coscienza


dalla coscienza all’inconscio


Posted By on Mar 21, 2017

Un parere in merito a noi. Analisi della relazione. Dolcezza: il più, si sa, non sappiamo di saperlo. Perciò se ti viene la dipendenza del giorno dedicato a me, forse non sai che mi ami. Meglio che non lo sai. Meglio che rimanga sotto la superficie. Sublime dicono con enfasi. Io mi tengo l’enfatica leggerezza di un’allegria senza motivo. Come un ebete muoversi. Mi chiedo cosa sia che non so di sapere: il sapere che mi tiene allegro tenacemente. Sono un aeroplano che galleggia sull’aria voluminosa del cielo di primavera. Analisi della relazione: dimentica! Lascia andare la strada e il corrimano della scala. Dimentica il buio e l’azzurro. Voliamo sulle ali incrociate delle incognite: X. Certe cose inconsce non hanno suoni per questo non diventano linguaggio verbale cosciente: appartengono alla nostra consapevolezza però non vanno a comporre alcuna parola e allora sono le sere ristoratrici sul divano delle discoteche con donne tutte disponibilità traboccante, tutte offerte rigorosamente ascetiche, tutte magrezze in respiri da sera esili e trasparenti. Analisi della relazione: psicoterapia in gruppo una escursione tra tartarughe e gigli di mare. Cose vietate, specie protette. Inconscio, regressione, bellezze mai viste, il bello dell’inconcluso, la gioia di un agire disinteressato, la fatica facile finale seminatrice di spiccioli. Analisi della relazione di psicoterapia in gruppo: siamo quasi uguali dopo trenta anni: ti chiedo di essere responsabile anche tu. Se l’amore, questo amore, non vuole essere dipendenza, tu devi trovare un modo di fartene responsabile. Come se noi si potesse scegliere di amarci alla faccia dei dubbiosi. Vedi bene che conosci i ricatti della filosofia. Dici che sarebbe ammissibile se non fosse che tutto era cominciato come cura e allora sarai sempre vittima dell’inizio sbagliato e sempre non potremmo che sbagliare se ci amassimo. La filosofia non ammette la trasformazione. Come sarà possibile allora la rivoluzione? Non possiamo lasciarla in mano ai genetisti come una tra le cose evolutive. Evoluzione e rivoluzione. Cerchi nella scienza una legittimità per la dipendenza che è diventata amore. Io temo che sia il ricatto indecente della filosofia che non ammette la trasformazione. La filosofia, che aveva soppiantato la tragedia di uomini che furono senza volontà e dunque erano pieni di dolore senza colpa, è diventata la tragedia dell’impossibilità di passare dalla coscienza all’inconscio senza impazzire.

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sono oramai quattro anni


Posted By on Set 7, 2014

La ricerca di base determina su certuni una attrazione. Come loro si dispongono seduti in una prima fila accanto alle pareti, e poi in una seconda fila attorno al cuore dei significati impliciti dell’essere insieme in questa stanza di psichiatra, io adesso traccio parole dal centro del foglio ai suoi margini. Non sono molte le cose che voglio scrivere nel disegno. Voglio scrivere e disegnare di un cuore nero. Così ho disegnato e scritto un cuore nero.

Perché toccare o avvicinarsi alle realtà di cose di natura pericolosa? Perché posso farlo senza rischi ora che metto insieme il ’76 da che venni in rapporto con la scoperta e la prassi relative a IDMEC e il suo autore (e sono 38 anni) e il 2010 (precisamente il 20 settembre) e sono quattro anni. Da trentotto anni la manipolazione di concetti diagnostici -nati nella teoresi freudiana che era la forma culturale della Cattedra della Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università degli Studi di Siena- deve costantemente sviluppare le necessarie distinzioni terminologiche e le ancora più indispensabili chiarificazioni inconsce per arrivare dall’istinto di morte tutt’ora in auge, alla conoscenza di possibilità differenti.

Spericolato trentotto anni fa già mi dichiaravo sicuro di conclusioni univoche e coerenti a partire da una certa ‘ipotesi’ assunta come scoperta definitiva. L’potesi conteneva nella trattazione parole come: rifiuto, frustrazione, nascita, vitalità.

