estetica


Ci si assomiglia dopo un certo tempo insieme. Sono cose note. Sono accettate. Non è un accordo cosciente. Riguarda un po’ lo scrivere un po’ il parlare e altro. È espressione più che sostanza. Ma perché accada devono essere avvenuti cambiamenti essenziali. Forse è un legame questa somiglianza acquisita. Non sarà accaduto sempre. Magari a volte si continua pur restando a lungo vicini ad essere se stessi e non so se è bene o male. Forse è ‘peggio’: perché è opposizione. Però forse secondo qualcuno è ‘meglio’: perché è identità. Ma l’identità se è impermeabile e impenetrabile chissà se va bene.

Scrivo di questo pensando che ormai la scienza si accinge a studiare le eredità multi fattoriali del genoma riguardo ad ogni aspetto della nostra vita somatica e psicologica. E che dunque, a meno di voler forzare ideologicamente la realtà delle scoperte in una negazione disfunzionale, la psicologia ha l’obbligo di  scoprire se ci sono e quali sono le azioni trasformative reciproche nei rapporti tra di noi durante la vita. Quanto spazio hanno le parole e le cose che diciamo e facciamo nel cambiare quello che resta. La debolezza dell’amore cosciente e non cosciente. La capacità di penetrazione di un movimento. I cambiamenti che si verificano nel linguaggio nel movimento nei gesti quotidiani per la vicinanza costante degli altri. Quanto potere la realtà fisica sottile della vita esercita sulla realtà materiale dell’esistente.

Studiano l’origine genetica multi fattoriale e scoprono la culla di tutto nella realtà materiale della biologia. Sanno che il colore dei capelli e la nostra altezza sono pre-scritte. Guardano l’essere umano e sono sedotti: sanno bene che anche il pensiero d’essere sedotti origina dalla realtà materiale. È un pensiero non attivo, non è volontario. Segue ad una serie di movimenti parole e figure travolgenti, precedenti. Cercano nella culla e trovano la parola pre-disposizione. La realtà materiale diventa la realtà fisica delle parole “origine multi fattoriale”. Non solo: la metafora linguistica consente loro di addentrarsi nella lettura del libro del genoma: di alludere al lessico, alla grammatica e alla sintassi di una letteratura. L’acquisito, il di più del dato osservativo, si riflette su quanto si vede per renderlo più umano e comprensibile. Come se le parole risultassero di per loro allegorie di una probabile condivisibilità del mondo. Saettano gli sguardi dei genetisti dentro la spirale di DNA: oramai sanno leggere la stringa crittografica. Ma non sanno il significato di quelle parole. Ancor meno le forme dei legami tra gruppi proposizionali.

Giotto pitturava allegorie agli Scrovegni. Da poco del tutto risolte nella potenza degli incroci possibili tra le figure che si guardano dalle pareti opposte. Si è accertato che essi contengano, tra gli altri, un percorso ‘terapeutico’ di guarigione da varie malattie del pensiero e del comportamento ( malattie dell’anima si diceva a quei tempi….)

È così? La realtà fisica del pensiero fa l’allegoria specchiando il genoma?

La realtà fisica del pensiero, per quanto ho capito, è inclusa di certo nell’olivo dei cromosomi. Stanno nel nucleo avvitati su se stessi lungo l’asse invisibile di un tempo millenario condensato nella realtà materiale organica: una successione di ‘basi’ costituenti i geni allineati lungo i cromosomi. La realtà materiale di certa speciale biologia è il perpetuo sonno denso, ottuso e insignificante della pulsione. La biochimica dell’espressione genetica è la prima funzione per l’esistenza. Il pensiero è la realtà fisica: il sogno di quella speciale materia: nella specie umana è pensiero, comportamento, linguaggio, scrittura.

Per questo dicevo che la scienza che studia le eredità multifattoriali del genoma riguardo ad ogni aspetto della nostra vita (somatica e psicologica) ben poco lascia al mistero di un aleatorietà assoluta. L’origine è materiale. La vita fisica del pensiero è sottile e pare libera da determinismi perché non è meccanica. Adesso è nell’ignoranza nello stupore e nella seduzione delle allegorie del pensiero la nostra libertà. Questo autorizza soltanto una convinta modestia: che alla psicologia non resta che scoprire quanto spazio avranno le parole e le cose che diciamo e facciamo per cambiare  le sorti nei campi di azione liberi dalla pre-disposizione.

