body art


bellezza dopo le performance


Posted By on Giu 30, 2014

"MARINA ABRAMOVICH"

“MARINA ABRAMOVICH”

Dovevamo partire. L’artista era presente. Testimone. Presente a tutto. La seduta dello scompartimento non abbastanza comoda. Schienale semi rigido. Noi nei vecchi treni. A guardarsi l’un l’altro. Il fascino. L’imbarazzo degli sguardi. Viaggiatori e viaggiatrici. Puntare i gomiti sul bracciolo e le ginocchia avanti. Angolo acuti specialmente. Studiare se è il caso. Sto a pensare davanti ad una foto di questa donna che ha praticato l’arte provocatoria dei corpi. Guardo la foto del suo volto. Il sangue e gli eccessi per trenta anni. Buttarsi via quasi perire nell’ascesi sacrificatoria. Poi ecco la bellezza purificata. La pelle guarita. Scrivo per giustificare questa foto. Non è occasionale. Quel fascino è di quelli che si possono trovare sui treni, appunto. Una che si è assopita accanto al finestrino del vagone. Ma quello che penso è “Si guarisce, dunque. Anche dalla propria smania di provocare”. Dicono i critici che la body/art implicava il tentativo di superamento della superficie corporea. Per andare a fondo, dentro. Per lasciare o costringere gli altri a indagare nell’artista, dentro l’artista. Si sa che da tempo indago sulla vitalità come funzione di sensibilità e interezza. Una indagine, anche la mia, sui limiti del corpo. Seppure a me interessi la funzione dei sensi, attraverso i quali soltanto il mondo esterno arriva fino a noi e poi viene interiorizzato. La body/art era denuncia. Il corpo veniva usato tra nudità e sangue senza alcun erotismo: anzi semmai per sciupare una cosa integra. Quasi per vedere fino a che punto alla fine tutti restassero ‘spettatori’ a sfruttare l’ambiguità di un dubbio -a causa di una problema che forse tutti abbiamo nella fusione tra il corpo e il pensiero- se la sofferenza esposta come arte non facesse poi il male della ferita e dell’eccesso di stiramento e perforazione, come se quell’esposizione evidente avesse una quota differente di dolore e potesse essere tollerata. Si offrivano come viaggiatori sui treni. Dormendo abbandonati sulle sedute scomode.

Guardo la foto di questa donna. Ha la bellezza delle sante estatiche, delle anoressiche, del misticismo. Non sembra aver più nulla di tutto quel dolore che ha messo in scena. Non so se è possibile guarire rischiando. Resta il dubbio sulla prassi. Sulla sua bellezza dubbi non ce ne sono.

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