diritti dell’io della nascita


tragicità (?) del conoscere

tragicità del conoscere (?)

Perché qui il regno inizia sulla soglia e questo dimostra che la sanità deve stare nell’origine e poi svolgersi. Sull’asino senza una sella si sfiora continuamente il ridicolo. Questo grigio è l’immagine della nascita quando l’infinito è l’inesteso e l’immagine è una struggente finzione e il pensiero è la certezza di te. Per darti un’idea ho fotografato il cielo con le bandiere“.

Così scrivevo appena trascorsi certi giorni. Il regno era il cielo grigio. Aumento la lettura, perché non saprei come altro fare. La tazza di libri ricostituenti sta sul comodino e sulla scrivania. Come una volta gli sciroppi per la tosse, e le vitamine per la crescita. L’idea è sempre stata di cercare nei limiti, nelle transizioni: il grigio va bene. Come va bene il cielo, che a me pare sempre una soglia.

Potrei riprendere paragrafi e riascoltarli. Cercare tutto quello che contengono. In ogni iniziativa resta la nascita come un loop. Un tema che si ripete. Immagine, inesteso, infinito, finzione, pensiero, certezza. Perché cerco nel pensiero corrispondente a queste parole? Perché mobilitano aree cerebrali assai estese. Sono parole senza figure che ne esprimono il simbolo. Sono tenute insieme dall’interno, non hanno l’esoscheletro della figura né dell’esempio: lo scheletro è esclusivamente interno ed invisibile, è un numero pressoché infinito di reticoli sinaptici.

Così l’inesteso della parola che non può essere percorsa sulla superficie di una rappresentazione, si contrappone al numero incalcolabile (infinito) degli elementi funzionali, necessari alla creazione e al mantenimento dell’idea che alla parola corrisponde. Nella tazza balsamica di letture ne trovo una che fa al caso mio.

Paolo Zellini -“Breve Storia dell’Infinito”- Adelphi – Marzo 1996 – Capitolo VI – pagina 105 e seguenti. “Può accadere in realtà che l’insosteniblità logica di un discorso matematico, proprio perché tale, contenga il seme di una qualche verità, o addirittura che questa stessa illogicità si tramuti nella imprescindibile caratteristica dell’unico segno visibile di idee o di realtà inaccessibili. Simon Weil non andò lontano dal vero scrivendo che “l’invenzione matematica è trascendente” e che “essa procede per analogie assolutamente non rappresentabili, di cui si possono solo constatare le conseguenze” (Chaiers. II, Parigi,1972, pag. 156). Abbastanza singolare è l’accordo di questo punto di vista, certamente estraneo alle regole canoniche del moderno esercizio matematico, con la critica formulata da Brouwer all’indirizzo logicista della matematica: il primo atto dell’intuizionismo matematico rende del tutto indipendente la matematica dal linguaggio che la esprime, e ne fa un’attività autonoma della mente: “Nell’edificio del pensiero matematico…. il linguaggio non svolge altro ruolo che quello di una tecnica efficiente ma mai infallibile o esatta per memorizzare costruzioni matematiche e suggerirle ad altri” (L.E.I Breuwer, ‘La Filosofia della Matematica’, Bari, 1967, pagg. 223-231) In altre parole: in un senso che si potrebbe definire ‘assoluto’ i più riposti meccanismi dell’invenzione matematica sono linguisticamente irrappresentabili. All’esistenza di un ‘quid’ discorsivamente imprendibile si può quindi naturalmente contrapporre l’ultima risorsa di un’arte descrittiva basata sul paradosso, sull’apparente incongruenza, sell’enigma matematicamente rappresentabile da configurazioni incompatibili con qualsiasi rigore razionale: è l’arte della ‘dotta ignoranza’ di Niccolò Cusano, nonché l’ultima giustificazione della teoria dei minimi geometrici di Giordano Bruno.

Qui il regno inizia sulla soglia che diventa il “primo atto dell’intuizione“. In IDMEC il pensiero alla nascita è caratterizzato da “intuizione-certezza che esiste un seno”. La cultura umanistica -negando la scientificità del testo che si pone al cuore del problema che esso stesso pone (e al centro del nostro cuore per il coraggio che suggerisce e pretende)- deve aver voluto escludere legami di interdisciplinarità. L’interdisciplinarietà è necessaria non solo per la comprensione, ma anche per la compassione che noi dobbiamo alla nostra stessa incompetenza iniziale di fronte alle novità assolute.

Sarà via via certo che esse sono intuizioni. L’ufficialità le associa ad una specie di natura vibrante: la loro vibrante natura è posta subdolamente nella pronuncia semantica del termine intuizione, solo apparentemente generoso. In realtà si vuol togliere a quelle idee solidità e fortezza, e attribuire loro una particolare debolezza formale o una struttura di dubbia tenuta. Le intuizioni peraltro sono di fatto pensieri precisi, che vanno intesi come visioni forti, per le ragioni accennate nella citazione balsamica e ricostituente che sta sopra.