Per adesso la libertà è ampia pari all’ignoranza dei genetisti che rende essi stessi preda di grandi movimenti psicologici di sorpresa stupore eccitazione e anche rabbia, talvolta, di fronte allo sterminato campo di predittività che si sono aperti. E per via di quella loro ‘ignoranza’ la psicologia ha ancora tutto il fascino del pensiero fisico che si specchia sul sonno della biologia nucleare. Noi psicologi, riflettendo a proposito della spirale dell’intreccio proteico dei cromosomi, esercitiamo la potenza di un fuoco di olivo esprimendo interpretazioni: esse hanno la scientificità probabilistica dei fenomeni caotici e, talvolta, il calore degl attrattori strani. Si fa la cura, purché alla fine sia garantita la legittimità del e la certezza dell’altro: in un azione originaria del pensiero che non ha necessario il desiderio.

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irregolarità


Posted By on Mar 24, 2014

"LA PRIMA VERA LUCE" copyright: claudiobadii

“LA PRIMA VERA LUCE”
copyright: claudiobadii

Quando la prima vera luce batte sulle sporgenze e le irregolarità della materia, si chiama stranezza, differente unicità, entusiastico gradevole incanto, verità vendicatrice, sfioramento discendente, sparizione della paura, e, infine, guardare vedendo bene. Fin troppo bene aver chiaro e troppo, dico, in relazione al tempo necessario a farne rendiconti. Realtà materiale è la farina della materia di cui son fatti i sogni che non è materia allusiva secondo la poetica shakespeariana. Perché la ‘realtà non materiale’ non esiste. Se esistesse, corrispondente letteralmente alla locuzione verbale, sarebbe inesorabilmente ‘spirito assoluto’: ab soluto, disciolto, slegato per sempre da rendiconti di qualsiasi tipo. Noi veniamo dalle stelle, invece, agglutinati lungo un percorso di morfogenesi che parte dall’inesteso e raggiunge il visibile secondo collanti di più specie. Siamo e portiamo, miliardi di volte moltiplicate, le conseguenze dei rimbalzi e dei rimandi tra spigoli, irregolarità, primitivismi. Il pensiero è ancora materia, è pensare. In questa frazione universale di materia di una certa natura venne la possibilità di empatia, venne l’attività mentale simbolica.  La realtà della materia consente la formazione del pensiero. E la funzione di astrazione del pensiero conia la dizione di realtà non materiale poiché immagina di poter dire di una realtà come non materiale. È realtà materiale di pensiero l’astrazione che genera la parola perchè essa è (nella) realtà materiale di una funzione. La locuzione “realtà non materiale” è azione mentale di pensiero ‘astratto’ che si svolge nella materia fisica composta di echi in azione di bolle, rigonfiamenti, irregolarità e sporgenze disseminate nello spazio delle galassie neurali poi estese come una specie di ombre o propaggini, da lì, all’interno sottile, ai dischi molecolari, fino nei nuclei di ogni cellula.

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Le sirene e Odisseo. Dettaglio di una figura risalente al V secolo a.C. riportata su uno stámnos (στάμνος) attico a figure rosse rinvenuto a Vulci e oggi conservato presso il British Museum di Londra. Le Sirene tentano Odisseo con l’invito “a sapere più cose”. Da notare la sirena centrale che con gli occhi chiusi si precipita in mare: secondo un racconto antico le due sirene che tentarono Odisseo si uccisero gettandosi in mare perché non erano riuscite a trattenere l’eroe.