Ora scrivo e disegno il cuore nero. È che dal 1976 si è ben disegnato il solco tra fantasia e pulsione. Tra sparizione e annullamento. Non cosciente è, comprensibilmente, l’attivita fisica alla base della funzione del pensiero. Questo voglio dire, nel ripetere di questi ultimi anni. Dire e ripetere che, siccome la realtà mentale ha natura fisica, l’azione fisica non può essere sottoposta alla indagine della coscienza cui essa da origine se non un attimo ‘dopo’.

La coscienza è successiva al proprio accadere. Il non cosciente attuarsi delle variazioni fisiche, che ci regala l’ineffabile senso di noi, inaugura ogni istante l’esistenza del pensiero ed esso non è, alla base, che fenomeno fisico di tempo che costantemente si ama definendolo ‘la nostra vita’. E la nostra vita è senza senso se vuol sapere la propria origine che non saprà ‘mai’, tuttavia, per la fisica potente della propria costante generazione, ha la certezza che  è di per sé origine ‘sempre’.

Accadiamo costantemente a noi stessi: irreparabilmente nella solitudine dello studio e della azione di ricordare, e poi tra le braccia di donne figli compagne e innumerevoli altri partecipanti di società complesse: ed allora il sacrificio della piena coscienza da subito è amore, politica, legge, regole, necessità e partecipazione, compassione, voglia e attesa.

Ma mai la legge della simultaneità (entanglement) quantistica regola alcuna delle vicende della relazione interumana: la natura fisica del pensiero ne renderebbe conoscibile la vicenda dell’attuarsi solo in un universo in cui le masse fossero meno grossolane di quanto invece non siano in rapporto alle filiformi volute del fumo di fotoni e particelle elementari.

Dimesso e gentile il girasole che vorrei essere piega il capo. Le idee sono semi seccati. Tu dunque passa attraverso i filari, mieti, setaccia e fanne olio. La biomassa degli scarti potrebbe restare per gli abbracci. Il discorso, da un punto, si sparge in terra a manciate. Le cose scritte in quattro anni giacciono insieme. Per quel che vedo c’è un contorno curvilineo. Tratti di matita nera all’interno ma anche lungo il margine e fuori. Non ricordo gli attimi della decisione di quattro anni fa in settembre. Non ho tenuto memoria cosciente del giorno e l’ora quando scrissi la parola Operaprima.

Il ricordo torna con la fantasia di riprendere a disegnare parole. Traccia mnesica di quattro anni fa ma anche di trenta e più anni fa. Imparo a leggere e scrivere, aggiunsi, nella descrizione. Poi essa era diventata ‘Pensiero, fisica, realtà, materia’. E poi ‘Origine materiale della vita mentale’. Da poco ho precisato ‘Natura fisica della realtà psichica’.

Forse sto ripetendo, in modi differenti, un impegno che mi ero preso giovanissimo: narrare la vicenda che va dalla pulsione di annullamento alla conoscenza dei fenomeni fantasiosi delle sparizioni. Così finalmente ho disegnato le parole ‘ricerca di base’ sopra il perimetro nero di un cuore infernale. Quello che un tempo faceva terrore oggi sutura i segni grafici che esprimono il lavoro di conoscenza alla base della prassi medica.

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“The Reproductive Revolution: Selection Pressure in a Post-Darwinian World
www.reproductive-revolution.com/index.html

“È una negazione la parte preponderante delle nostre affermazioni, se esse sono espresse senza bellezza”(… su queste pagine pochi giorni fa)

