archeologia


fiori nell’ambra


Posted By on Feb 17, 2016

fiore nell'ambra (circa due milioni di anni fa)

fiore nell’ambra (circa due milioni di anni fa)

La capacità di riunire è mancata. Si è puntato alle separazioni. Indispensabili alla creazione. Artistica e non. Riunire sa di compromesso e rinuncia mediocre. Cioè così si è imposto. È la percezione prevalente a proposito del ‘tornare’.

La gioia serale è borghese. Così si è detto. Così esemplarmente si è fatto delle ore notturne una serra buia e profumata. Affascinati dalla cecità del buio. I fiori spariti. La loro bellezza inutilizzabile. Ma prevaleva in molti quell’eccitazione di stare avanti nella colonna degli esuli trasvolatori.

“L’aria del tempo tiene le sorti del volo. Le nostre braccia sono libere ali. Libere ma dolenti”. Così la poesia durante la marcia di fuga di amanti segreti. Ma la parola ‘dolenti’ non si pronunciò. Del dolore meglio non parlare. Si diceva fossero dei virtuosi la vitalità, il rosso, l’impunità dei desideranti. Guai agli altri.

La militanza è resistenza eterna all’annullamento.

Ma non c’è sempre sovrapposizione tra militanza e vita. E dunque, benedette parole! “Che l’una consenta l’altra”. Perché Via della Resistenza porta alla piazza. E la piazza è arte in grande. È bellezza al pubblico. E il suono delle voci in piazza è festival dei tempi antichi. In piazza ci si riposa. Mentre si guarda il mondo. E si smette di lottare per un poco.

Ma questo è ora che si chiarisce. Invece non fu così. Furono, sono stati fin poco tempo fa, anni di smagliante ostilità. Poca pace di fondo. Pace parola grossa per le relazioni: ma quale altra per definire assenza di tremori e terrori incoscienti. Ma non ci furono ripari: il fondo tanto meno. Crisi dei fondamenti.

Un sapere in gioco. Proposizioni di conoscenza. L’alba del pensiero ‘debole’ fu il tramonto di tutto. La filosofia si consentì la proposta della debolezza come crisi evidente delle certezze. Reggeva l’apriori acritico? Era un pensiero imprevisto che causò la crisi dell’ermeneutica.

Vennero giù i tendoni dei circhi e si arrestarono a mezz’aria le ruote dei luna park. Le manifestazioni riempirono le piazze. Ma piene di gente mossa dalle ideologie le piazze assunsero dignità di luoghi politici. Senza più alcun valore architettonico. Il mondo interiore non doveva riposare. Non aveva tempo per l’architettura.

Peccato perché una piazza, un edificio e una città sono arte ciclopica gratuita. Genio alla portata di tutti.

Il mantra: “Il riposo è accidia. Il contentarsi è rinuncia. La gioia è illusione borghese”. Si è vero è borghese fingere la gioia. Si è vero è peccato nascondere l’incapacità nella pigrizia. Si è vero, dopo un poco la fermezza è immobilismo. Sarebbe necessario imparare a distinguere il vero dal falso. Ma questo sapere era detto violenza sull’altro.

La diversità fu sospettata di favorire o preludere ad una negazione dei diritti di tutti a tutti. Ma in realtà si negava l’invidia diffusa. Si negava che la genesi della malattia mentale era nella banalità della semplificazione: “La neutralità del giudizio ne garantisce l’equità”.

Ma la neutralità è stata presa per equidistanza tra gli opposti di torto e di ragione. Chi ci ha rimesso sempre è presto detto.

E per tutti gli ultimi quarant’anni anni qualcosa dei dubbi di prima è conservato. Vivemmo in una sospensione. Quello che non ha ancora risposta ci prende. Siamo rimasti a lungo crisalidi. Ma l’amalgama del dubbio ha tenute intatte le domande.

La rivista ‘Science’ mostra foto di un fiore che nell’ambra si è conservato intatto per due milioni di anni. Delle domande tutt’ora bellissime -conservate intatte per il fondato sospetto che le soluzioni fossero illusorie- noi apprezziamo l’eleganza. E questa sensibilità alla bellezza della permanenza, che è una conquista recente della nostra specie, ci riempie di orgoglio.

Rassicurato concludo che, dovesse ripresentarsi la voglia di vivere di tanto tempo fa, questa volta, diversamente da allora, sapremo coglierne meglio l’irrinunciabile valore, insistere più a lungo nel volerla per noi.

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