elefanti rosa


 

Resta una fluttuazione a proposito del concetto di immagine inconscia non onirica. A proposito della formazione della immagine poi della parola e infine della scrittura. “Sai va bene”  Siamo costituiti di lontananze. “Tu sei il pane e il sole laggiù”  La distanza non farà mai l’imperfezione. Resta esatta la figura della misura di te e del tuo lavoro. “Non ti avevo mai sentito l’allegria del lavoro sulle parole nel telefono” La testa appena reclinata all’altoparlante immaginavo e il sorriso beffardo e buono che hai. Inclinato di circa ventisette gradi rispetto al piano del fiume. È l’amore alle spalle di questa certezza cosciente di noi l’immagine che è non cosciente se anche non sto dormendo e se anche non sono pazzo? Da tempo l’idea dell’origine materiale del pensiero è consolazione contro la disperazione. “Sai della mia ricerca…” che porta a pensare specialmente all’incertezza delle definizioni. Rinunciammo al libero arbitrio per la conoscenza. Non sono un caso l’emigrazione degli amori più grandi, trovarsi a sempre più grandi distanze, e le lettere finalmente ancora. “Ora, sai, si attraversa un piccolo fiume profondo…” Pietre scure di acqua di mare. Un oceano di onestà. Pagare, pagare, pagare, guadagnarsi correttamente le giornate, ripensando la storia dei libri con le fotografie dei primi braccianti delle bonifiche della palude. Acquitrini a perdita d’occhio da dissodare. La stanchezza che vola via insieme alla formazione a cuneo degli stormi degli uccelli migratori. Quando il freddo li caccia via e ci lascia solo noi e il sogno dei figli quando erano piccoli e ci stavano sul braccio. Se sono triste: certo, è immagine di base -in genere non consapevole- che mi tiene in vita. Poi penso coscientemente “Forse sarò felice anche senza di te…” come avevo sentito cantare in un film. Era non cosciente, la tristezza, e ora è una parola cosciente, una figura incontrovertibile. Non l’ho scelta la tristezza: è l’amore per te senza la furbizia del libero arbitrio. Non sto dormendo, e dal fondo continuano a formarsi successioni di realtà psicologiche che diventano misteriosamente lettere sullo schermo. Sulla tastiera virtuale che brilla come un campo di piccolissime aree minate da sensori variabili. Tecnologia dei legami ad ogni costo. C’è il tuo sorriso qua. Il fonema pensato si rispecchia nella credulità delle certezze che fanno si che ci raccontiamo favole di possibilità senza fine. “Voglio dirti, perché tu sia certo di me e della mia possibilità di aspettare per sempre, dirti di tutte queste relazioni vive, con me qui, così tante che non c’è tempo”

“Va bene sai” Era notte, tornavi accanto alla tua nuvola bionda profumata d’oro. Io in piedi accanto alla spalliera rossa del divano a sfiorarlo con la mano destra. Ero assorto alle tue parole forti di lavoro di dieci ore, ero come quando studiavo gli esami le notti prossime ai colloqui che tornava tutto il sapere appreso e in piedi ripetevo silenziosamente. Ripetevo in silenzio: dunque, cosa esattamente stavo verificando, mi chiedo adesso… le parole?… le immagini?… la conoscenza? erano costruzioni organizzate di pensiero verticale. Avevano un legame di ricordo con lo studio delle geografie elementari, con la descrizione della direzione dei confini delle nazioni coincidenti con i massicci alpini. Fondavamo tutti insieme -classi intere di ragazzini preparati- la nostra progressiva capacità di valutare da soli il grado di certezze a proposito di qualsiasi argomento. Dopo si arrivava alle figure mentali della materia delle facoltà superiori. Io scelsi quella che insegnava i rudimenti di una scienza non più occasionale da cento anni almeno: MEDICINA. Facoltà che, alla fine, doveva consentire legalmente l’azione del rapporto di cura.

Ascoltavo “Sto bene, sono felice, la mattina alle sei… sai non ho molto tempo… oggi c’era molto da fare… appena sarai qua… si… si” Adesso ho la facoltà dell’ascolto. Che mi sono fatto insegnare onestamente pagando di tasca mia. Ti dirò cose bellissime della vita che da noi ha assunto forma di pancia arcuata convessa prepotente. Ricordo la poesia della pancia. Io non la so recitare. Non l’ho mai voluta recitare. Io l’ho saputa pensare. Soltanto pensare: è quel pensiero l’immagine. Essa resterà per sempre non cosciente perché resterà sempre mia essendo le parole solo una richiesta. “Regalami la tua voce” avevo voluto dire. Ma solo i grandi attori rischiano per amore. Solo le ragazze assolutamente intelligenti sanno mentirci per amore. “Tu hai una nuvola bionda profumata d’oro” Come fosse la voce di un neonato che piangerà appena, e poi dormirà subito -noi lo sappiamo- perché sarà consolato da tutti, dalla sicurezza della materia accogliente, dalla sicurezza degli affetti come è emersa in tantissimi anni come potenza di pensiero. La pancia che cresce, che si avvicina come un balbettio sapiente, come la bellissima voce della cantante del bistrot parigino che ho in mente da sempre. LA DONNA CHE CANTA: di cui ho cominciato a raccontare a TUTTI

Va bene sai”… perché come avrai ben chiaro, quaranta anni dall’inizio del tempo degli esami, e trenta dalla scrittura di una poesia, adesso sta per esserci una nascita e c’è appena stata una emigrazione e da qualche tempo, dal settembre del 2010, c’é un linguaggio. Essi riposano sicuri nel fondamento. Ci sono state dimensioni di non essere. Ma ora, con la forza che ci tiene a distanze di una misura adatta a chiarire l’assenza di qualsiasi imperfezione, arrivano le parole nuove. Esse sono subito prima che io scriva. Stavano lì da sempre. Ma, senza l’azione del movimento che ci avvicina e ci allontana, non avremmo mai più saputo comprendere come si poteva misurare la vitalità della nascita. Sapevamo soltanto, MI ERO SOLTANTO IMMAGINATO, che si potesse avere la conoscenza attraverso lo studio infinito di una SCIENZA racchiusa in una TEORIA.

