Ci si assomiglia dopo un certo tempo insieme. Sono cose note. Sono accettate. Non è un accordo cosciente. Riguarda un po’ lo scrivere un po’ il parlare e altro. È espressione più che sostanza. Ma perché accada devono essere avvenuti cambiamenti essenziali. Forse è un legame questa somiglianza acquisita. Non sarà accaduto sempre. Magari a volte si continua pur restando a lungo vicini ad essere se stessi e non so se è bene o male. Forse è ‘peggio’: perché è opposizione. Però forse secondo qualcuno è ‘meglio’: perché è identità. Ma l’identità se è impermeabile e impenetrabile chissà se va bene.
Scrivo di questo pensando che ormai la scienza si accinge a studiare le eredità multi fattoriali del genoma riguardo ad ogni aspetto della nostra vita somatica e psicologica. E che dunque, a meno di voler forzare ideologicamente la realtà delle scoperte in una negazione disfunzionale, la psicologia ha l’obbligo di scoprire se ci sono e quali sono le azioni trasformative reciproche nei rapporti tra di noi durante la vita. Quanto spazio hanno le parole e le cose che diciamo e facciamo nel cambiare quello che resta. La debolezza dell’amore cosciente e non cosciente. La capacità di penetrazione di un movimento. I cambiamenti che si verificano nel linguaggio nel movimento nei gesti quotidiani per la vicinanza costante degli altri. Quanto potere la realtà fisica sottile della vita esercita sulla realtà materiale dell’esistente.
Studiano l’origine genetica multi fattoriale e scoprono la culla di tutto nella realtà materiale della biologia. Sanno che il colore dei capelli e la nostra altezza sono pre-scritte. Guardano l’essere umano e sono sedotti: sanno bene che anche il pensiero d’essere sedotti origina dalla realtà materiale. È un pensiero non attivo, non è volontario. Segue ad una serie di movimenti parole e figure travolgenti, precedenti. Cercano nella culla e trovano la parola pre-disposizione. La realtà materiale diventa la realtà fisica delle parole “origine multi fattoriale”. Non solo: la metafora linguistica consente loro di addentrarsi nella lettura del libro del genoma: di alludere al lessico, alla grammatica e alla sintassi di una letteratura. L’acquisito, il di più del dato osservativo, si riflette su quanto si vede per renderlo più umano e comprensibile. Come se le parole risultassero di per loro allegorie di una probabile condivisibilità del mondo. Saettano gli sguardi dei genetisti dentro la spirale di DNA: oramai sanno leggere la stringa crittografica. Ma non sanno il significato di quelle parole. Ancor meno le forme dei legami tra gruppi proposizionali.
Giotto pitturava allegorie agli Scrovegni. Da poco del tutto risolte nella potenza degli incroci possibili tra le figure che si guardano dalle pareti opposte. Si è accertato che essi contengano, tra gli altri, un percorso ‘terapeutico’ di guarigione da varie malattie del pensiero e del comportamento ( malattie dell’anima si diceva a quei tempi….)
È così? La realtà fisica del pensiero fa l’allegoria specchiando il genoma?
La realtà fisica del pensiero, per quanto ho capito, è inclusa di certo nell’olivo dei cromosomi. Stanno nel nucleo avvitati su se stessi lungo l’asse invisibile di un tempo millenario condensato nella realtà materiale organica: una successione di ‘basi’ costituenti i geni allineati lungo i cromosomi. La realtà materiale di certa speciale biologia è il perpetuo sonno denso, ottuso e insignificante della pulsione. La biochimica dell’espressione genetica è la prima funzione per l’esistenza. Il pensiero è la realtà fisica: il sogno di quella speciale materia: nella specie umana è pensiero, comportamento, linguaggio, scrittura.
