certezze


garantire la diseguaglianza


Posted By on Feb 24, 2014

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“FERMARE IL TEMPO”
copyright: claudiobadii

Aver voluto essere fin troppo presente. Uno per tutti può bastare nel pantheon. Non un esempio. Proprio uno in carne ed ossa: chirurgo, muratore, contrabbandiere, frontaliero, operaio, disegnatore, danzatrice, rivoluzionario, oggetto di pensiero creativo, personaggio di un sogno. Fermare il tempo e il mondo in un’occasione e una figura d’insieme. La democrazia non resta ferma, nel pensare continuo caratteristico della vita mentale che ha origine materiale. La socialità avrà dunque il compito, non di tenere tutto sospeso in attesa delle nostre passeggiate in piazze e strade, ma l’altro compito di garantire la ‘diseguaglianza’ che tiene vivo il desiderio.

Quando la mia casa è invasa da troppe persone che fanno ognuna cosa diverse che non condivido, mi ritraggo in una stanza. A cercare qualcosa che mi calmi e mi tolga l’incomprensione. Mi consolava stanotte la visione televisiva di una scultura di marmo bianco di Picasso. Ampia pesante ‘calda’. Sempre un’operazione ‘plurale’ alla conclusione dei suoi manufatti. I giganti che disegnava accorenti lungo cieli di spiagge sono essi stessi mastodontiche baleniere piene di ambra grigia a esprimere il profumo della originale biologia che ‘fa’ il genere ‘umano’. Le sue statue che ricordo bianche o colorate mi fanno pensare per contrasto ad un arte differente dall’arte che lui ha “còlto’ che ha ‘visto’ lui solo. Quella non sua è arte degli altri, l’arte magra. Quella che ha lasciato come unica possibilità. Lui, all’opposto era febbrile, florido e fertile ma cercava…  che cosa? Fino alla fine -ogni giorno- non ha mai smesso di cercare e teneva lontani tutti. Da ultimo anche i figli. Era solido d’anima e perseguiva -perseguitandola in verità- l’arte: come a quei tempi forse si pensava di dover fare con una femmina. E mi pare proprio, a vedere quelle statue e quei giganti lungo le spiagge celesti, che l’arte fu colpita e che è rimasta offesa nella ‘volontà’ e che dopo di lui abbiamo avuto una generazione di opere in anoressia. L’arte era vinta -forse- più che innamorata, e si arrendeva sotto le montagne di marmo caldo torrido dei disegni dei quadri delle sculture, delle litografie. Quel poco che si ha di lui che lavora mostra che non aveva esitazioni e non sbagliava niente. Unico guidato dal sentimento e mai dal pentimento. Gli occhi di neonato tutta la vita se li è conservati con il lavoro quotidiano. Il ritardo della riflessione esclude il genio. Per divertimento scrivo il suo diario, come un analizzando potrebbe scrivere fogli del giornale di bordo del proprio medico. Gli analizzandi analizzano il contro transfert. A garanzia. Picasso disegna cose impresentabili, trova forme che non c’erano state mai. Scrive:

“Ogni tanto chiedo l’elemosina e non sono i momenti peggiori. Del resto, del tempo senza pietà non vale la pena di accennare. Del lavoro quotidiano sono convinto che è una cura definitiva. Se anche soltanto adesso posso dirlo è da molto tempo prima di oggi che pratico l’esercizio. Nel tempo ne ho viste e chiamo ‘pietà’ la rarità dei momenti quando questo ‘lavorare sempre’ suscita una convinta comprensione, e chiamo ‘elemosina’ il lavoro solitario senza risposta. Non so come sia che nonostante non possa parlare di un successo che mi abbia davvero soddisfatto, che non c’è stato mai, in animo non conservo il sentimento di aver ricevuto né elemosina né pietà. Tutto quello che penso, di fronte alle mie statue di giganti e di uccelli e di marziani e gufi e tori e colombi…. è che ho sviluppato, nonostante tutto, fantasia e conoscenza.”

