cinema!!!


cinema d’essai


Posted By on Feb 24, 2017

Il muro è materia viva. Uno spigolo ne segna la fine. Da là sei entrata nella stanza delle cerimonie. Le liturgie ora ci piacciono. Ci vuole esperienza ad apprezzarle. Si tratta di un illusorio arresto del tempo. Come in amore si chiudono porte e finestre. Ma quello che conta è il muro e l’angolo da cui arrivi. Io mi costruisco candele con grasso di scarto. Faccio luce su noi. La stanza delle cerimonie è una cattedrale elettrica. Il giovane dr. Frankenstein. Anatomia e scintille. Il 1800 scorre sotto i tuoi passi. Lungo il muro degli anni sono corpo e pensieri. Cammini e alludi: le fessure del tempo: i passaggi segreti. Attraverso te intravedo gli anni futuri. So sempre un po’ di più tacere invecchiando.

I filosofi hanno interpretato il mondo e adesso bisogna eliminare la dialettica e parlare con gli occhi. Metafisica del silenzio. Lentezza antica del camminare alle pareti scure delle grotte. Fortuna evolutiva aver fatto, la materia, un piccolo frammento di tutto quello che si poteva fare. Adesso, prima di rivoluzionare il mondo, passo dopo passo trasformare il modo di pensare.

1970: “Istinto di Morte e Conoscenza”. Le navi beccheggiando percorsero il mare cerebrale. Descrizione delle cose. Industria della produzione. Poi improvvisa la Teoria della Nascita. La scoperta della necessità di una funzione specificamente umana: la Vitalità.

Adesso, in un modesto cinema: “In the Mood for Love”: seguiamo il lavoro inventivo dei registi. Lei che esce dall’ombra del muro. Vedi l’evoluzione del pensiero nella creatività artistica: rende evidente la natura fisica della poesia. La nascita delle idee dalle onde di arazzi sovrapposti. Anatomia e fisiologia cerebrale: strati di nuvole, tempi sincroni che ci benedicono ogni momento.

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balene


Posted By on Set 4, 2011

blow up

balene

Dunque poi nella ricreazione di un nome comparivi volto corpo e desiderio di noi. Se posso ancora azzardare. Tutto nel silenzio del pensiero che essendo -come risulta alla ricerca- tempo privo di qualsiai estensione, ci lascia allibiti che si possa parlare di corpo e desiderio che dovrebbero riuscire senza significato in assenza di spazio.

Comunque le cose stanno così: una volta che sei diventata immagine sei diventata anche tempo e posso dire di te, sognarti, esporre questa miracolosa idea allo stile di antichità della scrittura d’amore: così tutti ora si inginocchiano sul marmo consunto degli scalini scavati dalle suole dei devoti.

Il pensiero si evidenzierà di nuovo al meglio nella liturgia dei metodi della ricerca. La conta – delle donne e i ragazzi sulle scale al forno alle fonti e dei penitenti dovunque – provocherà di nuovo i confronti tra quanto ha una linea di figura, insomma un confine, e tutto quello che precede le parole che ha la mancanza di finitezza del segno.

Si ricreerà una forma di relazione che per non finire si abbraccia all’albero e confonde nelle onde i corpi umani e studieremo il pensiero matematico che aveva creato il simbolo dell’infinito quando fu stanco di contare e studieremo la sua differenza  dal marmo scolpito che si consuma -invece- mostrando che l’infinito non esiste se non come evidenza dell’usura appassionata.

Vedrò allinearsi sulle scale le donne -a perdita d’occhio. Dirò a me stesso “… ecco finalmente lo spreco della bellezza inesauribile…” Mi verranno in mente le file alla fonte, al banco del pane e del gelato, alla linea curva del letto dei principi e -poi- di conseguenza – per gli odi tribali che non mancarono mai – alla lapidazione.

Non ci si tirerà indietro -la maggior parte- e a dire il vero la povertà non disprezzata, la pelle distesa attorno agli occhi, sorridere, la vallata delle passeggiate, tutti i pretesti buoni per uscire di casa, la fascinazione con quasi niente, la menta nel giardino, lo zucchero di canna che regalava dolci chili di troppo saranno facce dell’edificio che siamo.