Per questo dicevo che la scienza che studia le eredità multifattoriali del genoma riguardo ad ogni aspetto della nostra vita (somatica e psicologica) ben poco lascia al mistero di un aleatorietà assoluta. L’origine è materiale. La vita fisica del pensiero è sottile e pare libera da determinismi perché non è meccanica. Adesso è nell’ignoranza nello stupore e nella seduzione delle allegorie del pensiero la nostra libertà. Questo autorizza soltanto una convinta modestia: che alla psicologia non resta che scoprire quanto spazio avranno le parole e le cose che diciamo e facciamo per cambiare le sorti nei campi di azione liberi dalla pre-disposizione.
Per adesso la libertà è ampia pari all’ignoranza dei genetisti che rende essi stessi preda di grandi movimenti psicologici di sorpresa stupore eccitazione e anche rabbia, talvolta, di fronte allo sterminato campo di predittività che si sono aperti. E per via di quella loro ‘ignoranza’ la psicologia ha ancora tutto il fascino del pensiero fisico che si specchia sul sonno della biologia nucleare. Noi psicologi, riflettendo a proposito della spirale dell’intreccio proteico dei cromosomi, esercitiamo la potenza di un fuoco di olivo esprimendo interpretazioni: esse hanno la scientificità probabilistica dei fenomeni caotici e, talvolta, il calore degl attrattori strani. Si fa la cura, purché alla fine sia garantita la legittimità del sé e la certezza dell’altro: in un azione originaria del pensiero che non ha necessario il desiderio.
Quando la prima vera luce batte sulle sporgenze e le irregolarità della materia, si chiama stranezza, differente unicità, entusiastico gradevole incanto, verità vendicatrice, sfioramento discendente, sparizione della paura, e, infine, guardare vedendo bene. Fin troppo bene aver chiaro e troppo, dico, in relazione al tempo necessario a farne rendiconti. Realtà materiale è la farina della materia di cui son fatti i sogni che non è materia allusiva secondo la poetica shakespeariana. Perché la ‘realtà non materiale’ non esiste. Se esistesse, corrispondente letteralmente alla locuzione verbale, sarebbe inesorabilmente ‘spirito assoluto’: ab soluto, disciolto, slegato per sempre da rendiconti di qualsiasi tipo. Noi veniamo dalle stelle, invece, agglutinati lungo un percorso di morfogenesi che parte dall’inesteso e raggiunge il visibile secondo collanti di più specie. Siamo e portiamo, miliardi di volte moltiplicate, le conseguenze dei rimbalzi e dei rimandi tra spigoli, irregolarità, primitivismi. Il pensiero è ancora materia, è pensare. In questa frazione universale di materia di una certa natura venne la possibilità di empatia, venne l’attività mentale simbolica. La realtà della materia consente la formazione del pensiero. E la funzione di astrazione del pensiero conia la dizione di realtà non materiale poiché immagina di poter dire di una realtà come non materiale. È realtà materiale di pensiero l’astrazione che genera la parola perchè essa è (nella) realtà materiale di una funzione. La locuzione “realtà non materiale” è azione mentale di pensiero ‘astratto’ che si svolge nella materia fisica composta di echi in azione di bolle, rigonfiamenti, irregolarità e sporgenze disseminate nello spazio delle galassie neurali poi estese come una specie di ombre o propaggini, da lì, all’interno sottile, ai dischi molecolari, fino nei nuclei di ogni cellula.
