caffè


noi, domani


Posted By on Set 5, 2017

“la fine del dolore”

In libreria andavamo sempre, ragazze e ragazzi, in cerca di visibilità con la scusa della sensibilità d’animo rabdomante: l’assicella ritorta fremente nelle mani tese in avanti per sentire sul fondo la vena d’acqua. Sentirla si, quando c’era: perché l’antipatia naturale verso ogni metafisica provvidenziale ci dava la costanza di esplorare il caso, e la certezza che, seppure esso aveva la sua parte nella vita, nei casi buoni avremmo sempre saputo scovarla senza errore, l’acqua sognata.

Appostati in fondo all’animo, nella grotta del pensiero illuminato dai suggerimenti delle riviste recensorie (che avrebbero dovuto essere annotate già di per loro come elementi qualificanti il nostro intelletto fine tanto quanto riservato) per questa nostra duplice natura stavamo ritratti a mostrarci in nicchie ombrose.

Quel sussiego fortunatamente un giorno era franato di fronte al seno pronunciato della bella generosa che supplicava di lasciar perdere: che la vita è più sfrontata della letteratura

Oggi che di nuovo innalzo gli occhi al cielo dopo anni di tristezza a guardare il pavimento e incespicare con il viso tra i rami col rischio di accecarmi, oggi il ricordo mi persuade ad un nuovo cedimento e il muro della depressione latente, forma subclinica di malattia, crolla come crollava il riserbo di intelletti giovanili ai battiti del desiderio.

È tristezza che se ne va questo stare bene, è il dolore che finisce, la liberazione dalle dittature: penso.

Ma il suono che sale alle labbra, mentre il pensiero gira in quel suo modo muto, sussurra un ritornello sul futuro

“… noi, domani …..”

E queste parole sono i fondamenti di una proposizione nuova.

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una nuvola di caffè


Posted By on Ott 23, 2015

Che rimanga più a lungo l’odore di caffè nell’aria della nostra stanza.

Il fisico quantistico non computa misure. Egli definisce ‘stati‘.

L’odore del caffè si era diffuso e aleggiava vibrando quanto bastava affinché io oggi, ricordando, potessi affermare che ci si amava profumatamente. Amabilmente apprezzai le tue spalle ammantate di una proiezione blu. I miei occhi certo saranno stati a fare l’aggiunta di colore. A dare valore al pensiero che creò una verità di te che non corrispondeva ad alcuna esperienza precedente di donna.

“Nessuna come te”.

La variazione che distingue misurando una cosa dall’altra, e architetta la scala delle gerarchie tra bellezze diverse, corrisponde ad altrettanti stati fisici della funzione cerebrale. Dunque la misura delle cose è il lato evidente e illusorio di un processo composto di simultanee sovrapposizioni che è lo stato delle cose alla base del pensiero. Dicevamo: la natura fisica della realtà psichica. Ora posso chiarire: si allude ad un comportamento funzionale di base che è uno stato fisico il quale realizza e sostiene la funzione del pensiero cosciente: quest’ultimo compie la misura del mondo in modi numerosi sempre diversi. La valutazione della loro normalità riguarda se insistano o meno in aree di plausibilità, la capacità di sentirne il profumo come nuvole di caffè al risveglio delle coscienze. Eccoti che mi hai visto arrivare. Non hai coscienza del pensiero. Ma che io arrivi è, nella tua mente, sensazione fulminea: io nella tua mente arrivo prima che tu possa pensarlo.

Poi (manciate di millesimi di secondo dopo che sono miliardi di anni luce nel reticolo sinaptico) tu ti trovi piovuta sul pavimento di grigio solido e squillante che ti applichi al mondo ai tuoi piedi e ti chini sulla grana delle pietre e domandi scorrendo piano le dita che vogliono sentire il sisma scatenato dai miei passi.

Ti pieghi alle rocce del fiume e ne accudisci il corso e il fiume è mio figlio cui hai dato con la vita la franchezza.

Lenta elasticamente ti tendi essendo un compasso a levare la polvere da un angolo della luce sui vetri e la trasparenza è mia figlia cui hai regalato con la vita la volontà permalosa.

Mio figlio e mia figlia persone di bellissimo aspetto e armoniose misura corrispondono in me a canti di contralto e di basso, a romanze operistiche, a passione poetica e riflessioni sullo specchio filosofico del logos. Posso precisamente misurare di ambedue, differenti ed esatti peso e altezza. Ma affido a giri di parole e a variazioni di tono la trasmissione in volo della condizione mentale e della postura psichica riguardo al materiale che ci lega, alla consistenza della fibra amorosa, alla resistenza a tensioni proporzionali al variare delle distanze tra i continenti che  separandoci ci accolgono lungo il tempo che trascorriamo lontani.

Posso conoscere ma non misurare la forza che mi tiene legato a loro secondo quanto l’amore richiede.

La vitalità è la funzione che trasforma uno stato della mente in una azione discreta di pensiero cosciente. La vitalità coglie la bellezza nella voce del soprano all’Opera che modula ‘Casta Diva’. Della donna della ninna nanna china su uno appena nato. Dell’accordatore di pianoforti. Dei pescatori appesi sopra la rete oceanica che essi tendono con la maestria dei reciproci complessi accordi muscolari.