Allora la bellezza è un parametro per individuare il grado di umanità del pensiero dal momento che l’evoluzione è caotica e opportunistica e che improvvido e approssimativo e casuale si pone nello spazio/tempo ogni suo risultato. Che è un gradino e un passo di una condizione di non linearità. Mi siedo sulle ginocchia, sulle ginocchia mie. Con tenacia torno un ragazzo coi muscoli elastici e i tendini che restano increduli. L’atletismo ormonale della contrazione a sedici anni è resistenza, pazienza, attesa, e scatto contenuto. Insomma so, meglio di allora, che la mimica silente del sorriso ha la stessa qualità della potenza muscolare annidata nella promessa del sesso e del coraggio, prima dei tuffi dagli scogli. Seguo lucertole e api sui fichi dell’albero estivo. Finisco la lettura de “I SIGNORI DEL PIANETA” di Ian Tattersall. Il linguaggio, forse, potrebbe essere stato generato tra i bambini. Per via che essi pensano in modo differente dagli adulti. Il linguaggio, con la potenza contrattile che esplode da un silenzio che ne conteneva la potenzialità: è quella l’idea che viene giù, di un tuffo dagli scogli. Che gli esseri umani non sono provvidenza ma disordine. Che il linguaggio non serve per comunicare ma per pensare. Alle soglie mentre escono dal primo anno i ragazzini, ricordando un sogno…. potrebbero aver effettuato un tuffo evolutivo. Copio il testo di pagina 249:

Personalmente sono molto affascinato dall’idea che la prima forma di linguaggio sia stata inventata dai bambini, molto più ricettivi rispetto alle novità di quanto lo siano gli adulti. I bambini usano sempre metodi propri per fare le cose e comunicano in modi che qualche volta lasciano i genitori disorientati. Seppur per ragioni ESTRANEE ALL’UTILIZZO DEL LINGUAGGIO, i piccoli ‘sapiens’ erano già provvisti di tutto l’equipaggiamento anatomico periferico necessario per produrre l’intera gamma di suoni richiesti dalle lingue moderne. Essi inoltre dovevano possedere il substrato biologico necessario per compiere le astrazioni intellettuali richieste e anche la spinta a comunicare in maniera complessa. E quasi certamente appartenevano ad una società che già possedeva un sistema elaborato di comunicazione tra individui: un sistema che implicava l’uso di vocalizzazioni, oltre che di gesti e di un linguaggio del corpo. Dopotutto, come nel caso di qualunque innovazione comportamentale, il TRAMPOLINO FISICO NECESSARIO doveva già esistere. (…..) è facile immaginare, almeno a grandi linee, in che modo, una volta creato un vocabolario, il feedback tra i vari centri cerebrali coinvolti abbia permesso ai bambini di creare il loro linguaggio e, SIMULTANEAMENTE, I NUOVI PROCESSI MENTALI. Per questi bambini, ciò che gli psicologi hanno indicato come ‘linguaggio privato’ deve aver agito da canale, favorendo la trasformazione delle intuizioni in nozioni articolate che potevano quindi essere manipolate simbolicamente.”

Il sorriso si svolge rapidamente nella distensione delle fibre del procedimento di pensiero. Intuizioni, nozioni articolate, manipolazione simbolica. I bambini creano i nomi delle cose e il ritorno in sensazione di felicità è la via neurale di feedback che conforta e conferma. Ma anche richiama ulteriori dati compositivi dalle regioni sinaptiche prospicienti il vortice virtuoso che si è innescato. Nel segreto delle grida dei giochi i piccoli ‘sapiens’ -restando protetti al di qua dello stupore dei grandi- producono forse -più che ‘senso’ del mondo- la propria consapevolezza di sé medesimi, almeno per cominciare. La nominazione delle cose, l’attribuzione ad ognuna di un suono attraverso comportamenti fonetici appropriati, recluta e abilita nuove vie neuronali di consenso e guadagno. La sostanza dei mediatori implicati nella trasmissione lungo le vie nervose è l’esperienza del piacere endogeno che chiamiamo, oggi, il sé libidico. Esso non si serve dell’altro essere umano per il proprio godimento.

Eco senza Narciso, il linguaggio inventato dai bambini non è comunicativo ma espressivo. La nuova alleanza cui si allude nel testo di paleoantropologia, situata fuori di metafora in una società plurima e non più di soggetti neonati ma di personcine aurorali e capaci, sta nella condivisione dello stesso sistema di segni. Però è forse ancora, all’inizio, appartenenza implicita, non socialmente pubblicata, non riconosciuta forse, se non nella cerchia dei giochi. Quel pensiero privato sviluppa la nuova attitudine mentale verso scogli alti. Il mare che scintilla non attira al vuoto giù sotto e in basso, ma al cielo respirabile. Solo dopo, una volta maturata la fine attività di modulazione della mimica facciale coerente con la coscienza di sé, i ragazzini si fermano, guardano giù e, tenendosi per mano senza più pensare, dimenticando la coscienza ma senza perderla, volano lontano preparando il tuffo nel galleggiamento del corpo nel vuoto. È un sogno che si sveglia nel sonno dentro il quale si cade ogni notte.