Possono essere foto su scrivanie* nelle cornici tutte differenti* può essere l’istantanea della figura di uomo sulla poltrona* che sfoglia una biografia fotografica* di bellapersempre Marilyn* (ce ne sono molte biografie di lei)** lo sguardo sulle persone* colte nell’atto di ricordare e progettare* è sempre un telescopio del tempo** il bambino che disegna astronavi* il pioniere che lucida il piccone* che ci estrasse le pepite dal fiume** puoi immaginare il salmone che risale la corrente* a deporre le uova alla sorgente** puoi abitarle* le astronavi infantili* guardare* per quei loro strumenti* il futuro ulteriore** immaginare ed essere certo*: alla sorgente il salmone si arresta* depone le uova* muore lì* e la storia si inverte**
nel pensiero il tempo ruota e si gira* poi scorre all’ingiù* verso te e me* verso di noi e più avanti** sulla plancia* sulla nave spaziale* il tempo è spinto oltre* secondo un fattore di moltiplicazione indeterminato* differente* secondo la fantasia individuale* e questo fa la differenza tra i nostri modi di stare al mondo**
la luce notturna è la radiazione poetica del molto molto lontano delle favole* il c’era una volta di ogni favola** è la radiazione poetica che fa il non assoluto del buio** e il buio è l’universo che ci cade continuamente sulla testa** e l’assoluto è come lo zero assoluto delle temperature* che non è l’assenza di temperatura** la dizione zero assoluto esprime una valutazione indecente della degradazione termica* come quando io dicessi che potrei anche non amarti più** che è una cosa che posso pensare* ma non corrisponde a niente che io conosca**
nel falso buio della radiazione di fondo* è ricordare* è come guardare col pensiero lontanissime stelle invisibili** è come esplorare il tempo con il pensiero* ma è poesia* perché non è cronaca o storia** è poesia perché è scienza* cioè una passione d’amore* e* precisamente* una versione dell’universo** la scoperta è un esperienza sensoriale di un moto del pensiero** così fu possibile la scoperta della relatività* in un esperimento immaginario* nel falso buio della mente**
come uno fosse di nuovo innamorato* vive le idee nate in quella oscurità* come stimoli derivanti dai sensi fisici** le aree cerebrali eccitate nel sogno e nel silenzio* come fosse in atto la registrazione dei dati di un esperimento sulla radiazione cosmica* quando il pensiero di noi è il laboratorio universitario* e tu sei il quartiere* il mondo** e la città**
la prassi come i minuti ciechi del sesso* e la valutazione immediata dell’esperimento* negli attimi abbaglianti di poche parole* questo è tutto** umanità* scoperta di un perpetuo moto* amore efficiente* (mai sufficiente)** ricordo* prima* quando ero violento* che così poco chiedevi come sempre** ed io* per quel poco* ti accusavo di essere una che si accontentava**
rispondesti* però* che la poesia è arte della concentrazione consapevole* e uno sforzo volontario** e che è anche la coscienza eccitata che si piega amorosamente alla dittatura dell’immagine** e che è anche il perseguimento cosciente e determinato di parlare* ma evitando la descrizione e la storia** che è perseguire insistentemente il tempo* le scintille* nel buio illusorio della scienza**
rispondesti dunque che la poesia è la sintesi* l’abbraccio del gelo attorno ai rami eleganti del ciliegio* che li fa splendere quasi morenti** dicesti* è lo sfondo dorato della percezione del tuo sesso* e sono le parole di smalto nero* la poesia è un linguaggio scientifico* sono composizioni aleatorie di parole* per rappresentare le condizioni* e le conclusioni* di esperimenti di pensiero* con cui si fanno le scoperte decisive** quelle che cambiano* per sempre* le condizioni della nostra vita**
così mi sussurravi quando ero violento e stupido* e avevo considerato che le tue poche parole fossero miseria intellettuale* e questo avveniva perché non capivo**
Ti racconterò amore mio, stamani, l’azione del massaggio: che non è che sia delicata come essa appare ed è solo e soprattutto e definitivamente (per cominciare) uno scandalo.
Si tratta di mani che hanno la forza che -all’inizio di tutto– era per uccidere avendo impugnato la mandibola dello scheletro del rinoceronte o del cervo. E però, adesso, esse fanno cose indicibili che solo agli amanti in genere sono permesse, che alle vette dell’eccitazione dovrebbero condurre l’amore. E invece sono la ragazza o il ragazzo silenziosi, come automi d’aria, sospesi alle nuvole galleggianti sopra le nostre spalle, a fare su di noi gesti che solo l’amore appassionato dovrebbe poter compiere: e che al contrario, in genere, non sa (non vuole) compiere.
