dada


Dada mise in crisi la centralità di chi se ne stava al centro.

Con quel modo da innovatore che risultò incomprensibile.

È da comprendere che si trovò lui al centro. Svogliato. Senza ambire di trovarcisi. Traeva su di sé una serie di linee, o ‘fili’. Certi paradossi convergenti. Si sa che ragionevolmente i paradossi dovrebbero divergere. Allontanarsi risolvendo la loro natura paradossale.

Ma a ben guardare, dal punto di indagine in cui ogni giorno Dada si trovava, non c’era ragione di saperne la direzione dei fili che teneva tra le dita: se fossero in uscita o in arrivo.

Dada stava ben piantato. Era un asse denso, superficie scabrosa e pensava:

“Tacere ‘da un certo momento in avanti’ fa del silenzio la domanda ultima. Il nocciolo della questione è la domanda che impedisce la risposta.”

Ma si capisce: Dada poneva dal mattino alla sera, giorno e notte, giorno dopo giorno, l’eterna questione della linea. Separazione e impossibilità della separazione. Generazione del pensiero sul confine e non dentro un’area.

Dada voleva pensate dal nucleo di densità massiva dello zero che è del tutto differente dal niente cui sembrerebbe alludere.

“C’è una corrispondenza assoluta tra oggetti parziali ma non ci sono oggetti assoluti. Non è come l’orma di una cosa.” Dada si diceva.

“La mancanza è facile ché ci consola perché in ogni caso rimanda all’assenza di ciò che è sparito che si è nascosto.” Scuoteva la testa nell’atelier di vernici marmi e lenzuola.

Dada si rammentava: “Oggi abbiamo una ipotesi della vitalità come funzione mentale coerente. Idea di realtà fisica come ‘massa’ sottostante l’attivita psichica.”

Una specie di realtà dell’attività mentale del sonno senza sogni. Del pensiero che sostiene il pensiero mi viene ora da dire.

Dada diceva:

“C’è una esistenza ingiustificabile illegittima primaria.”

E sorridendo:

“Si potrebbe provocatoriamente esperire una serie di gesti immorali giusto per offendere le cautele moralistiche e le diplomazie dialettiche. Scendere a fare sesso in piazza!”

Ovviamente Dada sapeva che la funzione primaria originale legalizzante ma illegale non autorizza l’azione di fare ‘tutto’. Semmai, all’opposto, promuove l’esitazione o addirittura il ‘recedere’.

Dada pensò al collasso della volontà al centro delle decisioni.

“Prima del volere ci sei tu” le sussurrava. “Mi da pensiero come succeda che si pensano certe cose in anticipo. Come tu arrivassi da dietro o da prima.”

Cose che siamo noi senza poterlo decidere.

“Meglio che sia sempre amore questo non/saper/volere che annuncia un pensiero che procede dalla natura fisica della materia.”

Dada sospirava tristemente vinto: “Volere è una funzione differente dalla coscienza che se ne ha.”

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