diffrazione


sono oramai quattro anni


Posted By on Set 7, 2014

La ricerca di base determina su certuni una attrazione. Come loro si dispongono seduti in una prima fila accanto alle pareti, e poi in una seconda fila attorno al cuore dei significati impliciti dell’essere insieme in questa stanza di psichiatra, io adesso traccio parole dal centro del foglio ai suoi margini. Non sono molte le cose che voglio scrivere nel disegno. Voglio scrivere e disegnare di un cuore nero. Così ho disegnato e scritto un cuore nero.

Perché toccare o avvicinarsi alle realtà di cose di natura pericolosa? Perché posso farlo senza rischi ora che metto insieme il ’76 da che venni in rapporto con la scoperta e la prassi relative a IDMEC e il suo autore (e sono 38 anni) e il 2010 (precisamente il 20 settembre) e sono quattro anni. Da trentotto anni la manipolazione di concetti diagnostici -nati nella teoresi freudiana che era la forma culturale della Cattedra della Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università degli Studi di Siena- deve costantemente sviluppare le necessarie distinzioni terminologiche e le ancora più indispensabili chiarificazioni inconsce per arrivare dall’istinto di morte tutt’ora in auge, alla conoscenza di possibilità differenti.

Spericolato trentotto anni fa già mi dichiaravo sicuro di conclusioni univoche e coerenti a partire da una certa ‘ipotesi’ assunta come scoperta definitiva. L’potesi conteneva nella trattazione parole come: rifiuto, frustrazione, nascita, vitalità.

Ora scrivo e disegno il cuore nero. È che dal 1976 si è ben disegnato il solco tra fantasia e pulsione. Tra sparizione e annullamento. Non cosciente è, comprensibilmente, l’attivita fisica alla base della funzione del pensiero. Questo voglio dire, nel ripetere di questi ultimi anni. Dire e ripetere che, siccome la realtà mentale ha natura fisica, l’azione fisica non può essere sottoposta alla indagine della coscienza cui essa da origine se non un attimo ‘dopo’.

La coscienza è successiva al proprio accadere. Il non cosciente attuarsi delle variazioni fisiche, che ci regala l’ineffabile senso di noi, inaugura ogni istante l’esistenza del pensiero ed esso non è, alla base, che fenomeno fisico di tempo che costantemente si ama definendolo ‘la nostra vita’. E la nostra vita è senza senso se vuol sapere la propria origine che non saprà ‘mai’, tuttavia, per la fisica potente della propria costante generazione, ha la certezza che  è di per sé origine ‘sempre’.

Accadiamo costantemente a noi stessi: irreparabilmente nella solitudine dello studio e della azione di ricordare, e poi tra le braccia di donne figli compagne e innumerevoli altri partecipanti di società complesse: ed allora il sacrificio della piena coscienza da subito è amore, politica, legge, regole, necessità e partecipazione, compassione, voglia e attesa.

Ma mai la legge della simultaneità (entanglement) quantistica regola alcuna delle vicende della relazione interumana: la natura fisica del pensiero ne renderebbe conoscibile la vicenda dell’attuarsi solo in un universo in cui le masse fossero meno grossolane di quanto invece non siano in rapporto alle filiformi volute del fumo di fotoni e particelle elementari.

Dimesso e gentile il girasole che vorrei essere piega il capo. Le idee sono semi seccati. Tu dunque passa attraverso i filari, mieti, setaccia e fanne olio. La biomassa degli scarti potrebbe restare per gli abbracci. Il discorso, da un punto, si sparge in terra a manciate. Le cose scritte in quattro anni giacciono insieme. Per quel che vedo c’è un contorno curvilineo. Tratti di matita nera all’interno ma anche lungo il margine e fuori. Non ricordo gli attimi della decisione di quattro anni fa in settembre. Non ho tenuto memoria cosciente del giorno e l’ora quando scrissi la parola Operaprima.

Il ricordo torna con la fantasia di riprendere a disegnare parole. Traccia mnesica di quattro anni fa ma anche di trenta e più anni fa. Imparo a leggere e scrivere, aggiunsi, nella descrizione. Poi essa era diventata ‘Pensiero, fisica, realtà, materia’. E poi ‘Origine materiale della vita mentale’. Da poco ho precisato ‘Natura fisica della realtà psichica’.

Forse sto ripetendo, in modi differenti, un impegno che mi ero preso giovanissimo: narrare la vicenda che va dalla pulsione di annullamento alla conoscenza dei fenomeni fantasiosi delle sparizioni. Così finalmente ho disegnato le parole ‘ricerca di base’ sopra il perimetro nero di un cuore infernale. Quello che un tempo faceva terrore oggi sutura i segni grafici che esprimono il lavoro di conoscenza alla base della prassi medica.