Appesi come giacche da sera alla gruccia celeste degli uragani, esprimono l’indicibile e pongono la domanda su quanto sia importante usare la forza. Una forza inaudita e silenziosa. Una forza che non ha parametri. Lo scandalo del massaggio è una delle tante cose che si oppone alla letteratura. Il massaggio è uno scandalo che sfugge, chiudendosi nella sua casa di perfezioni. Consente l’uso della forza per il benessere, come si usano le armi affilate per le operazioni chirurgiche. Noi girati di spalle possiamo guardare il sangue scorrere in assoluto silenzio. Perfettamente obbedienti, il nostro sangue e noi stessi, al comando dei rianimatori che hanno a che fare con la vita e la morte, né più né meno.
Lo scandalo delle mani si oppone alla letteratura che vuole -vorrebbe- dichiararsi lieve e umanissima nella sua capacità di raggiungerci il cuore. Il massaggio realizza da fuori, misteriosamente, con l’azione sulla pelle, ciò che fa perdere la testa impedendo la coscienza. Non il pensiero.
Il massaggio fa parte della mia formazione. Lasciare che il ragazzo e la ragazza, appesi al cielo per quanto ne so disteso come sono seminudo sul lettino pulito, con la forza facciano quello che nessun altro potrebbe fare -se non con l’intento di seduzione o d’amore appassionato in una estrema realizzazione di civiltà del rapporto che porta al sesso e alla reciproca gioia- è parte integrante del mio transfert con il mio mondo umano.
Mi faccio la formazione anche, e forse soprattutto, attraverso oggetti parziali: libri, riviste, articoli scientifici. Ho sempre la sensazione, di fronte alla vastità del panorama, di dover operare delle scelte che saranno esclusioni. A causa di questo eccesso di libri e oggetti parziali, che costringono a fare delle esclusioni, perché l’offerta eccessiva sottrae il tempo per le scelte, ho più sicura la certezza che si scrivono libri poiché gli altri esistono.
Chiarisco: si scrivono libri affinché essi (gli altri) non esistano più: per un poco, almeno per quanto dura l’azione della scrittura. Avevo scritto che la letteratura è spietata ma ora dico di no, la letteratura è ingannatrice e pietosa, poiché essa assolve. Alla fine assolve l’omicidio che essa stessa compie, e lo fa facendo finta che si possa dire che una cosa finisce, che c’è un arresto del pensiero.
Ma non vengano a dirlo a noi lettori instancabili: perché alla fine della scrittura dei libri, che fa dello scrivere semplice letteratura, noi iniziamo tutto il tormento per aver letto qualcosa senza capire perché sia finito proprio là. E che cosa significhi che è finito. Dato che poi noi restiamo svegli o che, al contrario, ci eravamo addormentati infinite volte leggendo: come se noi stessi fossimo il testo che continuava. Come fossimo un testo in carne ed ossa, un testo immortale.
Noi che leggendo non avevamo coscienza di noi, seppure avevamo la veglia e il movimento e forse addirittura la volontà e la capacità di intendere, alla fine del libro siamo rigettati a qualcosa che non è chiaro. A qualcosa che dice “…era solo un libro”. Allora noi aggiungiamo: ” …già davvero: era solo un libro scritto per ucciderci!”
Lo sbarco nel mondo nuovo, dunque, non dovrà essere uno stile diverso delle forme delle attuali scritture, ma uno scrivere senza posa, una rivoluzione del comportamento, cioè dell’immagine inerente a scrivere: che sarà arricchita di un avverbio di tempo, qualsiasi cosa esso significhi: scrivere sempre. Scrivere sempre sarà operare un’azione per privarla delle sua intenzioni estenuandola all’infinito. Realizzando la sua verità che è la sua impossibilità di essere conclusiva.