Esse hanno la natura speciale intrinseca degli atti di conoscenza e di scoperta, caratteristici della costituzione del pensiero umano. Tali atti di conoscenza sono NON ECCEZIONALI. Se io rileggo “Nell’edificio del pensiero matematico…. il linguaggio non svolge altro ruolo che quello di una tecnica efficiente ma mai infallibile o esatta per memorizzare costruzioni matematiche e suggerirle ad altri” e tolgo gli aggettivi ‘matematico’ e ‘matematiche’ posso estendere l’irrappresentabilità all’atto di intuizione in genere.

Quando fu scritto che l’io è alla nascita non fu porre addosso alla nascita un io da fuori. Fu un gesto intuitivo cioè di conoscenza di come effettivamente stanno le cose. E riscriverlo adesso, mentre sono qui a concordare con una teoria, non è rivestire di nuovo ripetendo: potrebbe essere una ulteriore intuizione. “In altre parole: in un senso che si potrebbe definire ‘assoluto’ i più riposti meccanismi dell’invenzione matematica sono linguisticamente irrappresentabili.

Il pensiero in proposito alla nascita umana, negli anni, si è compiuto meglio in questa direzione della mia convinzione: che l’io neonatale non ha la possibilità di descriversi, e mai più avrà tale possibilità di dirsi esaurientemente con le parole. L’intuizione dello scienziato Massimo Fagioli, sulla esistenza dell’io della nascita, ebbe e mantiene, a mio parere, le caratteristiche intuitive che non sono ‘a proposito‘ della certezza di tale esistenza, ma che sono le stesse dell’io la cui esistenza si afferma. Più ampiamente, e senza ancora che il discorso si sia fermato, l’io alla nascita (e la scoperta-affermazione dell’io della nascita) è un generatore di parole per ulteriori sviluppi teorici. Probabilmente non appartiene alla sfera dei fenomeni del pensiero verbale, e non sarà possibile riportarlo ad essa in modo conclusivo.

Come detto, infatti, potrebbe essere anche in questo caso che “in un senso che si potrebbe definire ‘assoluto’ i più riposti meccanismi dell’invenzione (matematica) sono linguisticamente irrappresentabili”. Allora -se questa irrappresentabilità può essere accordata alla natura di certe intuizioni (pensieri a proposito di una realtà originaria della vita mentale soggettiva dell’uomo) ritengo che tutto quanto scritto e detto da me da molto tempo in qua, almeno dagli anni 1976 e 1977, sia stato “contrapporre l’ultima risorsa di un’arte descrittiva basata sul paradosso, sull’apparente incongruenza, sell’enigma (matematicamente) rappresentabile da configurazioni incompatibili con qualsiasi rigore razionale” contrapporre tutto questo …. alla scoperta diesistenza di un ‘quid’ discorsivamente imprendibile”.

Praticare la ricerca a proposito della scoperta scientifica in questione (IDMEC), ha permesso di arrivare, per strade diverse tra loro e assai numerose, all’idea che ci sia una inafferrabilità costitutiva del pensiero e dell’iniziativa del pensiero: cioè che ci sia una inafferrabilità costitutiva del pensiero all’originaria iniziativa che il pensiero è. L’io del neonato è certezza indifendibile con attività verbali consapevoli, seppure sia certo che ci sia, nella nascita, un io come intuitività costitutiva in forma di atti mentali complessi. L’originaria complessità dell’io sta specificamente nella complicazione dovuta al fatto che esso si costituisce e si svolge non potendosi legare ad alcuna attività di coscienza come noi poi la sviluppiamo.

La funzione che fa l’io complesso della nascita, non manterrà la proprietà che non accompagnò la nascita: non avrà mai la qualità dello stato cosciente. La realtà psichica della nascita ha tuttavia radici materiali, e la sua esistenza non va annullata né alterata, se si vuole tentare una valutazione clinica e una ricerca sulla fisiologia dello sviluppo degli esseri umani a partire da una origine identitaria.

Poiché sono certo che l’Io corrisponda ad un atto psichico di certezza intuitiva di quella natura non cosciente, esso resterà indifendibile se ne affidiamo la difesa esclusivamente ad attività verbali consapevoli. Questo in qualche modo si avverte, e penso che lo sviluppo dei mezzi legislativi per garantire il diritto della persona, come ricerca centrale dell’etica giuridica, abbia a che fare proprio con la necessità essenziale di difendere i limiti di narrabilità del soggetto così intuito, seppur mai del tutto rappresentato. La legge potrebbe porsi, e forse si pone, il problema dei diritti di un io non cosciente.

Per la natura della nascita umana, il soggetto si pone come colui che non saprebbe difendersi del tutto e definitivamente con una semplice testimonianza di sè. Noi non sappiamo mai testimoniare fino in fondo a nostro favore. Abbiamo assoluta necessità degli altri e della loro onestà: una conoscenza corrispondente alla forma irrappresentabile e non simbolica del nostro esser al mondo.

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