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sesso sulle scene


Posted By on Apr 24, 2014

Francoise-Gilot-Sono-l-unica-amante-che-si-e-salvata-da-Picasso-lasciandolo_h_partb“Niente di te discosto/ La poesia nella sintesi/ Il sesso nella recitazione/ Gli attori non potrebbero/ Fingere passioni docili/ Fingere d’esser bravi…”

©Robert Capa

Più di questo sole è il senso dell’acqua, che riposa. Le onde e i secchi straripanti per pulire le croste di sabbia lunare. Guardiamo gli amici sulla barca a sfidare. Dobbiamo accordarci sull’uso di verbi transitivi senza oggetti. Ci mancano luoghi in cui riposare le azioni delle quali i verbi transitivi (che implicano di compierle) costantemente ribollono. Abbiamo in mente le azioni sospese nel corpo dei verbi di pertinenza. Il pensiero ribelle sa far uso inappropriato di sé, e questo è scrittura quotidiana: incantare in gelatina di sguardi i pesci tirati su dal fondo della barca dove guizzano stanchi da che li abbiamo pescati, o ripararsi il sole che brucia gli zigomi con le vele delle mani aperte sulla fronte. L’indifferenziato impatto energetico dei raggi ultravioletti brucerebbe torrenziale fino dentro la preziosità degli occhi e tutto ciò che incontra se non lo riparassimo. Il sole contro una nave di legno troppo dolce e secco. L’indifferenziato impatto addosso alle navi e ai marinai brucia tutto: è il fuoco dell’ideale inesistente del pensiero ‘puro’.

Appena appena contro questo sole il senso freddo curativo dell’acqua. Il freddo che risulta dalla differenza. Stare nell’acqua fino al collo, galleggiare, essere ammalati e fantasticare: vincite alla lotteria, tempo disperso, strusciare al muro, alcolismo minore, scommesse, senza il tramonto l’odio dei climi medi di non essere nati e fare finta. Rifletti: i bravi attori protagonisti si baciano e finiscono a far l’amore. La macchina rumorosa del set non molla: cerca, stringe -spremendo- l’arancia di lei sotto la forza muscolare del ragazzo, e poi lei afferra lui, con dita ardimentose più di quanto lui sia stato pieno d’ardore: e allora lui splende di nero e violetto come una prugna sottomessa alle ‘sue’ labbra.

E a quella cima d’albero d’ogni frutto conosciuto una luce sprizza dalle loro mani, e finta non potranno fare più. Dopo, avvolti nelle lenzuola, ridono felici che la verità non li ha travolti. La bellezza dei naufraghi e dei naufragi si misura dove non parrebbe il caso. Nel fuori scena della recitazione d’amore che ha l’umanità assoluta. Semmai saranno i vezzi quotidiani a confonderci apparendo spettacoli e finzione. A questo si oppone ‘sto Scrivere Quaderni e Quaderni di Ricerca in Psicoterapia come azione di lotta. E’ che il setting, come il set, costringe a non fingere e insomma alla imprevista coerenza, divenuta ineludibile, tra parole e contenuti, tra ‘affetto’ e ‘conoscenza’.

Sotto le luci del palcoscenico fisiologia felice del tuffo è la nascita perché è massima stimolazione. Questa estrema variazione è ricordo dell’aria e della luce del primo momento fuori dall’utero. Inconscio/fuoco in aria e fiamme dagli occhi chiusi di passione. La finta che sia ‘tutto questo’ soltanto, e soltanto ‘questo’ sia, non è finzione: è l’unico modo di procedere. È una scienza il linguaggio e dunque, appunto, come s’era iniziato, ti ripeto e ripeto ripeto come un’onda  il senso che ho dell’acqua:

“Niente di te discosto/ La poesia nella sintesi/ Il sesso nella recitazione/ Gli attori non potrebbero/ Fingere passioni docili/ Fingere d’esser bravi…”

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il luogo e la misura


Posted By on Apr 7, 2012

Ci si sta bene. Come fosse questo il luogo e la misura. Come la misura fosse il tempo che non c’è più. Ma cosa porterà nel pensiero la sparizione del tempo. Non è che spariranno i segni di immaginazione legati alla generazione dei suoni della parola. Nella mente i suoni non hanno vibrazione fisica. Dunque avremo segni liberi cui non troviamo più una legittimità, seppure noi sapremmo comunque continuare a ripetere la parola con i suoni appropriati. Così nacque la tristezza di allora, alla caduta del sogno di restare sempre innamorati. Ti dissi, cioè avrei voluto dirti: ” Légami la lingua, che non debba più pronunciare il tuo nome, il tuo nome che è diventato un nome di ieri. O il nome di adesso che però non ci sei più. Non è grave che tu non ci sia più, è grave che io sapevo che in te c’era la felicità di pensarmi, e adesso so che pensarmi ti spiace, che preferiresti non pensarmi, che saresti felice di non pensarmi più…”