La demistificazione (non) avrà (più) nessuna rabbia, poiché la cessazione della finzione non sarà denunciata nel testo della scrittura, ma sarà esercitata con l’insistenza a tacerla agendo incessantemente con mani forti precise e decise sulla carta. Poiché si scriverebbe per seppellire, e la scrittura avrebbe il rumore di una gigantesca macchina per lo spostamento terra, l’unico modo per smettere di operare questi seppellimenti -che non sono neanche rimozioni ma subdole coperture- è quello di non prendersi il tempo per una qualsiasi sospensione.
Non vogliamo prenderci quel tempo e questo avviene perché sappiamo che la sospensione sarebbe la fine, e dunque il completamento del tumulo: seppure in tal modo avremmo molte benemerenze, in quanto salveremmo l’idea di letteratura cui per tanto tempo si sono rivolti in molti -con stimmate autoinflitte o peggio di origine psicosomatica- a caratteristica di erudizione e impegno.
Attualmente, e per chissà quanto ancora, a causa di tutto questo scrivere, perché sembra inevitabile (non lo è) che se si è scritto dovremo leggere, lo ‘scritto’ diventa, in quanto inevitabile, definitivamente impossibile. Tuttora comunque si vede bene che noi leggiamo sempre, obbedienti: leggiamo tutte le parole scritte nei libri (le parole della letteratura) che in realtà sono state vergate per seppellire le nostre stesse possibilità.
Sappiamo che è così e che leggendo diventiamo in qualche modo peggiori: perché procediamo ad una identificazione con i nostri uccisori, con gli architetti della letteratura che in realtà sono i padroni e non solo i produttori di libri. Sappiamo benissimo che la letteratura distrugge. Essa distrugge non tanto le nostre possibilità di dire qualche cosa di più, ma le nostre salutari ed indispensabili speranze di non dire più nessuna altra cosa. Che è il motivo per cui ci hanno abituati a pensare dovremmo leggere. Per riposare.
Sappiamo tutti che la letteratura così come è -proposta sotto forma gradevole nell’offerta di opzioni pluralistiche- non fa che impedirci sempre più crudelmente ogni possibilità di tacere. Allora: solo scrivendo senza posa, senza mai arrestarci – perché arrestandoci completeremmo qualcosa e avremmo un libro – solo quindi scrivendo senza mai scrivere libri – potremo fare la differenza tra letteratura e scrittura, e potremo realizzare l’immagine di un silenzio di fondo.
L’ immagine dell’identità originaria indicibile e sicura. L’idea della materia dormiente che non è biologia senza vita umana e non è neanche natura indifferenziata. Semmai, e al contrario, è realizzazione di funzioni che, in quella condizione, non sono in grado di pensarsi mentre accadono. La realtà del non cosciente essendo che esso non sa pensarsi.
Ti racconto chi tace. C’era una volta, alla fine, chi riuscì a sottrarsi al racconto. Ti racconterò amore mio, stamani, l’azione del massaggio: cioè finalmente (per cominciare) uno scandalo. Le mani che fanno cose indicibili che solo l’amore appassionato dovrebbe poter compiere e che in genere non sa compiere. La volontà di ragazzi e ragazze che raccontano la forza indicibile che non ha parametri di scrittura. Una forza niente affatto letteraria pur nella sua estrema umanità che fa perdere la testa impedendo la coscienza responsabile ma non il pensiero.
Sotto le mani sapienti facevo le libere associazioni. Ho fatto la scoperta dei piatti di portata dell’orco. Esso cucina e porta in tavola i nostri ultimi spasimanti spellati vivi, e i generali che hanno restituita la divisa per la parata. Sotto le mani sapienti la volontà è divenuta l’idea di mantenere vivo il pensiero di dire tutto questo come un sogno.
