Che viene l’idea che tutto deve essere cambiato, come lavorare nella stanza andando vicino a ciascuno ogni volta, da far paura o passione o imbarazzo o allegria. Stringato come niente ci fosse a poter sciuparlo, tutto quel lavoro. Tutto questo lavoro di anni che ogni volta rischia di essere vanificato in pochi istanti durante quasi due ore (tanto dura ogni volta l’esposizione agli sguardi silenziosi).
La canzone della coscienza la canto sul volto della ragione. In faccia alla ragione. Per chiarirglielo, alla ragione, che la coscienza sa dell’inconscio e si rende ben conto dei moti imperscrutabili dell’animo che modulano i suoi (della coscienza) emozioni movimento e voce mentre si parla si lavora si ama si vive. L’inconscio è ben presente alla coscienza che si presta al gioco e ne mostra il moto. Dunque non è la coscienza che distrugge il non cosciente. È la ragione che corregge la coscienza con logiche riproposte insistentemente per ridurre quel moto a immobilità. Per impedire che la coscienza si muova obbedendo ai suoi moti interiori senza attardarsi a riflettere se sia opportuno. La coscienza pur avvertita e piena di passione non basterà a vincere. Non la coscienza durante la veglia. È necessaria la coscienza del sogno. Che sfugge la ragione. La ragione arriva successivamente, cioè tardivamente, al risveglio: tenta di alterare il ricordo del sogno e di cancellarlo.
Con ciò che resta tuttavia, che è assai poco, noi si può comunque fare qualcosa, capire ogni volta qualcosa di più. Passare il nostro primo tempo quotidiano in compagnia di noi stessi.
Stamattina questo quadro così unico: un’opera d’arte così facile poi da smontare e riporre via con movimenti semplici. Coi movimenti chiari di una coscienza sanamente ricomposta: salvata come ci si salva l’anima dal peccato della sciatteria dell’ignoranza.
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