Ora parlo dello svegliarsi. Di stamani. È la mattina di domenica un momento sensibile alla misura della qualità della vita. Ragazzini e adulti sfilano dalle camerette alla modesta superficie del soggiorno comune che è anche cucina e guarda il giardino. Di tempo in tempo, quando tra le otto e le una è concesso dalle distrazioni amorose, il pensiero ripercorre al contrario gli eventi evocati dallo studioso dello sviluppo dell’umanità dalla dis-umanità precedente: manipolazione simbolica, simbolizzazione, nozione articolata, intuizione…. Nessuno si occupa di questo che scrivo. L’espressione verbale della nozione articolata si pone perfettamente in una silenziosa ‘inutilità’ ed essa, l’inutilità è l’evento simbolico che protegge l’attività della mia ricerca intellettuale mattutina: il silenzio è una coltre di cotone profumato costellato di ricami, dei piccoli impegni di preparazioni di cucina, di disegni sui fogli bianchi delle due bambine, della apparecchiatura -coi tesori della pasticceria di fronte- di colazioni di gusti variabili.

E poi ci sono in aria i messaggi televisivi e c’è la richiesta se per favore qualcuno può (vuole) prendere il limone all’albero della vicina (quasi centenaria essa è perduta nelle regressioni della biologia che scompone l’integrità del pensiero e fa a pezzi il mondo e non sa più protestare contro noi innocenti ladri al suo giardino). Scrivo e intorno si ride si chiacchiera si aprono getti della doccia e si fa il disordine necessario a scaldare il mattino. Ai margini disegno questo deserto silenzio. Sopra sorge la notte, che non è il sole nero avventuroso del non cosciente salvifico, ma di certo il parziale declino delle norme verbali ragionevoli come esclusiva forma di espressione.

Ogni tanto grida di ribellione infantile tingono la scrittura del necessario senso di lotta contro la stupidità, volteggio nel vuoto prima della caduta del tuffo, e il vuoto è il paradosso incorporeo di questa disperata fiducia che con i miei simili potrò essere, alla fine, comprensibile in questo modo di scrivere, vivere e insistentemente cercare, da quando la coscienza mi permette di ricordare.

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“In ginocchio alla casa di pietra con le gambe magre imbiancate di marmo e tu polvere dolce e nutriente. Oh vedi!! Pensieri. Un caffè adesso bevo. Adesso che la vita richiede mani ferme nelle quali l’aratura delle linee possa germogliare”.

Le mani e le ginocchia esclusivamente saltano all’attenzione della coscienza. Piove da dentro, dalle profondità nucleari, il pensiero. La coscienza è anch’essa endogena. L’attività cosciente è pensiero frammentario in blocchi lavici nero petrolio. Il pensiero scava sempre e scava soltanto. Non è mai esclusivamente corticale. Non ‘descrive’ mai, neanche quando sembra che descriva. Se capita che si resti con poco o quasi niente intorno, in piazzali e cortili circondati di poco o niente, quasi soli o del tutto soli, si vede bene la natura umana nella attività della biologia cerebrale che è una talpa che annusa e trova e fa la ricerca e rende sufficiente addirittura la miseria. Finché, dopo la crisi, grazie alla cura e al lavoro, si torna a pensare.

