bombardamenti di una scuola a Gaza


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sono in questi fili cinematografici tesi storie affiancate. sono il soggetto della fiction esteriore. e sono il giocoliere che ballo sugli stessi fili ed ho una bacchetta flessibile che fa ruotare un piatto cinese su ciascuna delle mani mentre volgo gli occhi al cielo per non distrarmi e non parlare: perché ho letto che le parole uccidono l’amore che riposa e solo riposa silenziosamente nel sangue dei morsi delle parole. stillanti a gocce cadono le parole: apri la bocca per dire ad un cerbiatto del bosco di non aver paura di te lui sarà terrorizzato del rumore incomprensibile delle parole e incurante del frastuono, con un salto che spezza i rametti della ragnatela d’alberi, si dileguerà nel grigio del fondo e non lo vedrai mai più, capisci. così ogni volta ogni parola morde nello stesso punto e nello stesso momento senza riposo. e il discorso si contorce e si piega diversamente da prima. un serpente alla caviglia sinistra tira di qua e di là. così la frase nella propria forma racconta la storia del suo stesso sviluppo. con il suono dell’ultima parola sparisce nel bosco. e noi diventiamo un mucchietto di rami spezzati. vittime dei bombardamenti durante i processi storici di riequilibrio di forze. vittime dei processi politici di moderazione di aree del pianeta turbolente. in disparte ci lasciamo andare. braccialetti colorati ai polsi devono esser visti come frasi dominanti, cervi in fughe precipitose e visioni di estese fo-re-ste. fo-re-ste in-fi-niii-te. pochi poteri forti gridano fortissimo contro i terrapieni fortificati con i corpi dei morti di bombe di sete. i potenti hanno i piedi nel centro del dibattito. hanno sottolineato una forma pura di pulsione. un annullamento inesorabile privo di ogni legame con il principio di piacere. abolizione di qualsiasi utilitarismo. onnipotenza di una società privata di qualsiasi genere di scambio. nessuno a impedire.

rimarrai con me un estate lungo i binari? (io ci sono nato, si può dire, accanto alla stazione). resterò in disparte a lungo perché dovessi dire come agisca in me la notizia dei bombardamenti non saprei. è simile a quello che sapevo. una specie di nostalgia della verità. io so che nelle macerie sopravvive la versione fedele dei fatti. si lasciano uccidere. ci si nasce. passività fiera della vitalità immediata. non fanno che guardarti.  avevo messo la prima foto da Gaza in forma capovolta per questo. questa non serve capovolgerla. questa sostiene su il muro cui è mostrata. sostiene il mondo privo di scambi. non fosse questo sarebbe la banalità del ‘male’. il male non è banale mai perché corrisponde a pensieri di onnipotenza dei singoli. la foto delle vittime predestinate vuol dire che ancora è come nella tragedia antica e ancora manca una volontà coerente popolare a equiparare le forze in gioco. ma anche nelle alte corti essa, l’incoerenza, è nascosta nel folto delle proposte. stavo sospeso. ragazzine gridavano alla caduta dei fichi alti. era tutto l’amore che avrei raccolto. ora sono bombe. ma adesso sono le parole di condanna dei potenti che uccidono e continuano ad uccidere moltiplicando. sono i potenti coi volti telegenici gli amplificatori della mortificazione.

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