Quello che siamo per adesso si può arguire osservandoci sorpresi in una istantanea che mostra come stavamo reciprocamente disposti: in cerchio, tenendoci stretti per le mani, davanti alla spiaggia. A proteggere i ragazzini dal freddo, a cantare canzoni delle giostre, tra i semidei, alla luce delle balene fosforescenti, accorse davanti al grattacielo della baia, ad arenarsi, per un amore estremo.

Noi sappiamo progettare. Questo è. E’ per via della vitalità.

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mattinata neorealista del primo di luglio del 2011 sulla spiaggia di una località di mare.

La bambina si è lasciata andare rapidamente al sonno, secondo la fisica dei corpi caldi, ai quali è congeniale il perdersi del pensiero in un mare di esasperata e rarefatta coscienza in seguito ad una condizione di massima esposizione alla luce.

Si accende il pensiero neorealista e mi rappresento i casermoni delle case popolari, le vie di una città deserta nella fornace estiva, una fabbrica abbandonata.

Questo giorno di sole intero ricrea tutto esattamente, secondo la filmografia in bianco e nero degli anni post-bellici e appena pre-ideologici. C’è del neo-realismo in questa mattina al mare, forse nelle mattine al mare c’è sempre del neorealismo, nelle nudità, nelle posture distratte, nel bello e nel brutto innegabili sotto i vestiti, in quelle confessioni dei propri difetti quando la spiaggia somiglia ad un fonte battesimale, e il colpo d’occhio è quello di una liturgia della confessione collettiva, in presenza del peccato di approssimative estetiche dei corpi , in un film girato senza attori professionisti: noi, disseminati qui ad abbronzarci, con il fulgore di una totale ignoranza gli uni degli altri. Di certo è neorealista l’ambito del ricordo sotto il sole, rimanere assorto come un  ragazzo di borgata – ladro, al bisogno – : uno che vive di espedienti e che oggi, infatti, per la propria imperdonabile imprevidenza, protegge il sonno di una ragazzina restando diritto al sole come un albero senza foglie.

Uno che potrebbe non aver mai finito di ripensare gli anni settanta, l’inizio della ricerca ( 1972 “Istinto di morte e conoscenza”) , il fantasma dell’ideale, perduto nel pessimismo – dopo la legge truffa del ’53 – a proposito della possibilità di una vittoria elettorale sullo spirito religioso propugnato come realtà umana dai cattolici. Uno che di malavoglia ha spesso accettato di sè – tra mille figure delle immagini del pensiero – quella di un ladro di biciclette, uno a cui, stupidamente, resta appiccicata addosso l’idea che la povertà ha una sua magia, che sono bellissime avventure i viaggi sulle corriere sgangherate per colmare la distanza tra Roma città aperta ed Aci Trezza. La magia di quelle atmosfere mi ha preservato dalla rabbia definitiva, dai manuali delle rivoluzioni armate. Intanto, immobile, cavalco il sole di oggi, sulla sella della tenda del sonno denso e profondo di una bambina. Per ripararla mi metto in piedi tra lei e il sole. La copro con una maglietta, un paio di pantaloni stinti, un lembo di un foulard dove la mia ombra non arriva. E’ un miracolo, volo via su una scopa da netturbino, in una mattina d’inverno: realtà del pensiero cosciente che, dopo la rivoluzione, viene costretta a realizzare l’immagine della potenza delle narrazioni poetiche del mondo, senza il delirio che confonde il sogno con la realtà.