D’improvviso rimbalzano le pietre e sono le nostre spalle e il palmo delle nostre mani. L’aratura fa le linee: la vita, l’amore, la salute. Ho fatto il medico, posso intuire, almeno in generale, come avvenga che l’anestesista rianimatore riesce ad assicurare la sopravvivenza fornendo artificialmente respirazione, ossigenazione, idratazione, volemìa, filtrazione, nutrizione, omeostasi termica. L’ammalato, perduto nel ritmo bianco delle macchine, eccolo là! pallido da far paura. Le mani e le lacrime di infermieri e parenti scivolano quasi impotenti. ‘Nessuno’ accoglie la dolcezza di quelle carezze. Lui/lei si sono ritirati da qualche parte, e non è ‘dramma’ che essi siano senza coscienza. Ad essi manca altro e di più. Hanno perduto la funzione che consente il risveglio. Non diverrà sogno, di conseguenza, nessuno di quei giorni nel bianco e nel profumo di medicinali. Lei/lui sono privati del tempo neuro/chimico e bio/elettrico che nel tornare alla veglia diventa sempre sogno poi coscienza di sé. Quel ‘dormire’ attaccati a fili trasparenti d’aria, ai capillari plastificati, alle sonde per l’alimentazione…. non potrà dunque forse mai essere trasformato in nessuna ‘figura’. Lei/lui sono, a loro modo, un modo disdicevole e blasfemo, dio. Sottratti.

Le parole ‘in ginocchio alla casa di pietra’ sono fantasia/ricordo. La casa di pietra fu un uomo transitoriamente perduto -prima che tornasse contuso e ridente- dopo un trauma a causa di lesioni plurime. Forse una distrazione suicida e io che lo guardo che non si era potuto evitarlo. Ero piccolo. Lui adulto. Io dipendevo da lui, non viceversa. Nella mente dei ragazzini può crearsi confusione. Poi diventano bravi. Che nessuno sospetti il dolore. Dopo molti invidiano la conseguente facilità del linguaggio di quei ragazzini, e il loro riuscire a non tenere in alcun conto le aspettative altrui. Molti circondano di invidia infastidita l’inutilità di una ricerca sul pensiero a partire dall’ipotesi scientifica che esso abbia una origine esclusivamente materiale che poi attraversa vicissitudini umane.

Io so che dovevo soltanto affondare le mani nelle capigliature della letteratura e della scienza. Rafforzare la mano che sapessi poi tirar via il dolore malato. La casa di pietra è un uomo giovane bruno che respirava sotto le macerie delle lenzuola di ospedale. Io dovevo diventare poeta, meglio di niente. Ma non sufficiente. Devo essere rimasto pietrificato nell’atto psichico di entrare nella piramide con lui, per non restare solo. Ora, nel frattempo che trovo una paternità a certe formazioni lessicali, qualcuno dice “torno a pensare…” Posso tornare a pormi le domande del medico. Noi assistiamo respirazione, circolazione, alimentazione, idratazione, in chi è diventato altro da prima, per un trauma a causa di lesioni multiple. Noi medici creiamo le condizioni di supplenza per il tempo necessario, per periodi variabili, durante i quali l’esistenza di persone, che hanno subito gravi lesioni, non è proprio ‘vita’…. perché è biologia senza niente che permetta di realizzare -nella fattispecie di figure dei sogni- la coscienza della veglia. I corpi feriti restano immobili ma non è senza coscienza (come nel sonno).(*)

È buffo, ora so che la ‘casa di pietra’ è il corpo immobile disadorno e bianco del ferito grave. Al cospetto del trauma, non della malattia, sentii dire, per la prima volta, la parola che mi ha colpito per sempre: che mio padre era SENZA CONOSCENZA. Di coscienza nessuno parlò, sono certo. E comunque non era importante l’assenza di coscienza, per me che lo avevo visto tante volte dormire. Di fatto, ferito era -come sempre- bellissimo. Tanto non è nella coscienza la funzione che ci restituisce ….. la coscienza. Inginocchiato alla casa di pietra fu indispensabile, per non restare passivo come una vittima, sviluppare una comprensione della gravità di poter restare SENZA CONOSCENZA, come  loro avevano sapientemente detto diagnosticando la condizione clinica del ferito. Senza conoscenza restava bellissimo come nel sonno ma si trattava, potei capirlo benissimo anche io, di qualcosa di peggio. Qualcosa senza perché che era stata spinta con l’acceleratore oltre un certo limite. Era una alchimia fatale di proporzioni ignote di acciaio della macchina fracassata di sangue e di cotone di gran classe della sua giacca a quadrettini eleganti  marrone e beige. Per tutte quelle cose insieme egli non era uno che dorme e non ha la coscienza. Stava per morire  ..non sognava e per il momento non poteva svegliarsi.

