di me quando, nel pensiero non cosciente, non tradisco l’assenza di noi qua attorno con la negazione del nostro indimenticabile rapporto. Il ricordo nella mente, legato alla percezione del vuoto lasciato dalla tua partenza fa il pianto, il pensiero senza figura che, legando inconscio e comportamento, assicura la continuità della vita mentale, lo studio e la ricerca.

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