dediche


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“TINA MODOTTI SULLA PORTA DI CASA” – Messico 1923
copyright: Edward Weston

Viene il momento, torna il soffiare sperduto, frana in polvere di semi la costellazione, la terra si scopre splendente di brina, che è amore meteorologico e piogge innocue. Viene la suddivisione ideativa, quando ci prendiamo carico della neve e del latte. Viene dall’interno. Torna la nascita per lo stimolo che produce il pensiero “sto bene”. Viene sul sentiero dove cammini. Il pensiero è la fotografia di una dispersione per le strade. L’anatomia cerebrale grossolanamente ordinata. Le sfumate curve, le ginocchia delle anse corticali. Dove affondi le dita? Fino a dove possiamo? Abbiamo costruito una porta sul ciglio della frontiera e di la è entrato lo straniero. Lo straniero eri tu, direi. Trovo la quiete scandalosa della realtà del pensiero che taglia. Il pensiero procede a blocchi liquidi, a volumi d’acqua nelle chiuse del canale transoceanico. Finalmente la libertà generata dal tuo abbandono. I nomi delle cose cambiano. L’emozione nel vederti sparire all’orizzonte non è angoscia. È il momento, il soffiare sperduto, la frana in polvere delle stelle, la brina, la meteorologia del tempo buono, l’innocuità della pioggia dei diluvi. Torneranno. Non era l’ultimo quello minacciato ed attuato. Gli dei si ripetono. Io per questo mi sono fatto una barca di legno col tuo profumo di abete e rose. La fisiologia della memoria affettuosa che distingue la specie umana è filo fissato al cielo del sonno. Sono l’orlo della manica di una camicia di seta cruda glicine. Scrivo per un po’ di quiete. Stavolta niente che riguardi la ricerca in psicoterapia.

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