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Se  “Istinto di morte e conoscenza” era la freccia nell’occhio ( vedi qui )allora il secondo fondamento cui si arriva dopo più di trenta anni di lavoro è  la donna che canta e precisamente, nella linea evolutiva della TEORIA DELLA NASCITA, “La marionetta e il burattino”.

Si deve vedere nelle immagini di “La donna che canta” una soluzione dell’Edipo freudiano. Una risoluzione dell’Edipo maschile dove maschile è irrealtà di una identificazione e non è identità sessuale -che sa gestire una immagine interna che comprende l’altro sesso- ed è all’opposto caratterialità di identificazione col mito.

Non è Edipo che prima uccide il padre. E’ la donna che capisce la violenza del figlio. Che non era amore per la madre quella di Edipo ma era violenza per la castrazione. E’ proprio l’impianto freudiano che va in pezzi. La frode di aver definito creazione inconscia la riproposizione eterna del mito.

Le immagini femminili di madre e figli restano anello di congiunzione. Il figlio… sono due gemelli. Figura maschile e femminile distinte e separate. Identità originarie di donna e uomo ad opporsi alla fantasticheria filosofica dell’esistenza di un androgino. Genere irreale e negazione di una differenza congenita.

Il figlio terrorista smetterà di uccidere e di parlare sulla tomba della madre cui ha dato due figli in uno stupro che doveva toglierle per sempre il canto dalla gola e la speranza dalle mani. “Si può restare tutti accanto” è la tragedia della speranza che propone l’idea di società propria della ‘donna’ che cerca se un uomo può capirla, pur nel timore di rischiare la propria identità sessuale.

Maschile e femminile sono linee della natura dell’evoluzione delle specie. “La donna che canta” è un film di Denis Villeneuve (2010). Ma realizzavo “La marionetta e il burattino”: la scrittura che appartiene al fenomeno delle immagini inconsce non oniriche. L’immagine (femminile) del film si pone contro la negazione del genere sessuale e l’intolleranza delle filosofie religiose.

Il secondo libro della teoria della nascita propone le dimensioni non analitiche con una critica serrata. Per trenta anni avevo trascurato di pensarci perché il primo libro forse è già così difficile da capire e da accettare!! …seppure sia l’opposto del figlio che viene a fare la violenza e al contrario esso possa essere visto come l’attività di chi viene a togliere il canto frivolo del pazzo anaffettivo.

Stai a vedere che l’idea non cosciente ammalata che si era formata e rendeva difficilissima la comprensione di ‘Istinto di Morte e Conoscenza’ era quella di una irrealtà di immagine femminile che rende Edipo un carattere inalterabile e l’androgino una realtà di genere mentre è solo un inganno per falsificare la matrice originaria del pensiero: la sua origine materiale…

Ora posso comunque affermare che la vitalità è un fenomeno biologico che avviene alla fine del parto ed è prerogativa specifica degli esseri umani alla nascita. Senza la vitalità sarebbe possibile il pensiero ma non sarebbe possibile l’immagine. Essa è alla base della capacità di trasformazione della realtà e del contratto sociale, dell’idea di poter fare una opposizione. Della politica.

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E adesso sapere di aver mosso così tanto vento e pioggia e oscurità per il mondo e che non potrei dire che non volevo. Forse volevo e tu l’hai fatto. Come niente fosse hai preso lo strumento -eri tu stessa lo strumento- e sei andata. Hai posto decisa i tuoi passi poco onnipotenti al suolo come su un altare. Adesso come si fa ad avere abbastanza luce per questo tuo sole. Mentre io devo tradurre le parole. Rimasto a studiare per curare la distanza. Una volta mettemmo in valigia una collana di semi colorati che all’arrivo erano sbocciati per l’umidità. Senza luce perché i semi non ne hanno bisogno. Sull’oceano erano sbocciati i semi. Come sogni nel sonno. Nelle traversate aeree notturne. Avevamo un tesoro in valigia. Eravamo laboratori volanti. Anche se tutti parlavano d’altro. Portavamo la ricchezza senza saperlo. Come nelle favole, nella bisaccia c’era l’amore ingenuo che sbocciava. C’era la trasformazione del regalo magico. C’era il niente che cresce sempre più. Si potrebbe dire che a volte il sogno è l’idea di un figlio. E in questo clima differente -dove rimaniamo- un ragazzino è normale che nasca. Accettato come una cosa in più da pensare ogni momento. Che si tiene a mente come tutti gli amori: senza fatica. Poi all’arrivo mettemmo un capello al collo del nostro elefante rosa. E cominciammo la nostra vita differente. Quella senza le domeniche. Dove tutti i giorni sono sacri. Quando è domenica che mi guardi. Quando sei festa.

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