amori feudali


Qua non avevo scampo. Per il punto da cui ero partito, il punto umano voglio dire: un incrocio tra la miseria ottusa e sonnolenta dei sottoproletari e la curiosità ansiosa del proletariato meno abbiente. Il pane per lo sviluppo fu la ferrovia che limitava la strada. Prendere i sogni al volo: gli sbuffi di vapore grandi come piccole nuvole. Immagini di mani tra i capelli che non ricordavo di aver mai sentito ma forse inventavo sotto lo sguardo di una ragazzina di sei anni che preparava una tisana per me indotta e istruita dalla madre che invitava con indicazioni a proposito dell’acqua da bollire sulla stufa, della teiera necessariamente di ceramica e della giusta durata del tempo di infusione: tre minuti, ricordo ancora. Da quel pertugio sfuggii al destino di una accidia fatale. Almeno la curiosità sopravvisse. I volumi della letteratura Einaudi che trovavi unici e numerosi dovunque per grazia di atletici maschi giovani aviatori ballerini volanti furono l’altra occasione di diletto imprevisto in aggiunta alla cerimonia del the di margherite. Quel che ci si leggeva erano sfracelli di parole non del tutto consone, intuivo, all’ordinato disporsi delle ore. Ci fu un conflitto tra il precipizio montanaro delle acque turbinose di Lolita e quel deposito del tempo accatastato mollemente tra le foglie che riposavano in fondo ai filtri bagnati. Questo secondo tipo di minuti obbediva alle dita piccine di una vera bambina protetta da una madre attenta delle quali madre e figlia io ero figlio fratello uscito dalla mia casa appena troppo scura e disadorna in paragone: infatti questa loro aveva il giardino la veranda di pietre il tavolo esterno e la pergola in alto per l’ombra. I ricordi vividi delle giornate infantili sarebbero molti di più di questi. Ma sono alla ricerca delle sensazioni mute e dense che non mi preoccupai di chiarirmi e adesso sembrerebbero utilissime. Il movimento dei giorni lo scorrere dell’acqua lungo il becco delle ceramiche nelle tazze poi nelle nostre gole lucenti e il tendersi dei colli magri il distendersi dei muscoli per vuotare il fondo dallo zucchero residuo che addolciva il sorriso che restava di gratitudine e promesse.

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amori feudali


Posted By on Apr 6, 2016

Nave nella nave. Una visione vera e propria. Leggendo Marc Bloch. La civiltà feudale.

Il tempo non era fatto come questo tempo. Nessuno sapeva precisamente l’anno e il passato che non c’era. Perché tutto era potenza in atto. Le cose così prossime e ignote nelle loro leggi si spargevano e si innalzavano incombenti e minacciose.

Nave dentro una più imponente nave è stata la visione. Un medio evo che ci contiene. Dalle fibre di giornate con troppo tempo morto escono grida e oscurità in forma di crisi. Il panico quotidiano. Mi precipito addosso al nemico. Vediamo di che è fatto.

Paglia e pitture in chiese umide. Gli anni di vento e siccità che contengono gli affreschi. L’arte nei muri alti. Ai soffitti. Non doveva essere raro che chiunque voltasse gli occhi al cielo. La mindfullness assai frequente. Le intuizioni di serendipità accettate come miracoli. Irruzioni spirituali.

Nave dentro la nave. Mari sterminati. La civiltà dei poteri che controllano niente. Perché il controllo annienta lentamente e inesorabilmente tutto. Non è ancora concluso. Sfuggono i distratti. Coloro che confidano ciascuno in se stesso. E sono letteralmente fuori dalla storia.

Gli occhi al cielo. Nuvola o affresco non importa. Inebetiti dall’ischemia che stordisce per via del collo troppo piegato in su. Verso i colori uguali a fuori. Come la chiesa fosse priva di una volta sotto azzurri e bianchi reali. E invece è anni di fatica e genio. Il genio non accorcia il tempo. Se ne serve solamente.

Navi dentro navi. Come me in te. Ma ho in me altri. E tu in chi vivi e ti muovi? In quale mare si alternano le tue variabili sensazioni? Quale affresco intimo colora le tue pareti? Me, dici, colori e tingi?

Così io in te, dentro la cui anima vivo, trasparirei riflesso nei tuoi occhi? Nei muri alti del tuo portamento?

Sospinto dalla tua scienza, io dunque, senza più figura, solo forma e colore, salgo -dal muro al cielo- da figura in idea.

Intanto che il desiderio di te sfuma e lievita in una nuvola il tuo modo soggettivo di sapermi esistente, senza costringermi ad essere in modi prescritti, rafforza il legame. Questo chiamo io il nostro amore feudale.

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