Già, ecco gli scherzi della solitudine. Mi serve di illudermi di conoscere i pensieri di chi va via dalla stanza illuminata ma non so far altro che disegnare le loro ombre. Si dice che l’artificio di circoscrivere il niente, per non dimenticare chi andava lontano, sia stato alla base della navigazione e dell’attesa. Il contro transfert si piena di colori forti e decisi.

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Newton def.

“La Notte Chiara Del Signor Notwen”
©claudiobadii
per
OPERAPRIMA

L’albero di mele sulla curva terrestre dell’orto/giardino: cadente verso il prato di stelle la mela lascia la terra e, contro ogni (legge di) probabilità, galleggiando, sfugge l’attrazione terrestre e vola (dunque cade) sopra il ‘basso’ cielo e naviga ‘giù’ verso l’infinito nero azzurro. Il nero pentolone siamo addirittura ‘noi’ verbi stregati attorno. Ooh insomma! La poesia del suono che se ne va al linguaggio verbale è ormai ragione, e cresce, e si sviluppa, e si fermerà soltanto alla morte biologica nello splendore della coscienza di aver vissuto bene. È come io raggiungo te, con la convinzione che sia bene anche questo viaggio, e, per la solidità delle mie convinzioni, l’andare senza ritorno di questo amore verso te consuma tutti i tuoi e i miei sogni, portandoci nel gorgo sensuale.

Non ci sono parole dici ed è vero.

Il mormorio nella gola va dalla parte opposta a quella su cui si distendeva, fino ad un attimo fa, il linguaggio verbale della seduzione. L’abbraccio e il camminare è dalla parte opposta alla descrizione del cielo. La vitalità del riposo, e del sonno dopo il rapporto, va ‘sulle tracce’ della nascita, alle orme che l’acqua e la carne lasciano addosso al feto che poi diventa neonato. Il linguaggio verbale cosciente chiama ‘musica’ la ridondanza che si svolge tra ogni istante della vita neonatale e il parto. L’inizio ha estensione e durata. Qui si ferma, in un singhiozzo di commozione, la comprensione condivisa del fraseggio. ‘Motivo’ e ‘conclusione immediata’ dell’uguaglianza tra esseri umani, la vitalità consente la genesi del pensiero dalla materia stimolata dalla luce, ma determina differenti capacità di immaginare. Ognuno va per la sua strada con l’eco della musica.

Oggi hai sfiorato una pozza di pioggia e hai detto che tempo!! per sorridere di niente. Ed è tutto, per quello che ci riguarda.

Io invece studiavo: il pensiero è non cosciente là dove si genera, e poiché esso continuamente si genera, essendo funzione della attività costante dell’apparato cerebro/vascolare, è anche sempre (continuamente) non cosciente. Non ha sempre (non ha mai, dunque) soltanto se stesso al proprio cospetto. E nel momento in cui vuole voltarsi a cogliere la propria emergenza dalla materia, per individuare di che natura esso stesso sia fatto, nota esclusivamente una trasformazione alla propria origine. La qualità dell’intero pensiero è di essere costantemente ‘curioso’ della propria generazione ed è, su questo margine: laborioso e silente, monacale e conventuale, primitivo e sapiente, costantemente indicibile, perdurante e ridondante, di natura fisica inespugnabile.

È segno di privazione di fantasia definirlo ‘inconscio’: così si altera la possibilità di considerarlo intero secondo la sua realtà anatomica e funzionale. Non è un’idea sensata proporre la dialettica tra differenti stati della coscienza come strumento per la conoscenza della vita mentale. Il pensiero che vuole cogliere la malattia deve cogliere stati della materia e non significati metaforici nel pensiero di un racconto. La ‘trovata’ psicanalitica è una invenzione filosofica: è fuori dalla realtà mentale delle durate.

La genesi non è epica letteraria, può solo essere cronaca di un sentimento -un sentimento continuo (in verità )- in cui non ci si volge avanti a cercare parole, ma si cercano segni di incalzanti chiarezze, di evidenze. Non si deve sottrarre al pensiero la notazione perturbante che esso origina da una trasformazione della realtà biologica in un processo che si svolge dentro gli ‘apparati’ nervosi. Dunque disegno curve, lineette, punti privi di superficie, segmenti di differente spessore, derivati dell’esplosione di bozzoli da seta, nello spazio nero e grigio, disegno piccole ali irriconoscibili, frammenti di ali.