“La fisica moderna è iniziata attorno al 550 a.c. quando Pitagora ha effettuato una grandissima scoperta che ha collegato le relazioni matematiche alla realtà fisica. E di fatto sulla base di questo ha dischiuso una visione impressionante e sconvolgente di quello che la scienza poteva offrirci. Ha scoperto che i suoni gradevoli al nostro orecchio ( armoniosi ) sono i suoni che sono emessi da corde che, con una tensione uguale, hanno lunghezze che espresse in rapporti numerici semplici sono di: un mezzo, due terzi, tre quarti e quattro quinti.” ( Auditorio della Musica di Roma – Festival della Matematica del 2009 – Lectio Magistralis di  Frank Wilczek )

Un amore a tecnica mista. Corpo a corpo. Il kimono da competizione allacciato sui fianchi con legacci di strisce di cotone ricavato da vecchi pantaloni di lavoro e profumato -benché uno straccio- al sapone di Marsiglia. Il respiro è anche lui una ciminiera: canne di altoforno o fumaiolo di un rimorchiatore. La nostra vita non è stata mai una crociera. I sogni e le giornate hanno avuto sempre il sottofondo di una intesa sui grandi temi della socialità. L’accordo era, precedentemente, sulle decisioni che si dovevano e potevano prendere a proposito dell’entità dei sacrifici necessari e delle forme di lotta inevitabili. È stata una passione di sostenibilità reciproche la fondazione dell’amore sociale e della passione politica. Ha prevalso sempre la naturale predilezione per un patto. Le clausole sono sempre coincise con noi esseri umani in carne ed ossa. Le circostanze sono sempre parimenti un concetto che, per noi, sta in relazione al tempo in una successione seriale e complessiva di gradini di una cattedrale dove si fumano sigarette su sigarette.

Impavidi. Il reperimento dell’aggettivo giusto ci ha sempre impegnato in una ricerca di precisione. I porti e le periferie industriali hanno preceduto le spiagge e i binari. Il lavoro e la scoperta dei diritti hanno avuto estensione di parecchie generazioni: la storia come un cannocchiale. Solo in fondo alla freccia della sua estensione sono nati figli che, finalmente, hanno scoperto la disinfezione con la saliva rinfrescante sputata e soffiata sulle ginocchia sbucciate.

È il 550 a.C quando il mondo si è sposato al pensiero nelle insenature dei preti/pescatori. I Pitagorici scoprono la relazione tra musica e numero che fissa, in una serie di rapporti tra le lunghezze di una corda vibrante, la legge dei suoni gradevoli. L’ottava: do/do. La quinta: do/sol. La quarta: do/fa (il suono del diavolo). La terza: do/mi. Cantare fa bene. La gioia dell’ascolto potrebbe presiedere al fascino (non al fenomeno) della parola. Il linguaggio comunque, da quel momento, sa perché non si libererà più della propria possibilità di impressionare il pensiero attraverso le armoniche del suono della voce umana.

E attraverso questa certezza, su una relazione fisica tra idee, suoni, e parole, nessuno più potrà smettere di riferirsi al pensiero come al più impressionante e travolgente motore dell’industria sociale. Saranno -il suono dissonante della guerra dal lato scuro e la composizione delle devozioni armoniche degli inni di vittoria o di sgomento, dall’altro lato- l’altezza e la frequenza del suono delle civiltà orali. Sempre sul mare sarà sognato il riposo, e le cronache, poi divenute encomi e biografie, racconteranno che sempre, ancora una volta, il più grande degli uomini si immerse quasi intero con tutto il suo cavallo, in un sogno di grandezza ammalata: grande come il mare. Perché il mare si estende verso una linea finale oscillante e incerta che, rifrangendosi alla scogliera verticale del cielo, prende la forma di un profumo dolce in cui si scioglie, fumando, la materia. E gli uomini eccitati dalla vittoria prendono la malattia di credere che, dalla spiaggia all’orlo verdastro del mare, nella escursione di uno sguardo sull’orizzonte, si completi il tracciato dalla morte alla conoscenza. Il sogno dell’immortalità. Che invece è il non cosciente, l’arco del primo anno: dalla nascita al linguaggio. Dal latte alle labbra, fino alle parole. La poesia che però, al massimo, che è davvero moltissimo, può procrastinare per lunghi periodi di tempo, la fame, il sonno e il soddisfacimento del desiderio (che non è un bisogno)

Sono te. Tu sei me. Non c’è differenza.”

Invece c’è: e l’orizzonte, introiettato, diventa linea di frazione, dolore tragico della nettezza delle identità, clinica della sutura asettica e anatomia della scienza.