Ritto a fare la sentinella, scrivo del perdersi del pensiero in un mare di coscienza rarefatta, perché la prolungata esposizione alla luce scioglie i contorni delle figure. Il pensiero è appena sufficiente a mantenere una postura vigilante, in una realtà che si è sciolta in una luce eccessiva, e non consente la percezione delle cose, la rassicurazione degli oggetti. Questa condizione di povertà essenziale, di testarda sopravvivenza del pensiero sbucato come una fontana di sabbia nel deserto di figure, somiglia alla cena frugale dei diseredati, alla messa in scena della danza alle feste degli emarginati. Tutta la mia vita somiglia al percorso romantico ripetuto ed allegro che chiamo ‘la ricerca sul pensiero umano alla nascita’ ( per via della più volte evidenziata scoperta del 1972 ): quel pensiero che prescinde dalle cose, perché la condizione originaria della attività mentale umana ha la natura di una realtà senza coscienza, che riposa sulla trasformazione della materia biologica in una condizione vitale, specifica, che avviene nel feto in prossimità della conclusione del parto: al primo stimolo luminoso, proveniente da ‘fuori’, l’incendio delle sostanza cerebrale è definitivo e invade il mondo. Si nasce realizzando la fisica dei corpi caldi, ai quali è congeniale il formarsi del pensiero come un mare di generalizzata e rarefatta fluttuazione energetica, in seguito alla fulminea attivazione della retina per l’esposizione del feto alla luce.

” La presenza di scene realistiche che non hanno alcun nesso con la storia raccontata, le panoramiche sui luoghi reali e sulla gente comune, determinano in maniera palesemente evidente un grande stacco dagli stilemi del cinema classico.” (il neorealismo cinematografico) Il neo-realismo è nuovo perchè ha quel modo di trattare la ‘realtà’ lontano dagli stilemi, ha talvolta anche il coraggio di proporre il sogno e l’ideale povero della speranza come un aspetto magico e tragico, critico e/perché onirico. Per questo, forse, è legittimo che stamani sotto l’assoluto del sole – insieme al particolare e contingente di nudità differenti e solo approssimate all’ideale classico della bellezza dello stilema apollìneo – sia scattata la trappola che mi imprigiona il piede nelle città della distruzione e della ricostruzione, dove si svolgeva la lotta dei narratori dell’immaginario collettivo i quali, forse, avevano percepito l’opposizione ( prima del 1972 non si può parlare di ‘rifiuto’ ) contro il fascismo sotto forma di una serie di rappresentazioni differenti della realtà. Insomma un (nuovo) realismo, possibilità universale e specifica del pensiero umano quando non è più pensato esclusivamente come narrazione e poi riflessione cosciente .

Se dunque nella citazione sostituisco “gli stilemi del cinema neoclassico” con “la descrizione della realtà degli esseri umani secondo l’esclusiva percezione cosciente della realtà del mondo circostante” è possibile giustificare la mia attuale presenza distratta sotto il sole, al cospetto della ragazzina che dorme, come una messa in scena nuova e magica, in cui la realtà delle cose viene trascurata, per l’imposizione di forme di rappresentazione assolutamente fuori contesto, ma non scisse dal reticolo succoso degli affetti suscitati dalla stimolzione termica diffusa sul mondo dal sole che sta addosso a tutte queste persone sulla spiaggia.  Se si vedesse, nel sonno denso, la materia del pensiero, potrei sperare di mettere assieme: – la speranza neorealista di fondare un umanesimo degli emarginati attraverso la poetica della rappresentazione artistica di classi popolari forti, – la mia assoluta insignificanza di attore non professionista tolto dalla strada stamani e messo qui sul mare a far da palo all’audace colpo di sonno di una ignota ragazzina, – la scenografia nuova del pensiero in questo lucente abbagliare del sole che fa tutto bianco e nero togliendo ogni tridimensionalità alla realtà e la trasforma in immagine senza figure, in ombre e luci appiattite, sulla ceramica ming che è diventato questo paese di mare.

Tutto  ciò che accade è solo la scena disegnata sul vaso di preziosa ceramica, che sta sulla mensola sontuosa del camino, all’interno dell’appartamento dei ‘signori’ nel quale siamo entrati per portarci via pezzi di produzioni artistiche, di cui non comprendiamo il valore, ma che svenderemo ridendo, in cambio di pane e companatico, per sopravvivere.

