città del futuro


Il lavoro sulla macchina perfetta ha causato un lungo riposo. In una città venuta su come fosse a caso. Il disegno delle attuali strade e quartieri porta anche a stagioni insolite. Uno ziggurat si alza sui campi di frutta ma dalla parte urbana mostra che è una rete la forma del progetto. La casa nuova dei giovani sta tra il porto e la città. Il romanziere che abita di rimpetto ha parlato di giunzioni. Di connessione tra territori. Loro sono ammirati dalle terrazze che ci si può fumare e fare tardi e chiamare se ci si dimentica di dire che ti amo uscendo la mattina. Il lavoro sulla macchina perfetta ha aperto una piazza come la mano che libera una scrivania. Per fare pulito e studiare o per mandar via il passato prossimo e leggere il libro regalato. Il romanziere parla di giunzioni e connessioni, di una costruzione di frontiera piena di gente non ancora del tutto comprensibile, forse senza idee chiare sul proprio futuro: “Qua dentro – dice – abitano quelli che si caricano di responsabilità di una vita transitoria, non assicurata, che camminano giorno e sera, che gioiscono nelle piccole pause al semicerchio delle piazzette, al tavolo tondo, al vertice del bar sulla strada.” Le giunzioni sono gli incroci. Un primitivo si perderebbe e forse non tornerebbe mai più. La macchina perfetta prevede anche questa possibilità: di immaginare un braccio fluttuante dell’algoritmo, una formula che non porta a niente, uno che guarda il sole e porta la mano sugli occhi e si addormenta aspettando l’assunzione alla catena di montaggio di un lavoro improduttivo. Costruisce con cubi colorati il tempo importuno degli entusiasmi per niente: e non si lascia percorrere e deve essere attraversato. Le terrazze ne sono l’effetto progettuale. Costruite apposta per tornare sulle proprie decisioni a chiamare chi è uscito e legargli al collo il breve grido ti amo come una collanina o una sciarpa. Superfici sospese. In realtà protese come braccia che rimediando ad una distrazione, perdonano una dimenticanza. La macchina perfetta è piccola penso, ha però abbastanza braccia amorevoli non solo operose, ha una struttura essa stessa modificabile e dunque impara ma in verità crea quello che non sapeva, le vengono le cose alla mente: non prodotte dalla mente ma come se la mente fosse al servizio di quelle cose ricordate. Dice: “Il pugno di sangue infuocato è al cuore del radiatore. Le celle esagonali di carbonio vibrano e l’uomo ricorda operaie e operai nelle fabbriche sotto terra. La pressione del sangue fa sciamare nell’aria le forme leggere perfette e tutte differenti delle figure umane. Stamattina dalla città verso il porto. Dalla città alle piazze di partenza dei pullman. La folla si dirada fino al numero uno dei singoli. Il calore viene portato con l’ossigeno a contatto con il cielo. Il lavoro sono ore silenziose invisibili. Quasi non conta perché non racconta che se stesso. Sono ore di attesa. Senza tempo. Poi il cuore della macchina si dilata e aspira. È l’improvviso ricordo dei giochi infantili. Dei cubi di tempo colorati. Un richiamo inverso che attrae. La solitudine si interrompe. Le persone si affiancano e tornano ricche e affaticate. Le terrazze che erano restate abbandonate chiamano, respirano a loro volta. Le lucertole uniche abitanti sui muri tiepidi delle case vuote si muovono appena strusciando col ventre bianco l’intonaco mentre nel pensiero la forza del lavoro perde attrattiva. La macchina perfetta genera, in occasione della perdita, la festa. Non nasce come vacanza e vuoto quello che c’è di nuovo.”

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