Io disegno te, tu resterai immobile e bellissima.” Ma la modella sostiene lo sguardo del genio perché ha scoperto la potenza vitale della passione. Lui fa l’arte: ma è solo stupore.

Io sono io” pensa l’uomo, il padre vincitore, il conquistatore e il filosofo.

Ma allora io, che sono identità femminile negata, sarò per te che tanto amo l’oggetto di una relazione ‘impossibile’ per cui rischierai la pazzia.

I musici cantori allietavano ingordigie serali, e gli aristocratici in languore erano spesso già pervertiti appena adolescenti. C’è da meravigliarsi d’essere arrivati fino a qua, seppure malamente. L’umanità ha danzato a lungo leziosa sulle corde di violini e clavicembali. Le rivoluzioni hanno insanguinato e spazzato, però peccato che i ribelli avessero l’animo di servi. La scienza, che mette in relazione la fisica dei vincoli nei rapporti rigidi tra corde d’acciaio, alla vita mentale del gradimento specializzato in vibrazioni armoniche, resta ad aspettare un approfondimento.

La storia? É una sirena che dorme. ‘500… ‘600… ‘700… uno sciabordio, il sogno di una attesa che culla il suo corpo di anfibio aereo: una invenzione, come ogni chimera, soltanto quasi perfetta, col difetto delle allusioni e il piumaggio, o la coda(*) delle allegorie. Ma fu introdotta perché era indispensabile. La forma essenziale dell’idea di una nuova chimera, la sirena, donna/uccello che canta, era necessaria a guardia del cammino degli eroi, per sancire il limite tra vittoria e orgoglio, tra conquista e coraggio, tra istinto omicida e sapere. Tra viaggio verso un prima come niente fosse successo e ritrovamento delle spoglie di sé essendo diventati migliori. Tra regressione e ritorno.

 « E’ un canto che è una promessa: chi si fermerà presso di loro, se ne andrà “sapendo più cose”. Le sirene, pur consapevoli della loro voce di miele, sanno che è irresistibile, per gli uomini che arrivano a sentirla, non tanto la dolcezza del canto, quanto il conoscere il proprio passato e sapere “ciò che accade nella terra ferace”. Così è stato per tutti coloro che si sono accostati alla loro isola: si sono fermati… Sembra al di fuori delle loro intenzioni trattenere per sempre gli uomini che hanno accettato il loro invito: mentono o, incoerenza del mito che le vuole onniscienti, non sanno che il desiderio di “sapere più cose” ha portato tutti coloro che si sono fermati presso di loro, per soddisfarlo, a dimenticare gli affetti familiari, a trascurare tutto ciò che ha a che fare con la vita, fino a lasciarsi morire: sembrano non rendersi conto che, dal mare, si possono vedere, tra i fiori, le loro ossa e le loro membra imputridite… La bella voce è solo l’involucro della vera tentazione delle sirene omeriche: “sapere più cose”. E’ la tentazione “originaria” dell’onniscienza. Cedere a questa tentazione, assecondare, in modo assoluto, questo desiderio, porta a rompere i legami famigliari, a perdere la dimensione sociale e civile, a morire. Per questo Omero le condanna. Per questo l’eroe deve fuggirle, non deve interrompere il suo nóstos » (Alessandra Tiribocchi Canavero “Sirene, un canto per l’anima” in “I Greci. Il sacro e il quotidiano”. Milano, Silvana Editoriale, 2004, pag. 134.)

Detto tra noi l’Ottocento con l’impronta preistorica di una democrazia (la bella di Pericle)(**) ha rovinato tutti con promesse letterarie. Viene simpatia per la misoginia fredda dei Pitagorici.  Quei preti/pescatori, nelle loro insenature, hanno dato origine a generazioni di gesuiti terribilmente ben curati, accuratamente armati di tutto punto. Che facendo solo accenni di un potenziale sfoggio di sapienza esplosiva si sono presi, dalle mani tremanti degli ignoranti, il comando delle operazioni per puro terrore.