” Nel 1933 la rivista ‘L’universale’ (1931-1936) pubblicò il Manifesto realista, che chiamava la cultura italiana a dare il proprio contributo alla ‘rivoluzione fascista’, un contributo critico, cioè fatto anche di dissenso antiborghese, anticapitalistico, antiidealistico e dunque realistico, fuori della logica del concordato con la chiesa” (Realismo negli anni trenta e neorealismo)

Si vedesse la densità della massa compatta di questo sonno, che riposa ai miei piedi come una ragazzino appena nato che si è arenato su questa spiaggia, scriveremmo che questa bambina alle una di luglio -che dorme- è l’ultimo libro rimasto, l’unico da cui ripartire: che è ‘Istinto di Morte e Conoscenza’ che si pone tra realismo anti-idealistico e neorealismo materialistico e marxista. Poi potremmo fare un nesso con il silenzio del pensiero che, prima, è attività della vitalità della materia della realtà cerebrale umana, e, poi, pensiero verbale, figura e, solo alla fine, iniziativa di tracciare segni corrispondenti al suono del canto, delle parole, delle frasi, per concludere la propria fulminante vita nel silenzio e nel grigio delle cellule pensanti anche nel sonno senza sogni, quando il mondo esterno – dell’energia e della luce, dell’entropia e del tempo irreversibile nelle reazioni termodinamiche – sembra del tutto identico alla pulsazione degli stati fisici dell’attività bio-elettrica cerebrale per concludere che invece essa non resta mai uguale e al risveglio racconta tutto quanto è avvenuto nell’uomo nella turbolenza del sogno che la natura da sempre rimane a dormire e il sonno della materia umana genera i sogni, che i sogni degli esseri umani permettono loro di lottare contro la mostruosità di una materia della natura e del mondo animale che ‘genera’ l’irrealtà di eventi senza storia.

Il sonno denso e breve -presumibilmente senza i sogni della fase R.E.M.- della ragazzina mi suggerire un legame tra la massa attiva del sonno profondo che devo proteggere e le rappresentazioni linguistiche che possono permettermi di non pensare a quanto scrivo: per spingermi alla scienza medica del legame tra fisiologia della funzione cerebrale, vitalità specifica della nostra specie, immagine,  figura, ideazione. Segno artistico, grafico, linguistico e di scrittura.

Prima di fare affermazioni sulla bellezza, sulla sensibilità, sulla creatività e l’ispirazione, sulla perversione indispensabile alla creatività. Prima di dilungarci compiaciuti sulla evidenza del legame tra amore e morte. Prima di dire della animalità dell’uomo, della bestia che l’uomo tiene silente, prima di esercitare ogni mattina la violenza della confusione di una antropologia che non deriva dalla ricerca ma solo dalla ripetizione, prima di definire l’evidenza dell’istinto umano con un realismo razionalistico sospetto di fascismo. Prima e per evitare una incontinenza logica sulle presunte attività mentali umane. Non è del tutto incoerente, o è forse proprio di una incoerenza creatrice, ripensare ad un sonno ‘neorealista’, breve, denso, presumibilmente senza una vera coscienza di quanto si agitava al proprio interno: un mondo onirico da cui volava via uno sciame di sottoproletari a cavallo di scope: donne, ragazzini, operai senza speranza di emancipazione.

Penso ad una montagna che mantiene il calore sùbito sopra le foglie del terreno, sopra le tane degli animali, penso in essa le vie degli orsi tra gli alberi, penso la scienza sulla nascita, l’immagine il pensiero il sonno e il sogno di cui deve essere ripopolata la scienza della storia degli esseri umani. Ricordo certe frasi che ripeto a memoria e posso sbagliare l’esattezza della dizione ma non la certezza della musica delle opposizioni e delle rivoluzioni:

“Da sempre chi non è bambino, chi non è donna, chi non è operaio domina su chi è bambino donna e operaio. Da sempre il ‘non essere’ domina l’essere. Tutti lo sanno. E tutti tengono ben nascosto il proprio io.” ( M. Fagioli in Istinto di morte e Conoscenza ). La ricerca non è mai finita.