Ora so che per guarire dovetti cambiare la fisica del mio mondo. E’ questo la natura causale del dolore. Non fu (e capii che non è mai) portare via dal luogo che eri stata tu l’immagine di me. E’ che dovette (deve, sempre) avvenire una trasformazione della materia. Un differente modo mentale di configurare il mondo interiore, la realtà esterna e la relazione tra mondo interiore e realtà esterna. Attraverso un fenomeno che potremmo definire il ripristino di una differente funzione del pensiero.  La funzione nuova e globale del pensiero non dovrà lasciare niente di intentato. Nessuna parte della rappresentazione del mondo -sia percettiva che immaginifica- dovrà persistere in nessun punto come era prima. Finché tutto quel mondo di funzionamenti e argomentazioni biologiche non si è ristrutturato, resta l’oscurantismo, la sofferenza fisica, la stanchezza agli arti, la difficoltà ad alzarsi la mattina, la svogliatezza e l’irriducibile rabbiosa incredulità di un ragazzino ferito in mezzo alla strada polverosa, sotto le macerie della sua bicicletta un tempo fiammante.

Paradossalmente penso che sia ciò che accade al mondo delle istituzioni culturali, nelle accademie del gusto e del sapere, nei corridoi della storia, nei centri commerciali della distribuzione dei premi, nelle stanzette private delle relazioni pericolosissime di attribuzioni delle percentuali degli onori e dei poteri. Quando si spalanca la voragine di nuove irrimediabili scoperte. Mi sa che si dovrebbe studiare per non cadere nello stato di rabbia impotente e di invidia conseguente all’innovazione. Studiare e lottare per prepararci alle trasformazioni del pensiero, come alle vicissitudini dell’amore. Alle vicende verticali dei disaccordi improvvisi del sesso dei corpi negli abbracci. Alle evanescenze improvvise del genio capriccioso che vuole -e poi non vuole più- più frequentemente che non si pensi. Ascoltavo con la ragazzina sulle spalle, appoggiata alla schiena, che -come io, pur così sofferente, fossi felice- non sentiva quel dolore perché esso si era presto stabilito come dolore fisico. E non era diventato malattia del pensiero.

Ieri ho portato tutto -nelle valigie in fondo alle scale- quello che non serviva più. Le cause delle risate che erano diventate i ferri della tortura. I libri delle confessioni estorte ai partigiani perché pensavo che era bello fingersi uno di loro quando capitò quella caduta di ottimismo, quella enorme difficoltà, la tragedia della perdita dell’indifferenza e dell’onnipotenza. Ma quanto raccontato al confine degli amori non nobilita mai nessuno. Allora pensai che volevo diventare bravo ad essere felice all’improvviso. Ma la ricerca non è arrivata a questo punto. Non ci arriva la ricerca. Non è umano. E basta. Il tempo è restato come il concetto o l’immagine di quanto è indispensabile a fare la trasformazione che pare una guarigione perché il dolore cessa, anche quello fisico.

Finalmente ieri, insomma la notte appena trascorsa, la sera del giovedì, si disse che il sogno dell’aereoplano immobile nell’aria che non precipita è il massimo di vitalità. Che l’orizzonte degli eventi sull’orlo del buco nero, dove il tempo si ferma e la luce è sequestrata, e niente più si sa di quanto accade al di là di quell’evento di nero -tanto compresso in quasi più altro che sè stesso, da non offrire niente di più che noi a noi- è, nel pensiero del sogno, un modo di affermare l’intuizione della vitalità.

Poiché si cerca sempre un modo differente ed ulteriore per definire, con il pensiero verbale, il fenomeno della trasformazione dello stato fisico della materia biologica dell’attività cerebrale del feto, durante il parto, in uno stato fisico differente, che consente alla materia biologica di realizzare quella nuova funzione (*). Solo in questo caso, probabilmente solo nella nostra specie, l’attivazione della sostanza cerebrale per via della luce attraverso la retina, alla conclusione del parto, fa la nascita del pensiero come capacità di immaginare. L’amore e la passione che ci concediamo, come specie tragica e piena di speranza, è un regalo dell’origine materiale del pensiero. Della nostra origine materiale. Come se sapessimo che se si nasce non sempre si verrà uccisi. (**)

(*)la vitalità, appunto.