La mela scagliata in alto, che non torna, è la natura del pensiero dei geni ed è l’essenziale minimo della ricerca scientifica. Disegno il falso nulla dell’oscurità senza fine che dovrebbe inghiottirle, la scienza e la genialità che sostengono gli affetti, però il disegnare è tutto intero un sorriso, perché so che il nero nulla è il tratto colorato di una metafora letteraria. Perché invece, poi, la mela, la trovi che si muove splendente, in un universo che non ha un centro, del quale sembra essere addirittura l’unica ricchezza. Il ricordo di quello che ero nell’essere ammalato sono foglie e fantasmi di foglie.

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l’appuntamento sul confine


Posted By on Mag 18, 2013

Bird

“L’Appuntamento Sul Confine”
©claudiobadii
per
OPERAPRIMA

Come il nero smentisce l’ideale conformista del colore, l’inconscio che sancisce le figure -come non fosse vero che esse sono solo soggettività ineliminabile- diventa, proprio laddove si finge mitologia e patrimonio di rappresentazioni universali, un luogo comune. Il pensiero scientifico cosciente del medico, che affronta la malattia mentale, dovrà cambiare atteggiamento. La malattia è sempre biologica. Più o meno direttamente. Il pensiero scientifico cosciente del medico non riesce a adeguarsi all’ideale conformista di malattia dell’anima, e la proposizione ‘malattia dell’anima’ perde le ali della proposizione scientifica, restando tra le pagine dei libri di storia della medicina. Non possiamo più estendere la fisica della malattia alla natura spirituale. L’anima è incorruttibile poiché approfitta del proprio ‘non essere’ – di fatto non essendo derivata dalla realtà materiale. La malattia -in relazione a quanto si tenta di chiarire su ‘essere’ e ‘non essere’ dal punto di vista della rilevanza del proprio riferimento originario- riguarda ciò che è realtà dell’esistenza biologica. E, in relazione alla malattia del pensiero, riguarda la fisiologia che sottende l’attività biologica alla base della attività mentale: che è una.

Una volta sola siamo rimasti insieme. Dici che è poco. Ma una sola volta è il nero smagliante. L’albero luccicante di luminose scarpe. L’arborescenza delle cellule cerebrali legate una all’altra. La foresta del pensiero che è il ricamo di uno scialle e le pagine di letteratura araba. La mente è iconoclasta, perché l’essere è fondato sulla funzione della vita psichica nota come ‘soggetto’. Questa ‘cosa’ denominata vita psichica si dice, da molte parti oramai, che possa essere definita ‘immagine’ e che essa derivi dalla attivazione luminosa della biologia cerebrale (per via della luce che colpisce la retina al momento del parto). Il pensiero alla nascita corrisponde dunque ad una fulminea inondazione elettrica neuronale (che può anche essere poeticamente definita uno moto divino sul mondo delle cose). L’immagine primaria è certamente un ricamo di architetture urbane ed è caratterizzata da una improvvisa presa di distanza dall’inerzia. Lo studio della vita mentale è effettuato dalla coscienza interessata del pensiero, che si rivolge alla materia da cui esso deriva.

Il pensiero che indaga sul pensiero non è scienza medica. Esso è, certamente, stupore: stupore delle figure come si ottengono durante la creazione umana, e stupore nelle insenature dei salti che interrompono la continuità altrimenti armoniosa della natura inanimata. Il pensiero che indaga sul pensiero non ha colto l’essenziale della ricerca medica : studiare le ore fenomenali dell’appuntamento sul confine del giorno con la notte. 

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come scende la febbre


Posted By on Mar 21, 2013

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Sintetizzare legami tra certi dati in una formula che esprime una ‘legge’ naturale è un processo meccanico. Ma non è affatto un processo meccanico quello di decidere se una data formula sia o non sia il tipo di formula che ci serve. Si trovarono verso gli anni tra 1930 e 1940 mezzi meccanici per lo sviluppo di sistemi matematici formali. Tali mezzi furono certe ‘macchine’ che dovettero aver funzionato prima della loro costruzione nell’ambito mentale. Türing era un logico.