Stamani al sole, mentre vigilo sul massiccio centrale del mondo che è il sonno di questa bambina, mi illudo sulla magia di certi capolavori neorealisti -che la nudità delle persone sulla spiaggia mi ha fatto venire a mente- che si opponeva al realismo della rivoluzione fascista senza la necessaria potenza di immagine che avrebbe dovuto rendere il fascismo irripetibile.

Nella cultura ufficiale niente si è trovato – tanto meno nella cultura di una inefficace e compromissoria opposizione parlamentare democratica di una sinistra senza teorie sulla natura degli esseri umani – che ci portasse fuori da quella contrapposizione. E allora bisogna comunque chiederci, pure dopo quaranta anni dalla scopeta della nascita, quanto la definizione del pensiero senza coscienza proprio del primo anno di vita può essere sottratto all’attrazione del misticismo irrazionalistico, senza cadere nel realismo antiborghese anticapitalistico antiidealistico e anticlericale che è -sarebbe- di nuovo comunque fascismo. Quanto si è capito che il pensiero del primo anno di vita non è ‘inconscio’ nel senso di un pensiero con ‘difetto’ di coscienza? Quanto si sa di esso pensiero e delle sue qualità? Non basterà definirlo mostruoso incomprensibile pericoloso imprevedibile infantile diabolico eversivo destrutturante. Non basterà fingerne l’assimilazione ad una qualità animale.

Il sogno neorealista di una mattina del primo luglio del 2011, in un paese sul mare, suggerisce che non c’è sovrapposizione tra coscienza e identità. Alla definizione e all’accertamento dell’identità umana sono necessari gli approfondimenti e la rifondazione in qualche caso dei termini corrispondenti alle idee di: vitalità, immagine, nascita, figura, segno, linguaggio, scrittura, pensiero del primo anno di vita. E’ indispensabile chiarire che l’assenza di coscienza nell’attività mentale di quel primo anno non significa assenza di soggetto.

Ho pensato: sarà per questo che faremo una festa con i musicisti che fanno una ricerca: perchè poteva e doveva capitare che la scienza medica si fondesse alla ricerca sulla fisica del suono, che esalta l’estetica di una comprensione che è recettività, e che è forse anche ‘guarigione’ del pensiero: una ritrovata capacità di una presenza che è ascolto che non si esaurisce nella normalità funzionale dell’apparato uditivo. Ma in moltissimi anni della ricerca sono certo che non tanto la musica e la scienza medica possono essere cambiate, e che forse si è trasformata -con una sfida di massima superbia- l’immagine dell’artista stesso, l’mmagine stessa del medico.

 

