claudiobadii


l’amore eccessivo


Posted By on Apr 17, 2013

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“L’Amore Eccessivo”
©claudiobadii
per
OPERAPRIMA

Sempre a fare il bianco e il nero, sempre a fare la musica fuori delle casse acustiche, perché pare sempre di sapere quel che si vuole e che non è quasi mai quello che troviamo, anche se non sappiamo dire perché. Siamo sempre decisi. Sempre, specialmente noi di sesso maschile. Siamo quasi sempre come pare che sia preferibile essere ‘in quanto’ …. siamo quello che siamo. Non si sa più quanto tempo è che si sta provando a parlare. Si chiama scienza, o linguaggio, o logica e metafisica, si chiama filosofia, si chiamano scienze umanistiche, si chiama parlare e dialettica. Comunicazione si chiama, adesso. Da quanto tempo siamo ormai vecchi e sapienti dietro alle nostre facce da ragazzini giovanili non si sa. Neanche si sa quando è stato che ci è sfuggito e volato via il nostro primo capello bianco tra le dita di una ragazza che tacque e non disse “toh un bellissimo capello bianco del mio amore, guarda guarda e adesso che farò dei tuoi capelli sapienti e che farò delle mie mani toccate dalla tua saggezza di cui non sai nulla ancora nemmeno tu…?

Non so se ci sarebbe stato bisogno di certe parole nelle orecchie, e di certe dita affusolate nei capelli a contare i fili bianchi invisibili tra la seta intatta, a contare quello che non si poteva vedere, che neanche si sospettava, e che dunque non era né necessario e neppure appena un poco utile sapere.

Forse il senso della parete piena di piccole scatoline come un inventario nel film “Ogni Cosa È Illuminata” è lo stesso senso che io avverto nel parlare dei capelli bianchi disseminati dal vento dietro la nostra giovinezza. Disseminati come lenzuoli bianchi nelle praterie. Disseminati nei pressi delle stragi nei campi biancheggianti delle ossa dei morti nei pogrom. Faccio un eccessiva messe di grano per rendere la forza della persuasione legata alla bellezza di scenografie assai convincenti. I nostri capelli bianchi di giovani vecchi stanno in scatole differenti grandi e piccole: NON SI SA MAI…! Dovesse precipitarsi di fronte alla casa di legno, nella prateria russa, su una macchina sgangherata, il passato che proviene dall’avvenire, perché il passato ci aveva superato dal punto di vista dei significati che una storia differente aveva cambiato e rallentato, mentre noi era come se avessimo tenuto per noi soli, per un pensiero (“..non si sa mai..”) il tempo appuntato alla parete.

Come se avessimo tenuto ben ordinate alla parete le scatole grandi e piccole coi resti di quello che era rimasto dopo il pogrom, e che continuava a vivere in modo virtuale, cioè in modo romantico e ideale, e cioè in modo psicologico. Che continuava a vivere senza tempo fino a che noi, che ci eravamo attardati, siamo stati sorpresi dal passato che ci aveva superato quando era arrivata una macchina sgangherata sul piazzale di fango secco davanti alla casa di legno nella prateria di girasoli nel mezzo di una terra di confine. Una macchina, piena di vento e di alcuni invisibili capelli bianchissimi turbinanti sotto forma di ricordi e di aspettative, aveva portato il tempo né rimosso né dimenticato: aveva portato il tempo semplicemente sorprendente e ignoto. Il tempo necessario a far avverare tutto quanto poi succede.

Arriva a sorprenderci l’avvenire: le carezze dal cuore dei nascondigli, le carezze prima di ogni strage. La bellezza che poteva essere e che aspettava, semplicemente aspettava, che non era andata perduta. Che sarebbe, è, i miei capelli bianchi, i primi, che ho lasciato morire sul mare o nella neve. Sono caduti dentro la fisica dell’acqua dove facevo le vacanze di pochi soldi e lungo le discese sulla neve, discese costose. Le cose costose non ero mai io a pagarle. Ma forse è una forma diffusa di accadimento, che le cose costose, che ci fanno quello che siamo, le paghino sempre altri. Io, coi miei impensabili capelli bianchi caduti appena nati mentre ero giovane, avrò a mia volta pagato vacanze e sapienza a qualcun’altra che tacque. Toccata dalla saggezza di un ragazzo già maturo senza saperlo, devo averle regalato il segreto.