Ero lo schiavo testimone in fondo al corteo. Mangiavo pane bagnato. Non mi avrebbero più ucciso: ed è stato così che ho scoperto la conoscenza (guarigione?) accidentale come variabile imprevista: una tra le infinite versioni della mia vita intera. In fondo al corteo ho capito che era necessario scrivere ma non scrivere libri.
E per quanto riguarda noi due posso affermare che è assolutamente necessario che tu interpreti i miei sogni. Ma non che li interpreti ogni volta con una versione definitiva e intransitabile. Ma invece che tu li interpreti non smettendo mai più di interpretarli. Che il tuo amore (lavoro!) sia di restare continuamente a interpretare. A realizzare, nella pratica, l’unico sogno che non si racconta perché non si può: l’ultimo sogno che arriverà quando non ci sarà più nessuno.
Tu giovane amore devi (se posso permettermi) interpretare la vita prima che essa accada. Tu devi stare lì accanto con coraggio perché io possa protestare contro di te dicendoti che “…avresti dovuto interpretare la mia vita da subito. Restando.” Perché io adesso ti devo spiegare, in forma cosciente e ragionevole -affinché tu alla fine abbia la sensazione cosciente di capire come stanno le cose ‘dentro’- che io (forse anche molti altri) sogno l’altro che c’è stato da subito.
Che sognando, secondo un pensiero che non sa pensarsi mentre accade, proprio per quella qualità del pensiero del sogno, stabilisco il sempre una volta per tutte, che è nascere. Sogno la possibilità di una nascita quando il pensiero non sa pensarsi ed è per questo che non è cosciente. Ed è per questo che è in genere anche bello.
Hai notato mai che i bambini sorridono quando si pronuncia “….C’era una volta…” (noi, sospirando): e allora loro sorridono per premiarci di una scelta vincente. Poi non ascoltano più altro che i toni e il timbro di guerre e rappacificazioni. E si addormentano, in genere. La fine non ha fascino, solo il non finito ne ha, solo la scelta corretta definitivamente vincente di quel modo di parlare.
E’ dunque evidente che scrivere libri è un tradimento: perché illude che si possa scrivere sempre e soltanto, cioè inevitabilmente, fino ad un certo punto. Mentre in verità l’unico modo di scrivere è scrivere sempre. Quasi scrivere continuamente, se si è abbastanza intelligenti (innamorati) in grado di accettare la provocazione amorosa. Così penso che, anche a proposito della formazione, l’insistenza e la continuità debbano averci molto a che fare. Ma per adesso non saprei dire di più.
Dunque per adesso non aggiungo che questo: che i libri e il riposo fanno la sfilata dei reduci vincitori, quelli con l’armatura ancora addosso, fanno la versione faziosa degli avvenimenti. Non ho mai capito se, nella confezione editoriale, ci fosse più dolcezza o crudeltà. Ho l’idea di molti guasti attorno a me, nonostante l’enorme vastità del panorama culturale, e mi dico che: la vittoria ha la testa del nemico nella mano fusa ai capelli con il sangue. Sparge gocce in giro. Si nutre leccandosi le ferite
Il silenzio durante la scrittura deriva da una azione presuntuosa di appartarsi per non capitolare alla vittoria in battaglia. L’azione di comprensione che vincenti sono le scelte. Così non c’e bisogno dell’omicidio rituale. Allora è evidente che la parata dei talenti è la fila per il pane. La fila di quelli che si sono riservati una posizione dalla quale avere sempre da ridire. Restando: l’uno con gli altri.
Ha ragione M. Fagioli: la pulsione, che è lo specifico disumano dell’uomo, è fantasticare come ‘non essere’ la realtà del non materiale del pensiero. Fantasticare sbrigativamente che il non materiale è non umano. Lasciando la libertà di pensare, di concludere per conto proprio che “…di conseguenza il pensiero, se non è biologia, è ‘natura’…”.