Realismo negli anni trenta e neorealismo

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commedia


Posted By on Giu 12, 2011

commedia

L’immagine si origina nel momento in cui la natura entra in contatto con la biologia umana. Le sensazioni fanno la percezione a partire da un indifferenziato esterno all’uomo che non è l’uomo o della complessità del contenuto umano dell’uomo. La percezione diventa la coscienza di una figura e più generalmente la presa d’atto di esistenza di una realtà. Presa d’atto e coscienza di realtà sono forme di pensiero composto di singole figure o di più ampie rappresentazioni del mondo. Non ancora immagine, la scena figurata del mondo descritto certamente contiene differenze evidenti, una intelligenza, una artistica capacità di tracciare margini e disegnare una creazione di regni distinti e, se non fondare un vero inizio della vita, almeno raccontare una metafora di cause ed eventi a comporre una genesi stralunata a partire…. da dio. Ma c’è un primo anno della vita in cui la percezione del mondo non organizza le sensazioni afferenti in schemi adatti alla comunicazione condivisibile con una società e gli esseri umani vivono tra tutti gli altri senza poter sottoscrivere un contratto sociale. Siamo stati in un mondo che resterà sempre le braccia del mondo, che furono e restano la verità di un esistenza legata alle tracce di un uomo e una donna che non furono mai nominate con un suono perché quanto si mormorava nei pellegrinaggi d’amore sul seno bevendo e respirando insieme era la riconoscenza per l’altro: accanto davamo pubblica lettura di poesie per la cura delle malattie e di editti per la ricerca – agli angoli più sperduti del mondo – dell’origine del tempo. È al risveglio il suono del nome diffuso sulle cose. Il sogno la notte fa le lucciole e definisce la figura sul fiume amazzonico che per la sua stessa vastità protegge l’immagine del suono della voce umana sulla barca del seno che canta. Quel mondo arduo di montagne di pollini, e maree, e polvere vocale, è il campanello della bicicletta del lattaio, il grido della principessa ferita dalle spine sparse dovunque, l’incoscienza della mano trai rami di albicocche a cercare a tentoni la più dolce al tatto, il velo di lacrime sugli occhi che resta tutta la vita a difenderci dalla cecità. Ma poi anche: la notte dei grilli, gli stagni traboccanti di rane, la tentazione di ridurre il mondo vibrante delle particelle nelle braccia delle equazioni, la scommessa sulla radiazione di fondo e, per generare ancora il nostro futuro, il fiducioso confidare nella realtà della misurazione esatta del calore del tuo costante danzare. Un anno intero a vivere distesi sulla spiaggia dove le proteste sono le impronte dei gabbiani: c’è qualcuno ancora che si ferma al mattino di fronte all’umidità rimasta negli avvallamenti. La notte gli uccelli marini migrano sulla terra a raffiche: potremmo pensare che il sogno si genera -anch’esso- da una migrazione. Nel primo anno abbiamo il nomadismo senza erranza, aristocratico e superbo, delle popolazioni del deserto che non vanno a cercare altro mondo, e che, al contrario fondano loro stessi un mondo passando continuamente sempre accanto ai loro precedenti passi, ripercorrendo i margini della culla tiepida senza noia, nella espressione esatta del pensiero senza coscienza, lo sciopero della fame senza la morte per inedia. Via via che la ricorsività svela la vitalità che sfugge la coazione, coi loro passi ostinati scrivono la costituzione che accorda loro un paese abitabile: la realtà è che il mondo è definitivamente ai loro piedi. Raccontano che la sabbia sia piena di tracce, uno sciame di creature vibranti che migrano ogni notte mentre l’uomo e la donna padroneggiano il sonno profondo ricco di luce. Ecco dunque una ipotesi differente che prova a proporre che è, sarebbe, inarrestabile quanto comincia dalla calma potente delle lacrime agli occhi, un cielo subito sopra i tetti dei paesi e delle più vaste città di sabbia, la densità dei grigi da sapere senza averne preso coscienza, in quel mondo fatto delle tracce di mille braccia di donne e uomini nomadi mai dispersi, perché hanno sognato di non scegliere granello di sabbia da granello di sabbia. Il primo anno di vita, lo sciopero della fame senza morire, non è un andare erratico verso terre promesse: è il passo sicuro dei fondatori. Alle porte della nascita essere ‘umani’ è avere la vitalità che vince e saper porre in un canto – come si stesse ad armare una bisaccia col peso di infinite deglutizioni miste a sospiri – una smisurata conoscenza, il senza figura di tutto ciò che viene. Vorrei avere il tempo di indagare la condizione umana che si genera quando, alle soglia, cadde sulle nostre mani e sulle palpebre socchiuse la distesa inarrestabile del nome, che poi rimase, tutta la vita, uno dei modi più esaurienti per comporre tutto il discorso di sé, e l’etica di una origine non più occasionale, e la ricerca sugli inganni: ma anche il tempo ritmico dei suoni che al loro scomparire facevano un silenzio che chiamava e chiamava praticamente di continuo come fosse- forse lo era- il brusio indistinto della funzione specifica del sonno profondo.

L’immagine rimane come ‘nascita’ alla conclusione di ogni attività umana ad assicurare la vitalità della funzione del pensiero.