La massima incompetenza è il mare che sprofonda sotto di me al semplice pensiero in questione. Pure le idee necessarie alla tenuta dell’edificio teorico sono intuizione, decidibilità, incompletezza dei sistemi, qualcosa nella mente che sta al di là della meccanizzazione.

Come raccontare l’eterno presente dell’identità non cosciente, il nastro ritorto della mente uguale al nastro dei tuoi capelli, nella mente il nastro ritorto avvolto stretto intorno ai tuoi capelli. Le cose più difficili da condividere sono quando non c’eri. Ora nel presente è viva la pretesa di farti partecipare alla vita prima di te. Volerti portare indietro per farti essere per sempre insieme a me. La macchina del sentimento funziona nella mente, è una macchina logica come è logico che io ti sia legato.

Esprimere con certe parole le cose ideate è un processo meccanico, la stimolazione del ricordo e dell’immaginazione sulle aree motrici del linguaggio e sulle aree dell’iniziativa a parlare e scrivere è pur sempre un processo meccanico di stimolo e risposta. Ma non ha le caratteristiche di tale riflesso tutto quanto serve a stabilire quali espressioni tra le molte che si presentano sia quella giusta. La logica della necessità di affermare che ti voglio nei ricordi quando non c’eri non ha alcuna giustificazione ‘logica’.

Non se ‘logico’ dove mantenere il senso di qualcosa che è inderogabile e conseguente secondo leggi di prevedibilità.

Non siamo una scienza esatta. È la mente aleatoria che ha costruito suoni linguistici corrispondenti al tentativo di calmare l’aleatorietà del mondo: questi suoni compongono la locuzione ‘Scienze Esatte’.

Ma io ora non sono altro che questo volere te nel tempo quando non c’eri. Questo è l’innesco della macchina. Visto come siamo leggeri nei pochi minuti che ci scontriamo gli sguardi al caffè ogni mattina ho scritto ‘la macchina di Türing’ quasi evanescente lasciando la preposizione DI come un disegno forte che unisce.

Per chiunque sia in grado di percorrere avanti e indietro le stanze preoccupato di non trarre da una giornata almeno una parola.

Senza di te

è passato

come scende

la febbre.

 

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“C’est une chose beacoup plus profonde que l’inconscient, si vous voulez!”

\ L’idea dell’oggetto manufatto che diventa opera d’arte solo in quanto scelto dall’artista prosegue il suo cammino e nel 1914 Marcel Duchamp designa con il nome “readymade” la prima opera ufficiale di questo tipo: un porte bouteilles, un égouttoir, un sèche-bouteilles. La domanda chiave era naturalmente quale motivo avesse portato avanti l’idea: ad essa Duchamp rispondeva: “C’est une chose beacoup plus profonde que l’inconscient, si vous voulez!” (E’ una cosa molto più profonda dell’inconscio!) / (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione di Pontus Hulten)

Dunque vado sviluppando la ricerca intuitiva (certa) a proposito del non cosciente che lega la clinica all’amore e all’ingigantirsi dei dati singolari e irripetibili. Invece di essermi garantito che non andrò a finire male (non farò una brutta figura) cercando prima dove fosse andato poi a finire Marcel Duchamp ripeto il coraggio di trentasei anni fa. Il 1976 quando sceglievo una certa teoria appena accennata. Per necessità la cura e per passione di politica e scienza il tentativo di comprensione delle proposizioni scritte in un libro.

(“Da sempre chi non è donna non è bambino e non è operaio domina chi è donna chi è bambino e chi è operaio. Da sempre il non-essere domina l’essere. Tutti lo sanno e tutti nascondono accuratamente il proprio io“) (“Istinto di Morte e conoscenza” – M.Fagioli – ed. L’asino d’Oro – introduzione alla prima edizione)

Nello studio di psicoterapia e poi nella stanza dell’analisi collettiva e tutto contemporaneamente senza ancora una forma e solo grazie all’idea di immagine del tempo avvenire andavo insieme ad altri. Fantasia ricordo si ripeteva scimmiottando senza sapere che si fondava la possibilità di arruolare gli sbandati che saremmo stati dopo lo scontro quasi mortale … proprio trenta e più anni dopo: adesso. Dopo è adesso.