Procediamo con le gocce di sangue: scrivere non è scrivere libri. E’ scrivere sempre, continuamente. Io lo chiamo amore solo perché non ho trovato ancora una intelligenza personale che mi affranchi da quella parola così affascinante da pensare. Quello che conta adesso è dire che non è alla fine che si vince. Vince chi lotta sempre. Chi ha l’insistenza (la forza nel tempo) di stare lontano dalla vittoria che è sterminio e omicidio. Lottare è riproporre la scelta vincente. Non imporre il nesso che è vero ciò che si è rivelato più distruttivo per i nemici.
Dunque ci sono pensieri pericolosi e dovremo tener conto continuamente della potenziale pericolosità di questo medesimo pensiero. Così alla ricerca di te, delle ragioni dell’amore per te, alla ricerca della conoscenza attraverso la formazione, non riesco a smettere mai di dubitare. Al centro del mio pensiero e della gioia stessa di pensare, al centro della possibilità di pensare come destino, c’é un dubbio così espresso definitivamente
“e se….?”.
Questa proposizione mentale, nella forma corrispondente alla composizione grafica con cui è segnata qua sopra, funzione di una fisiologia irriproducibile dalla cibernetica, è diventato per me il pensiero dell’altro. La certezza che esso esiste ricco di dubbi ben distribuiti. Secondo l’estetica della semina probabilistica. Quella semina, quella distribuzione, è la forma complessa del suo pensiero. Ripropone le parole e impedisce che la scrittura si arresti.
L’amore che amo esiste piena di dubbi. I suoi attributi, la sua bellezza, le sue speciali qualità sono i suoi dubbi probabilisticamente ben distribuiti. Se vuoi. Ti racconterò di chi tace. C’era una volta, alla fine, chi riuscì a sottrarsi al racconto. Smise di essere in ansia chi si era invaghito delle forme del dubitare. Poi….
posso amarti senza il desiderio determinato dalla visione intuitiva di una immagine interna. prendere a piene mani ciò che mi è chiaro evidente che so già e che ho sempre saputo. non cercare all’interno. solo volere impacciato e sfacciato all’ombra della pineta.
ricordo di me anni fa in una uguale condizione di assoluta certezza al davanzale dei gerani. circumnavigati i fiori ero andato via. l’addio furono risate e grida di un impeccabile colore di rosa. poi feci caso ad altro. a smentite.
che non tutti buttano giù i chili di troppo (semplicemente non si riesce a togliere loro quell’incapacità). che non esiste l’uguaglianza. che in proposito c’è una tensione. e che ci consoliamo col diritto. ma non ci sono vere soluzioni.
come è vero che sei sempre stata troppo bella, con la stessa evidenza risulta chiaro che, oltre una certa data, i vincitori sono reduci anche loro. non fa differenza che anni prima avessero al loro seguito altri reduci legati in lunghe file come prigionieri.
studiando con progressiva passione la storia si sa che: gli schiavi pesano come cannoni sulla mulattiera che sale alla linea del fronte, che le frontiere hanno un costo elevato di manutenzione, che nessuno può permetterselo, che è solo una questione di tempo.
infatti adesso posso dire che quello che vidi era vero. non c’è un oltre. è solo il tempo necessario a recuperare la visione della nascita ad essere illustrato in stile romantico. si avanza verso la carne tua. non è l’anima intima che vogliamo. quella fu subito evidente. adesso sei tu soltanto.
negli anni non è desiderio è volontà. così a scuola si insegnerà a odiare lo stile in letteratura, a odiare tutta la letteratura, che i misteri sono incisi in superficie. si pretenderà l’intelligenza. che uno voglia mangiarti il cuore non è crudeltà. tu hai il cuore tatuato sulla carne di un braccio.
una pedagogia prossima al disinganno chiarirà la deriva e legittimerà la disuguaglianza. la rassegnazione verrà disegnata con piglio deciso. studieremo l’inclinazione del fendente del boia. e gli angoli di caduta dei chicchi d’uva quando sfuggono dalle labbra.