Non è ininfluente che io possa aver pensato che mi stava tradendo. Non sapevo (non volevo sapere) che ci fosse una possibilità per i padri di non sognare. Non ne volevo sapere, perché i padri che non sognano sono i padri che non sognano i figli. Così fu fondato il mio estremismo: in quella sbrigativa trattativa d’amore e passione che troppo piccolo, e cioè quasi subito, intrattenni con gli ignoti amministratori delle regole della vita. Forse un po’ troppo presto mi fu imposta, dalle cose del mondo, quell’ipotesi malevola che divenne un sospetto. E c’è voluto un sacco di tempo per trasformare, come si è imparato a dire distinguendo le cose durante i ventinove anni di ricerca in psicoterapia, la coscienza in conoscenza. Senza coscienza è il sonno e il sogno. Senza conoscenza è una cosa diversissima, è esistenza che tiene lontana la vita. Se il ‘senza conoscenza’ avesse il movimento del corpo -che resta immobilizzato nel sarcofago delle lenzuola- sarebbe simile alla pazzia.

E così, dopo un tempo infinito, le parole della ricerca riportano, nel comportamento verbale, nel movimento delle labbra, nel rapido alternarsi delle dita sulla tastiera, il ricordo delle contrazioni toraciche di un ferito che respirava -assistito da demoni benefici col camice bianco-. La scrittura riproduce sulle righe dei fogli le onde del suo diaframma collegato ad un pallone da rugby abbastanza sgonfio e rammollito.

Vorrei riuscire a dire che i mostri non sono nell’inconscio, che la pazzia è perdita di conoscenza. C’è una bellezza che, a causa di un trauma invisibile derivato da lesioni multiple, sembra non sappiamo più risvegliare. È l’umanità residua di persone che hanno conservati intatti comportamento, coscienza, volontà e discernimento, che hanno la bellezza degli ‘automi’ che dormono senza sognare più perché forse portano la coscienza nel sonno.

nota (*): è senza conoscenza come nella pazzia….. ma non è pazzia perché, come nel sonno, c’è l’abolizione del movimento volontario. Ma il sonno non è pazzia perché nel sonno c’è possibilità di conoscenza inconscia. Questi restano i termini scientifici. Le linee della ricerca.

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coscienza


Posted By on Mag 11, 2012

Una stanza piccola con i suoni in una cassettina su un tavolo basso quadrato. Le casacche dipinte delle ragazze senza parole con le mani composte sulle ginocchia nella mimica degli addii. Le sciarpe vaporose che poi vennero immancabilmente dimenticate sulle poltrone come se non fosse vero che volevano andare via per sempre.

Oggi all’apertura della scatola dei suoni assiste un Collegio Notarile perché  ogni parola può essere l’ultima. Siamo io, le sciarpe sui braccioli delle poltrone, gli uomini in abito scuro: niente altro. L’apertura della scatola è un volo di farfalle perché le parole erano diventare bozzoli e ora hanno completato il giro dell’arcipelago di Babele. I Notai del Collegio si allontanano. Nessuno ha detto una parola. Di diverso ci sono questi velieri in aria. Gli oggetti nella scatola non erano morti. Ogni cosa è illuminata adesso.

Per trenta anni avevo cercato le armoniche di terza e di quinta. E la stanza senza distorsioni. Ora l’ho trovata attraverso una serie di esclusioni e distacchi che sono stati facilissimi. Senza dolore e senso di colpa. Ero sempre stato circondato da un Collegio di Notai in abiti severi, con personalità orientate a esprimere una serietà minacciosa. Questo penso adesso. Non ne ero cosciente

Non è cosciente quanto è accaduto. Quando il suono è volato sotto forma di farfalle colorate si è vista soltanto una contrazione, il guizzo lucente sotto la pelle della gamba sinistra fasciata dalla gonna che era rimasta là dove si era fermata dopo essere scivolata indietro di pochi centimetri nel gesto di sedersi. Due ore prima.

nota: link per l’immagine

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