disegno


moto perpetuo accelerato


Posted By on Set 21, 2014

Nulla di decadente nelle figure. Rifiuto, fin dove mi è concesso, la nostalgia della somiglianza. Ad ogni movimento della mano che preme per fare il tratto di un disegno mi affido. La verosimiglianza registrata nella memoria si strappa. I ricordi sono pensieri di ostia e di papiro. Il cuore fortunatamente è un oceano. Ricorda traversando eventi stratificati. Le pitture circolano in ogni angolo, si aggirano sulle superfici, sui muri interni della mente. La conoscenza è cosciente. Il sapere capacità inconscia irreversibilmente acquisita. Il sapere è saper fare. Se non amiamo come si dovrebbe si dice che non si sa amare. Conosciamo quello che dovrebbe essere ma non siamo capaci di fare. Coscienza. Conoscenza. Non coscienza. Capacità. Comportamento. Contraddizioni. Conflitti. Paradossi. Posso spendere la ricchezza risparmiata. Smagrire la presenza attiva nelle geografie culturali urbane. Niente più musei, biblioteche, teatri d’opera, rassegne. Niente presentazioni.

“Andiamo?” …. “Meglio di no, cara mia”.

Generazione di calore a mie spese. Il pensiero fuso con il tempo genera entropia negativa di un moto perpetuo accelerato. Non riconosco perciò vantaggi particolari nelle ortodossie dispensate in saldo continuo. Mode si inseguono come le indossatrici con voglia di guadagni, cipria d’oro sui nasi aggraziati e i seni adombrati di essenze. Appesantite adorabili vecchie soffiano nei narghilè dalle terrazze/sofà delle associazioni. Frenesie a scartamento ridotto.

“Andiamo?”…..”Solo una cenetta svagata. Disimpegnata. Nell’oscurità della campagna in fondo alla strada. Invisibili. Inarrivabili.”…….”Ma è tutto illuminato a giorno. Anche il prato.”……”Saremo rane. O zanzare. Il ritiro dalle scene ha necessità di una vera trasformazione.”

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varia natura


Posted By on Mag 31, 2014

"PRIMO POSTO ALLA GARA DEI CASTELLI PRIMITIVI" copyright: claudiobadii

“PRIMO POSTO ALLA GARA DEI CASTELLI PRIMITIVI”
copyright: claudiobadii

Quando avanza il tempo ci mettiamo a studiare il fenomeno insito nel salire le scale. Estendendolo a un poco prima, alle sigarette e le risate degli ultimi dieci minuti, prima del nostro incontro settimanale, il lavoro di chiarimento sui termini scientifici necessari per dire le idee che non hanno figura.

Le attese al fondo delle scale, e poi il salire, sono di per loro un fare creativo. Costruire la forma della relazione. Come fare l’uomo e la donna. Fare statue con le proprie mani secondo la propria visione. Il pensiero come un vaso cresce e si arrotonda girando rapidamente. Le gambe sugli scalini spingono il tornio ritmicamente. Le mani strisciano sulla ringhiera di ferro battuto, raccolgono l’attrito, modellando il blocco ambrato di terra d’alluminio: restituiscono il calore alla figura. Fanno il ‘prodotto’ della creatività umana. Durante l’azione della costruzione tutto cambia continuamente, sotto le spinte di successive intuizioni del pensiero. Nella favola sarebbe il sortilegio di un genio che crea agglomerati di città sulla piattaforma espansiva del cosmo.

Gli scorpioni di un tempo (i pensieri non coscienti che venivano su come racconti di azioni oniriche distorte e malsane) si diffondono e si moltiplicano sulla testa e le spalle di un uomo, riducendosi di dimensione e di pericolosità, proporzionalmente all’incremento della popolazione di storie di cui sono costituiti. Alla fine sono così piccoli da essere del tutto innocui.

Il tempo delle sedute ripetute ha moltiplicato e frammentato i significati una volta grossolanamente evidenti. Riproposti in quel modo iniziale non se ne sentono quasi più da un decennio. Come se la malattia non sapesse più ripresentarsi nelle forme di allora. Quando era silenzio dell’omertà, ricatto minaccioso, delinquenza evidente, persino, a volte, clinica del delirio: da manuale. Forse trenta anni di proposizione del setting nel bel mezzo della realtà sociale hanno avuto l’effetto di cambiare la percezione della cura, la fisionomia dello ‘psichiatra’.

Ridotta l’identificazione proiettiva dei peggiori pensieri, ora anche il rischio viene temuto assai meno. Parallelamente i sogni non sono più esclusivamente ‘storie’. Sono diventati istantanee, idee di sintesi, suggerimenti e mi viene l’idea che siano proprio i sogni -in questo modo di grani di polvere e di pixel di schermi ad alta risoluzione- ad essere stati sognati ieri.

Nel sentir raccontare ho realizzato nella mente il pulviscolo di punti, lo sciame di particelle di grafite delle matite nello sfumato del disegno. Mi sono immaginato lo strano attrattore che sottende al fenomeno fisico caotico della psicoterapia che dura nei gruppi dal 1985, ottobre. Ci sono voluti trenta anni a creare la figura dello sciame da quelle iniziali raffigurazioni di grossolane figure.

Se fosse così potrei dire che “La storia della cura fa la cura”.

Le equazioni che esprimono il modo e il ritmo delle variazioni delle forme del sogno, riproposte nelle curve corrispondenti su piani cartesiani ammucchiati paralleli come nuvole nel cielo del pensiero, disegnano cose sconosciute. Sono idee staminali che non derivano da alcun oggetto visto o sentito o sfiorato fuori di noi. Gli immediati riflessi sulla superficie convessa di gocce di tempo al centro delle quali si intravede qualcosa che continuamente accade. Sfuggente è quanto viene riportato alla esistenza primaria sulla soglia del proprio inizio.

A quegli interruttori la psicoterapia riporta gli assetti neurobiologici, sfruttando le qualità sensibili del pensiero umano. Mentre nel tempo cambia la visione del mondo si realizzano e si rafforzano plausibilità e legittimità della cura.

Trent’anni fa figure ammalianti popolavano i sogni con enfasi. Ora ho due sostantivi, realtà e materia. Sono metafisica e biologia che si contendono la signoria sui latifondi del discorso scientifico sulla attività mentale. Ma interviene un altro pensiero, una parola più antica. Il modo primitivo di raccogliere tutte le cose: “Il termine “fisica” deriva dal neutro plurale latino physica, a sua volta derivante dal greco τὰ φυσικά [tà physiká], ovvero “le cose naturali” e da φύσις [physis], “natura”.

A tutt’oggi nessuno ancora sa perché da trenta anni mai, neanche una vota, sia scattato l’accordo inconscio di far fallire, con l’assenza di tutti, la ricerca psichica che si svolge uno e due giorni di ogni settimana per circa due ore.  Quarantasei settimane ogni anno. Penso che per cercare di comprendere il fenomeno in questione la antica dizione di ‘fisica’ non sia più sufficiente. La realizzazione della continuità irrazionale di quasi trenta anni di lavoro è natura umana. Dovremo indagare sulla speciale costituzione fisica di questa specifica ‘natura’.

Non devo conservare l’illusione su un’unica natura di tutte le cose. La natura della natura di tutte le cose esistenti può e forse deve essere pensata differente se si tratta di realtà umana, di realtà animale e di realtà non umana e non animale.

“Amor che move il sole e l’altre stelle”

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