(**)appartiene a una delle molte affermazioni che vado ricordando a memoria di quanto studiato per decenni della TEORIA DELLA NASCITA. Non starò ogni volta a riferirne la collocazione esatta. Per un difetto di memoria ma anche per una costrizione di affetto. Chi vuole può andare a cercare, in proprio, misurando così il proprio interesse e la propria curiosità.

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fondamenti


Posted By on Mar 16, 2012

Sottolineo certe frasi o parole per mandare messaggi al futuro. Chi sarà che sfoglia il libro nel duemilasettanta.

Confermo con righe scure come parlare con la mia voce. La condivisione è risparmio come la poesia. Le cose pensate tue e mie poi un secondo e poi l’azione del dimenticare. Infine per sempre serbare la sensazione di accordo.  Il secco cresce sotto la convessità delle tegole di cotto. Asciutto terapeutico. Le condivisioni smagriscono l’eccesso. Si è vivi come lo svolgersi di un tema e il procedere di un tunnel sotto il mare. Leggo scavando con l’azione di una talpa meccanica. Schiarisco un testo ulteriore con la matita nera. Non troverò il tempo di imparare questa illuminazione. Il tempo è diventato fidarsi di sé e della potenza degli essiccatoi che investono il presente di umano interesse. La riga sottile orna il testo legandogli variabili ed indecifrabili affetti.  Alla percezione della tua figura grido. Metto il cuore sull’immagine. Mi persuado definitivamente che sempre è il tempo psicologico di noi.

Studiando ultimamente, cose non fondamentali, scopro che i fisici divenuti metafisici ci hanno lasciato il mondo in eredità. Non so pensare altro se non che gli affetti del soggetto, il pensiero del soggetto, si originano necessariamente dalla trasformazione fisica degli stati della biologia cerebrale. Le parole più belle tornando e ricadendo sulle nostre teste dopo essere state pronunciate cambiano ulteriormente la materia. Inducendo stati imprevisti. Parlandoti di noi sottolineo e sottraggo e vado avanti. La memoria silenziosa accantona. La coscienza conosce il gesto della mano sul foglio e la declamazione di intenzioni benevole a nostro favore. La coscienza ha il piacere della consapevolezza dell’alternarsi di condizioni di esistenza e d’amore. Le tegole cave del tetto offrono la pancia al sole. L’io non cosciente protegge le cose dimenticate. Esattamente il dopo di adesso. La certezza che esiste un seno.

 

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Lascio che sia la nebbia ad incalzare alle spalle. La nascita e non la storia. Sicuramente sono nostalgia di qualcuno. O rimpianto.  E anche odio attuale. Che lo voglia o meno sono anche pensiero di altri.

Se la realtà psichica sfugge alle leggi della degradazione termica, (e gli sfugge), il tempo non può variare facilmente l’affetto. Se non c’è azione diretta di entropia, un profondo affetto non ha una freccia direzionale ben distinta, e dilaga. “Per sempre” si dice ogni volta con grande sincerità. Forse è la vitalità la funzione della materia che permette l’idea dell’eternità della presenza all’amore. Ci dev’essere un cuore elettrico, che genera ‘sempre‘ e ‘mai‘: che fa sì che un tempo diffuso diventi sostanza di sé. E, quasi in uno scambio, integrità e continuità dell’identità, diventino prerogative del tempo.

Nel sogno si viveva ancora insieme tu ed io – era un secolo fa – ma noi si viveva insieme come se non fosse passato neanche un giorno.

Quando dico della nebbia alle mie spalle mi piacerebbe raggiungere l’abilità dei fisici di far poesia con le onde elettromagnetiche. Quelle goccioline d’acqua sospesa in aria, sfrangiano i raggi luminosi che le colpiscono, e ‘autorizzano‘ la percezione di un mare verticale. E’ una percezione ‘falsa‘ perché non consente di vedere, ed enumerare esattamente, i singoli costituenti della nebbia. Ma è anche la ‘verità’ che noi percepiamo, perché quest’onda di latte è fenomeno fisico di diffrazione. Fu così che la percezione, tollerando l’inganno della luce, ebbe in cambio la conoscenza, in forma di bellezza.

Quando dico “ti amo” e  “ti penso sempre” devi essere certa che sono ben saldo con le spalle al muro di nebbia – che c’è la qualità consentita agli uomini di indagare la realtà fisica, per la lotta della sopravvivenza – e la qualità ‘divina‘ di inventarci, con la forza degli affetti, una rete di rimandi reciproci e continui – che crea spontaneamente i legami.