Dilungarsi c’è tempo e poi devo seminare i persecutori e le spie dell’io razionale. Senti dolcezza: Duchamp dipinge nel 1912 il “Nudo Che Scende Le Scale” con la magnificenza di tutte le favole dei saliscendi. Saliscendi dalla gloria all’irrilevanza, dall’apertura alla chiusura degli umani orizzonti, dall’apertura alla chiusura della forbice del desiderio, dall’estenuazione dell’aspettativa alla sabbia della delusione.

A lungo si è speculato sul motivo per cui Guillaume Apollinaire avesse incluso Marcel Duchamp nel suo volume “Les Peintre Cubistes” (1912). Marcel Duchamp aveva allora 25 anni e Apollinaire molto probabilmente aveva visto soltanto poche sue opere, e neppure molto significative. Quando lo scrittore terminò la prima stesura del testo, Duchamp non si trovava a Parigi, ma a Monaco di Baviera e potrebbe quindi non essere stato lui a mostrargli il “Nu Descendant un Escalier” che Glaizes e Metzinger avevano rifiutato di esporre al Salon des Indipendants nel marzo dello stesso anno. ( …. ) una ragione  ( … ) è che sia stato Francis Picabia a chiedere ad Apollinaire di inserire Duchamp nel libro. E il desiderio di Picabia aveva un peso notevole, dal momento che finanziava la pubblicazione del volume. ( …. ) Quel che è certo è che alla fine Apollinaire diede a Duchamp il posto più importante nel libro: (….) e conferì a Duchamp il ruolo del giovane artista fautore della grande arte del futuro. La frase conclusiva nella nuova versione del libro ha una forza enorme: “Il sera peut-être réservé à un artiste aussi dégagé de préoccupations esthétiques, aussi pré occupé d’éneergie que Marcel Duchamp, de réconcilier l’Art et le Peuple” (Sarà forse compito di un artista tanto distaccato dalle preoccupazioni estetiche, tanto pieno di energia quanto Marcel Duchamp, riconcoliare l’Arte e il Popolo) (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione di Pontus Hulten)

Riconciliare l’arte con il popolo. Mah, dolcezza, che dirti, forse ci sono leggere sfumature d’ombra, imprecise e imperfette relazioni. Il non essere che domina l’essere. L’estetica del potere simmetrico e rigoroso e poi un attimo di asimmetrica disattenzione per l’estetica comune. Chissà. Ti scrivo, copio cioè per amor tuo. Tu che non hai mai voglia di leggere tutto quello che sarebbe necessario. Copio qualcosa sul cubismo che certamente -capirai al volo- era meglio non aver trascurato, che era meglio che tu avessi saputo da venti anni. Ora conti gli anni che hai perduto. Venti anni perché non hai voluto conoscere. L’amore critico che ti regalo mi stanca. Scrivo dolcezza. Copio.

Sembra evidente che l’idea del collage introdotta da Pablo Picasso e da George Braque nel 1912 abbia suscitato un profondo interesse in Duchamp, anche se non ne realizzò mai. Nel collage cubista un elemento della realtà, per esempio un ritaglio di giornale, viene prelevato al materiale presente nello studio dell’artista e introdotto nel dipinto come parte integrante. Il trasferimento indica che lo spazio dell’opera è equivalente allo spazio dello studio. La prospettiva ‘inversa’ del cubismo aveva già affermato che lo spazio del dipinto era nello spazio dello studio sviluppando quest’ultimo al di qua del dipinto e non, come nel caso della prospettiva rinascimentale, in uno spazio più astratto dietro la superficie della tela dipinta. La costruzione dello spazio del dipinto che si apre nella stanza, nello studio, sembrava meno illusoria, più ‘vera’. (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione di Pontus Hulten)