Studiando, di notte, si fanno scoperte felici. L’etimologia del nome sirena si lega a differenti cose: seirios, incandescenza splendente del calore meridiano del quale esse sarebbero demoni per la loro natura fatale ai viaggiatori. Secondo: alla parola syrizo: fischiare, sibilare della tempesta. Terzo da seirà (corda, fune) da cui anche éiro, (legare) riprendendo il fatto che le sirene legano a sé i naviganti, li irretiscono. Infine, più semplicemente, da un semitico sir (cantare).

All’alba cui sono approdato studiando, perché la curiosità umana ha vinto l’istinto della inerzia per stanchezza, so che  la scienza di Pitagora, con le sue corde risonanti secondo rapporti di lunghezze, è come una sirena che promette di sapere di più. Una chimera appollaiata su una rupe, non gran che come figura, ma profumata di risonanze mitologiche e simboliche di grande fascino armonico. Non è nuova mentre torno indietro con il pensiero. Da tempo si cerca di definire i limiti della legittimità della conoscenza ad ogni costo, i confini metodologici entro cui circoscrivere l’ambizione di scienziati, medici, e legislatori. In genere lo si persegue con l’onestà di studiare. Cercando di evitare lo spreco di tempo. Lo spreco di tempo è segno di un cattivo rapporto con la realtà. Non proprio un delirio, non clinicamente un delirio. Ma un fattore di rischio. Così, sebbene l’aurora stia ormai sfiorando il bordo arcuato della tazza del caffè, bisogna concludere.

Il dato di realtà è la verità storica che quando l’immagine alla base del suono della parola ‘conoscenza’ si pose specificamente in opposizione all’istinto di morte, come emerse nel 1972(***) in effetti si generano fenomeni di terrore nella società, per via della possibilità di un legame nuovo e sconosciuto, fortissimo per propria natura, tra nascita umana e origine biologica del pensiero. Un legame più forte di tutti gli altri legami precedenti. Il dato di cultura mitologica dice di un patto radicale alla generazione delle sirene: esse moriranno quando non riusciranno a fermare (cantando le parole “saprai di più”) il viaggio di ritorno degli eroi. La loro regressione.

Guardo la figura ancora splendente sulla superficie convessa del vaso in alto sulla pagina nello schermo. Oramai qua è mattina. Gli occhi, che non ho chiuso e non hanno potuto sognare, osservano stupiti il meticoloso rigore con il quale la sirena si getta dal cielo contro la riga di mare, a capofitto. Non più accettabile essa stessa, nella aerea smisurata di pensiero da cui derivava. Non più indispensabile, per un unico fallimento, torna al prima. Il mare è un volume creato apposta, e la fine della chimera non sarà seguita dalla putrefazione. Sarà, (è) soluzione della polvere biologica dell’essere vivente in acqua e sogni. Da un’altra parte, passato indenne (definitivamente ignorante) l’eroe, anche la conoscenza rinnegata torna al prima della sua promessa che era avvenuta  sotto forma di canto di una voce femminile.

Torna, cioè, al prima dell’intuizione. Siccome dalla ricerca e dallo studio risulta che l’intuizione non è di natura visuale, allora anche la conoscenza, come idea di poter sapere di più non muore nel senso della propria degradazione di figura. Essa invece, in una specie di resurrezione, si riassume ogni volta in sé, nella propria realtà di pensiero non cosciente.

E per quanto sia oramai chiaro che il pensiero non cosciente non è un pensiero rimosso dalla coscienza, ma è un pensiero di natura diversa dalla coscienza, pure alla morte fatale delle sirene…. a noi moderni restarono la famiglia, l’incomprensibile sogno, una scienza senza cuore, le parole senza oggetto, e le impronte archeologiche della democrazia.

Che ci aiutano soltanto, ma non risolvono, come sia che talvolta ci svegliamo con un suono nella mente. Solo un suono. Senza alcun altro dato di pensiero.

Sirene? Chissà……


(*) Solo dall’Ottavo secolo compaiono le sirene in forma di donna con la parte inferiore del corpo di un pesce.

(**) “Pericle: fu vera democrazia?” di Enrica Salvadori a questo link.

(***) M.Fagioli “Istinto di Morte e Conoscenza” L’Asino d’Oro Edizioni


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