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realtà del mondo umano


Posted By on Mag 11, 2011

realtà del mondo umano

In uno spazio ‘vuoto’ e turbinoso la mutazione in ore diverse del giorno delle tinte delle pareti – le indicazioni per esprimere il mutare della luce sul muro in un pomeriggio arioso e assolato – le finestre spalancate sui cortili condominiali – le ombre delle case su una meridiana di marmi e asfalti differenti – il sonno perché gli occhi guardano l’infinito attraverso verticali giustapposti di cielo traslucido – le cose cieche e mute – la vigilanza senza precisa consapevolezza riflessiva – l’assenza dei nomi – le macerie dell’esterno allegre e composite – il mondo sfarinato tra le macine di cristallo delle pareti d’aria giustapposte – il cedimento della percezione del molteplice e del discreto – il fondarsi di una recettività formicolante di tutto senza differenze significative – il pensiero che si riversa fuori e impone alle cose allagate la realtà del soggetto – la disposizione fisica della materia cerebrale che crea la realtà per diffusione dello sguardo sulla luce – il pomeriggio che allaga la pianura la terra illuminata il mare stesso lontanissimo laggiù in fondo e il mondo che si stende da là fino ai confini del sistema solare – la resistenza della coscienza – il disinteresse per le descrizioni che pone in decisivo discredito il mestiere di inviato di guerra – il trattato di pace alla luce traversa delle tre del pomeriggio del dieci di maggio – il mondo ai nostri piedi – la fondazione dell’impero con le briciole di terra sotto la carezza strisciante della meridiana – tu che mi vieni in mente come un’ombra che ruota con l’eleganza sensibile ed inesorabile del sole – il tempo umano che è l’opposto di quello della natura perché non è scandito mai dalla ripetizione – l’ombra carezzevole dei palazzi sull’asfalto come idea stessa dell’amore – un omaggio doveroso al concetto di ‘transfert’ e di proiezione – la densa importanza delle illusioni – la felicità purché sia anche derivata dalle menzogne e poi faremo le differenze.

Priva di figure la mente non realizza la concatenazione logica adatta a sostenere l’architettura del pensiero come macchina funzione edificio ideale arte ponte palazzo fortino canale linea di collina armata contro la notte – differente da tutto quanto ragionevolmente auspicabile il pensiero fa la propria dimora nei sottoscala del mio disinteresse per la descrizione giudiziosa – l’io diventa uno schema corporeo incerto che si regge appena in piedi di fronte alla invasione della luce – la luce si moltiplica mille volte nella conca scavata dallo sguardo nello spazio di fronte e sotto di noi – le fiaccole illuminano le notti dei cavalieri di ritorno da assai lontano e ci sono signorie al di qua delle frontiere mentre l’oltre frontiera è degli infedeli – la cultura degli altri registra differenze dalla nostra che forse sono apparenti ma rafforzano l’illusoria prevalenza della coscienza che serve la furbizia per lasciare esclusa la povertà – la povertà è rischiosa come la vigilanza della veglia senza la coscienza superba della consapevolezza di sé.

Nel ricordo di adesso come nei sogni la materia ha fatto il pensiero dalla attività spontanea della biologia cerebrale non stimolata dall’esterno e si è generato il ricordo di noi fermi sulla terrazza il municipio alle spalle e sotto la vallata infinita e in fondo una terra azzurra che tramonta e il cielo che sorge ben separato giorno e notte da una riga di luce bianca – eravamo mani grandi accosto al parapetto e altezza e affreschi sulla spiaggia e ricostruzione della storia immaginaria di ringhiere barocche di ferro nero e pesante che le amministrazioni comunali fanno sempre costruire a proprie spese sulle terrazze naturali che danno sulle vallate per vedere le navi e gli sbarchi mensili sulle isole e il resto – eravamo dunque in fin dei conti tutto il mondo dei risvegli che si innalza ci circonda e non ci lascia in pace da che c’è la vita umana.

Nello spazio ‘vuoto’ e turbinoso la mutazione delle tinte delle pareti in ore diverse dei giorni di quasi tre decenni ha permesso un linguaggio come una luce che rimbalza sui volti delle persone e riassume il fenomeno dell’amore di ‘transfert’ -che accompagna sempre la conoscenza- nelle parole: vitalità, pulsione, immagine, realtà umana.

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