Non ho mai visto certi sorrisi che mi hanno rivolto con struggente dolcezza lasciandomi scivolare via, felici di me più di quanto si potesse ammettere a voce alta. Con parole.(Perché ci sono felicità anche nella quiete dell’annullamento, anche nella avidità di cose non riconosciute. Ci sono felicità derivanti da piccole meschinità.) Poi, avvolto da quei sorrisi di dolce generosa noncuranza, dall’amore eccessivo, dall’amore che poteva anche essere, cioè che avrebbe anche potuto essere, andavo a cercare altri segni, ma senza sapere che andavo sospinto da una felicità furtiva alle mie spalle.

È stata una vita fiduciosa. Le cose che ero certo di trovare avevano le radici alle mie spalle. Non era niente di inconscio e non era niente di rimosso. Erano amori che avrebbero potuto anche essere. Erano parole che poi, dunque solo dopo, mi sono immaginato di poter ascoltare versate nelle orecchie, con cosciente voglia di sedurmi, con intenzione di sedurre di cui potevo essere l’incauto oggetto capitato al momento giusto. Il passato non è il rimosso e il dimenticato, non è inconscio. Ci sono segni, tracce, posizioni alle nostre spalle che non sapremo mai. Semmai dunque il passato è ignoranza. Ignoranza e limite. Interpretare è spesso, quasi sempre, sempre, elegante e onesta ammissione di ignoranza. Magari serve che uno si renda conto come è bravo il proprio medico nel dare forme diverse e colorate alla propria oscurità.

Ecco perché questo disegnare il bianco e il nero, disegnare l’ombra dei sorrisi che ricevemmo alle spalle. Non so fare altro. Neanche studiare cose nuove. Neanche cercare pieno di curiosità. Ora sono libero di ritrovare le tracce delle vacanze che mi furono regalate. Le tracce che mi fanno stare bene nel sapere che quanto c’è stato di più bello non mi è costato nulla. Le tracce delle felicità derivante da piccole insignificanti meschinità di cui non posso esse a conoscenza, e la felicità derivata da gesti furtivi che hanno creato la giusta condizione, quando traversavo la città dalla camera ammobiliata alla corsia dove si svolgeva il lavoro di specializzazione, il lavoro di stare con gli altri compagni di corso a ridere e scherzare e fare le cose difficilissime: non guastarsi, non sciupare la propria mente, non odiarci, e studiare. Ci sono regali nella confezione dell’ignoranza, nel non sapere chi ringraziare. La libertà che alcuni benefattori segreti ci regalano è di evitarci anche la riconoscenza.

Anche se sembra una vita solitaria e scarsamente ricca di occasioni di socialità e partecipazione e presenza, che per alcuni forse sarebbe l’amarezza di un vissuto di sottrazioni, la rabbia di un credito per ciò che non hanno avuto, io sono così avvertito dalla mia ricerca che lo so che la bellezza sta nelle tracce. So che è la vitalità che pone la base del pensiero legandosi alle interpretazioni che la coscienza fa del mondo continuamente, legandosi alla coscienza quando essa da il senso alle cose. Dunque lego le tracce che la vitalità sa cogliere alla percezione vigile dei tuoi sguardi che mi accompagnano. Le cose mi colgono interamente poiché le tracce ci avvolsero.

Dunque penso che se avessi avuto ‘di fronte‘ certi sorrisi e certe dolcezze di sguardi, che invece sono stati del tutto perduti poichè non furono mai esposti frontalmente al mio cammino, non avrei forse fatto più un passo avanti. Invece seppi procedere. L’amore eccessivo ebbe pietà del mio futuro e mi parve di essere bravo e libero. Ma chi lo sa, forse, invece, camminavo sugli avambracci e lungo il percorso delle vene sottili della mia prima non-ragazza, della prima ragazza che avrebbe potuto essere il primo amore e non lo fu perché solo lei ne ebbe l’idea ma lasciò correre.

E io corsi nella prateria, dopo un meschino gesto di noncuranza, e dopo l’annullamento: perché forse qualcosa si finisce sempre per annullare, nonostante ‘tutto’. Quella si sentiva morire e non mi disse mai “vorrei passare le mie dita contro i tuoi capelli, scivolare nella foresta dentro di te. Invecchiare e morire per il morso tagliente dei fili di acciaio di certi capelli bianchi di ragazzo che ci sono sempre. Ma restano invisibili“.

 

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