le intelaiature degli scheletri delle ballerine del Crazy Horse hanno proporzioni fatali come quelle dei linguaggi terapeutici. al contrario di quelle perfezioni la ferocia dello stile si oppone a tutto e impedisce oramai di dedicarsi a qualsiasi cosa valga la pena. proprio per quello.
te ancora oggi ti lasci amare con trasporto assoluto che esclude ogni allusione. è grazie a te che parlare e scrivere ha ancora un tempo. il senso la scrittura e il linguaggio non ce l’hanno e non ce l’hanno avuto mai. il senso è sempre stato un cuore da divorare. altrimenti una convenzione servile.
nell’arte delle carezze è la proporzione omicida degli incrementi lungo una curva che soddisfa il desiderio e lo uccide. noi fortunati, dopo, passiamo la vita nell’incredulità. scriviamo per sfuggire le parole ferocia e pazienza. fingendo di capire qualcos’altro distraiamo lo sguardo dalle pinete.
sei stata sempre troppo bella: prova evidente della non esistenza di qualcosa che stesse oltre noi. fuori di noi. ci fosse stato un oltre ci sarebbe un senso. invece c’è solo il tempo per avvicinarsi a te che hai tutte le qualità dell’anima.
è stato subito evidente tutto il tempo inevitabile. impossibile. dunque che c’entra lo stile in letteratura? c’entra la personalità multipla, l’isteria, la santa anoressia, il digiuno accorato, il panico per un rumore dietro la parete. e l’ansia: facile da togliere con i baci.
la relazione tra i baci e la guarigione dell’ansia (e altri sintomi del tempo) rende sospetti: la formazione, i convegni, la distribuzione legale dei crediti a pagamento. la disuguaglianza è al centro del pensiero. tu avevi le prerogative dell’anima. io lavorerò in eterno.
l’estetica del pensiero geniale ha la natura della bellezza. perdere tempo alla ricerca di uno stile è invidia. di fronte alla bellezza non si può pretendere l’uguaglianza. avevi addosso lo splendore. l’oltre sulla tua pelle proponeva la vitalità alla base della cura. i baci contro la confusione
posso amarti senza ricorrere alla letteratura di genere. privo della poetica della visione intuitiva. fuori dall’auspicio di una immagine sublime di contenuto. per me sei tu in carne ed ossa la famigerata immagine interna oggetto del desiderio.
la prassi del lavoro psichiatrico la musica e i ricordi bellissimi che resteranno eterni
Cominciava con una spirale per finire sulla luna il pensiero d’amore aveva una musica come sempre perché come sempre l’amore suonava nella mente anche se nella mente il suono non poteva esserci c’era l’idea del suono c’era il segreto o meglio c’era la natura non cosciente delle cose del pensiero umano. e tutto quello che compare nelle figure del film non c’è più nella realtà economica delle cose che mi appartennero e che non possiedo più. resta uno stabile di bellezza unica da cui andammo via per ragioni oscure. resta una musica come racconto e delle parole che furono scritte perché erano state raccontate dalla voce di un amico che le aveva trovate sul vagone di un treno. durante non so quale viaggio ma non è la cosa più importante adesso. la natura di tutto questo è affetto. la natura del contenuto delle figure del film è affetto. non ha altro nome. la coscienza deve dire questa parola esatta. nessun altra sarebbe una buona parola da dire. la coscienza è sottomessa alla dittatura scientifica a proposito delle parole. la dittatura scientifica delle parole si esercita grazie al fondamento del pensiero umano che è una immagine. la coscienza è sottoposta a decisioni alle quali non prende parte. la coscienza tuttavia non ignora che quelle decisioni si esercitano secondo livelli di maggiore o minore fusione del suono e del gesto con un contenuto di cui sempre essa deve tener conto. la coscienza svolge un ruolo fondamentale nel lavoro e nell’amore. poi lascia fare. si distrae come un dio che si allontana sulla riva del mare. poiché l’umanità della nascita non gli appartiene.