Ma salta all’insù un capoverso adesso, perché riprendo da lì. Anche il pensiero è composto di atomi di quel tipo. Di atomi di ossigeno e idrogeno organizzati in molecole d’acqua. Che alla vista sono lettere cifrate luminose e imprecise, brillanti e carezzevoli. La conoscenza nei rapporti risulta più comprensibile se avrai studiato la genialità dell’intuizione di Turing. E la miracolosa medicina della sua intelligenza durante la seconda guerra mondiale quando egli la utilizzò per decifrare ‘Enigma’. Non fu mai felice.

Essere vivi non è soltanto ciò che è: la superbia indispensabile della certezza di sé. E’, o io suppongo che dovrebbe essere, anche, la certezza, meno gratificante, di essere in maniera imprevedibile ed inopinata pensiero di altri. Il sapere di esserlo non cambia quasi nulla. Ma è stupido pensare che non importa che lo siamo. Perché invece lo siamo sempre. Cambiamo secondo come siamo pensati. L’odio può uccidere. L’affetto guarire. Essere vivi ha molto a che fare con la nostra mente. In qualche posto del pensiero noi realizziamo che qualcuno ci pensa. Fino a che punto noi siamo il pensiero dell’altro? Fino a che punto siamo ‘disposti‘ (voglio dire ‘inconsapevolmente restìi’) ad esserlo?

Certo non fu sempre così. C’è la ricerca sul pensiero alla nascita che cambia tutto. Queste sono riflessioni d’amore che è come dire riflessioni in seno all’adolescenza. Distinguiamo, differente dalla nascita, l’amore che suggerisce alla coscienza le estreme parole per l’indagine della vita psichica ‘dopo’ l’infanzia. La forza dello sviluppo alla pubertà esprime con la vicenda dei pensieri reciproci d’amore anche la vicenda dell’io neonato. Il confronto tra il pensiero non cosciente dell’identità sessuale e le qualità del desiderio che si manifesta in una variabile eleganza del pensiero cosciente.

Chi ha poi deciso di fare ricerche sulla realtà del pensiero è probabile che si sia trovato almeno una volta in circostanze simili. Quando un’altra disse “ti penso sempre e credo dunque di essermi innamorata di te” e lui che prese armi e bagagli e si precipitò ad abitare in lei letteralmente, rischiando una identificazione fatale per il seguito della propria identità. Essersi aggirato superbo nella vita altrui, avendo le chiavi di un mondo nuovo in cui il segno inequivocabile d’amore è l’autorizzazione a cogliere fiori e frutti, e andare nudi accarezzando le tigri. Subire una trasfigurazione in un bel soggetto in ogni senso.(*)

Stare al mondo è poi, anche, ricerca e pensiero. Realtà dei sensi e verità sensuale della corrispondenza di idee. La macchina appassionata che decifra la forma dell’affetto nel sorriso. Il linguaggio per non morire quando siamo soli. A lungo c’è un io criticabile soggetto di tutto e incerto a causa del principio di causa e della sensualità. A lungo dura la nebbia e un modo per un io diverso l’amore e l’adolescenza non lo consentono. Ci sarebbe la cura di studiare nei libri le scoperte di tanti. Di essere certi che si dev’essere pensati. Che non è possibile evitare la frustrazione della bellezza e dell’intelligenza che si fanno capire solo generando in noi un senso di bruttezza e di stupidità.

Per questo amore mio, dovremmo parlare un poco di questa nebbia. Questo argomento da studiosi. Amore mio, dobbiamo applicarci assieme, vicini. Lasciar perdere la manchevolezza degli eccessi. Per cercare il timbro necessario alla pronuncia di tutti i dubbi che vogliamo affermare. E’ meglio vicino a te quando non sono a mani vuote. Avverto come un dovere di studiare e cercare. Se non capisci forse dipende da me. Forse non ho mai saputo dirti quanto sto male, quando non ho niente da dirti, se penso che sono ignorante.

nota all’immagine: la foto di questo post: Stained glass window in the dining hall of Gonville and Caius College, in Cambridge (UK), commemorating Charles Scott Sherrington, a British scientist known for his contributions to physiology and neuroscience and a fellow of the college. The text on the windows reads: C.S. SHERRINGTON; FELLO 1887–1893; HONORARY FELLOW 1905.

nota al testo (*): la proposizione è al ‘maschile’ per via di una mia presunta maggiore confidenza con il ‘genere’. Credo possa essere condivisa anche da ‘lei‘. Ma non c’è da giurarci. E allora meglio così. Non è necessario fingersi imparziale.

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