Procedure identiche della condizione della natura fisica stanno alla base di processi psichici che offrono continuamente risultati differenti dentro un cerchio di plausibilità. Il benessere di questa molteplicità di conclusioni non contraddittorie si amplia come la lievitazione del pane la mattina presto: prima del picchiettare dei passeri sul tetto e del rimbalzo elastico dei ragazzi sul marciapiede della scuola. L’insieme dei numeri tra zero e l’unità sono tutti i punti nel quadrato di lato uno: visti sul piano formano l’idea che il pensiero matematico possa essere, plausibilmente, una nuvola di caffè.

Nella ricerca sulla fisiologia del benessere applichiamo l’analisi del transfert secondo le procedure degli scommettitori. La precisione dei risultati migliora con il tempo. Per esempio: se devi raddoppiare l’accuratezza bisogna quadruplicare l’applicazione dei calcoli…. La vitalità sostiene questa disparità con il sorriso. Non tiene conto altro che del guadagno in termini estetici. La fatica non conta.

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Dunque eccoci a cena per scegliere quanto escludere. Cosa non ordinare. Per osservare quietamente il mondo della cucina da sale apparecchiate. Dove sediamo insieme e me che ti osservo respirare su giù su giù. Me che ti leggo le pietanze che non ascolto le mie parole. Sei testimone che è questa la verità della cena. Il mondo condiviso delle intese invidiate. Ci sarebbe assai da rivelare ma, no, è infatti in evidenza, e che vuoi rivelare. Sono decenni poco raccontati. Personali. Ininfluenti. Nessuno conta più così tanto. Anche se poi si sceglie di mettere in evidenza…. però mai la diffusa qualità. Semmai il genio. Non il cobalto né il mare né il cielo verdazzurro di Brasilia: si mettono al sole dell’osservazione le isole, i fenicotteri, il primo piano e, in poche parole, le rarità. Io, superbamente, alle cene, come un vescovo osservo altezzoso dall’impietosa mia altezza, seduto sulla pietanza al timo. Spargo i miei occhi stralunati dalle ciminiere dei vasetti delle marmellate di pere fichi pesche mele cotogne. Mentre scegliete scegliete mangiando già con gli occhi e consumando il dopo cena che invece dovrebbe essere, della cena, il piatto forte (salvaguardato sappiamo tutti perché…) sfamo gli affanni con la fantasia pseudo-aristocratica in realtà snob, solamente e miseramente snob (se sai l’etimologia): fantasia che lotta contro i morsi della fame. E con te accanto e gli altri sorridenti sopra i piatti bianchi e tiepidi si ergono sull’agora delle palme di tutte quelle belle mani ben lavate e profumate eroi-guerrieri stravolti dagli orgasmi con le ‘madri’. Fantasia sovversiva di incesti inevitabili per la penuria di vettovaglie nell’assedio, per la carenza di alimenti cui mi consegno anche oggi circondato dalle linee asciutte che voglio per me. Stecchi di gambe magre così che palustre è l’aggettivo che meglio si adatta alla mia cena. Palustre acqua smeraldina lascerei sgorgare con ruscelli di parole nel verde di erbette e ramoscelli. Poche parole, strette come mani impaurite. Così strette da far salire nella mente qualcosa che frigge il disegno di un fulmine di fortunale e mette insieme energia e tempo: direi…. “ostinazione”! La ricerca ostinata. Composizioni di persone su divani e seggiole antiche e cuscini in terra. Giovedì composero una scala di clavicembalo ben temperato. Do, do diesis, re, re diesis, mi, fa, fa diesis, sol, sol diesis: se vedi è nella grafica del disegno illustrativo precedente ad oggi. Vuol dire: una ragazza, un ragazzo, una ragazza, un ragazzo, poi accanto due ragazze ancora che si succedevano (mi e fa) secondo l’intervallo di un semitono e poi avanti fino al sol diesis. Legami di sangue. Intrecci di pensieri intravisti oltre il fumo profumato che sale dalla matassa succulenta dei tagliolini. Anche il pranzo della festa nel brusio e nel vapore richiama i fasti del laboratorio di chimica e elettrofisiologia e le cucine, si può anche aggiungere, come io credo sia il pensiero dei fisici contemporanei. Istrici e volpi ribelli della scienza. Penso, mentre ceniamo, alle cose meravigliose che mi mancano ancora da conoscere. Perdo appetito e mi viene l’orgogliosa umiltà che è il tempo che mi mangerei. In fondo, da ora in avanti, il poco di comprensione, quel tanto in più di quanto sarebbe stato normale aspettarmi, non sarà che provocazione anoressica. Offesa di  bicipiti deboli, e quadricipiti esili: sottili segmenti acuti attaccati saldi alle ossa in risalto, come le cavallette appese alle canne sulla curva per il mare, l’ultima prima della duna che va perennemente a fuoco ogni agosto e cuoce i piedi e la fronte.

Signora contessa…. vieni alla ricerca, stacca il biglietto con un morso uguale pieno di saliva di piacere quando affondi la vita delle tue labbra rosse attorno ai fianchi di quei fichi secchi che pochi rarissimi chef offrono, su tovagliette di lino, uno per ciascuno dei commensali arrivati fino alla fine: oltre il fiume dei caffè, solo per chi non teme l’insonnia.

È adesso l’ora buona di smettere di piangere per la ricchezza delle cose mai staccate via per sempre. Nella ricerca trascorsa fu sempre il futuro prima di tutto.

Mi sono regalato, in cambio di una serie di difficoltà e rifiuti, tutto quello che a tutti, quasi tutti, manca ad esser ‘pronti’ per la notte.

 

 

 

 

 

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