Dunque tutto per suggerire ipotesi di ricerca: un blog che allinea materiali còlti e tolti nella stanza del rapporto di cura e ricerca ha caratteristiche cubiste. Anti-rinascimentali o inverso-rinascimentali. Pensa a tutto quel voler capire di tutti. Invece di fare un’operazione glottologico\ acustica di lettura esclamata. Invece di curarsi l’ugola muta e sentire al fondo della gola la carne pulsante di un capo del discorso da cui potrebbe scaturire uno sgorgare di gomitoli lattescenti di materia di realtà non illusoria. Non irreale. Ma per questo devo leggere tutti i libri comperati oltre le mie stesse possibilità economiche. Capirai che solo investendo l’impossibile posso sconfiggere l’invidia, dolcezza. Il libraio dice che non devo avere il tempo di leggere tutto. E io il tempo lo trovo. Poi ho l’intellgenza per supplire a quanto non ho la pazienza di leggere. Come ho avuto l’intelligenza di rifiutare consolazioni quando erano facili. Scambio il rifiuto delle consolazioni di un tempo con la attuale capacità di leggere poco riuscendo ad immaginare il resto.

Se pure tu (che hai sempre detto “t’amo t’amo t’amo t’amo non sai quanto t’amo” lasciando vibrare l’apostrofo come un pezzo di carta sgrammaticata o come una virgola sovra-posizionata o come un frammento di pensiero senza forma definita con cui facevi un collage di atti di erotica provocazione coi sospiri d’anima che sottraevi alla tua vecchia avidità di ragazza pigra per farmi sognare) se anche tu, dunque, non ti eri messa nella condizione della nudità intelligente di sapere senza aspettare se valesse la pena. Allora ho scoperto che era in te, seppure insospettabile (perché in te no! in te non può esserci pensa sempre l’amante invidioso) l’avidità dell’invidia. Era nella negazione di volerti, tu come molti, assicurare prima se -quanto sempre potremmo anche saper fare e sempre comunque riuscire a sapere- varrà la pena d’essere fatto e saputo. Io, diversamente da te, m’ero inventato che fosse bella la denuncia del non essere che domina l’essere. Non fu per tutti vero. Seppure fecero finta di aderire. Molti sono ancora là per incredulità. La mia credulità mi è costata trenta anni di prigione. La prigione mi regala una ruota di bicicletta e posso dire:

Capisco !”

Adesso fuggo sulle ali dei geni. Con le loro ali. I geni depongono le ali fuori della camera degli alberghi che li ospitano. Insieme ed accanto agli stivaletti delle eroine con le quali trascorrono la morte delle luminarie. Niente di scontato mai. Figurati che può valere la condanna della colpa all’infedeltà che per me è un destino. Dolcezza, c’è qualcosa di più profondo dell’inconscio. Oh sì. Finalmente ci si libera con la sapienza vetusta di uno dei tanti anticipatori di figure. Duchamp aveva presentato quella ruota di bicicletta.

Cerchiamo di ricostruire la storia della nascita dell’idea di readymade. Marcel Duchamp rispose ad una domanda  in proposito dicendo che la ‘Roue de Bicyclette’, il primo readymade (1913), girando gli ricordava il fuoco di un camino. Dalla campagna si era trasferito a Parigi e gli mancavano le vampate di quel fuoco. Ovviamente la ragione profonda per la creazione dell’opera non è l’idea di sostituire faville, ma si potrebbe trovare una risposta più bella e poetica?” (Marcel Duchamp – Bompiani – 1993 – introduzione)

Ovviamente, dolcezza, il ricordo è fantasia. Le faville non sono il motivo della proposizione di una ruota di bicicletta. Il motivo è il calore della possibilità, il caldo convesso del seno. La certezza che ci sono amori per me. Questo è scrivere. Affermazione che non sarà nell’inconscio che troverò amori consolanti ma nel più profondo del presente. Nonostante l’eterna invidia. Mi farò gli occhi nuovi d’affetto. Dopo trentasei anni dall’inizio. Dopo cinquantasei anni dal primo giorno di scuola dove si va per imparare a leggere e scrivere. Per imparare a servirsi del desiderio della conoscenza. Poi si va da molte parti vagando. La ruota della bicicletta sta là a scaldare la vista con la qualità degli arcolai.

Un tempo senza figura come l’aria tra i raggi delle ruote delle biciclette ovunque fossero state dimenticate….

 

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