evvabbè


evvabbè


Posted By on Apr 9, 2014

“Prodotti chimici”. È così che generalmente si dice, come sapete. “È una intossicazione da chissà che schifezza…” E poi fiumi di rabbia di sfoghi contro il potere. Cioè contro i potenti. Poi chi ha il potere, quello di rovinarti la vita spesso è, al contrario, senza potere. Ma è di cefalea che parlavano stamani. Una cosa che non si sa. Prima non c’era. Poi eccola. Prima di cosa però? Non si sa neanche quello. Prima di esserci non c’era. Poi c’era e non se ne è andata più. È venuta su come una fontana di punte di spillo che ora scorrono dentro le arterie fino ai capillari e fanno male. Una sorgente di dolore. Di dolore e di mistero. Per fortuna stamani non c’erano che 1)questo sole e 2)la solita serie di 2a)incontri di 2b)pagine profumate e 2c)caffè: che sono tra le pochissime cose nelle quali posso vantarmi di aver avuto successo. Dolore e mistero diventano dunque, in queste mattine, 1)la breve contrazione delle palpebre fuori dall’androne di casa sul sole, e 2)il ritorno al fascino silenzioso dell’ombra del bar. Là, in fondo alla sala, come nella caverna di Platone, figurine avvolte negli sbuffi di vapore della miscela di polvere di Nepal si agitano desiderabili e ignare del mio desiderio.

Vivo in pochi metri quadrati. Il mondo non si mostra a chi non lo interroga continuamente e ossessivamente. Io non chiedo e il mondo non mi si mostra. Mi si mostrano volti che amo senza avere, per quanto sia in grado di comprendere, alcun interesse ad una personale riconoscenza. La capacità è anonima, la medicina è una scienza. La mia professione si occupa di un umore profondo che resta vicino ai mitocondri dentro il citoplasma, nel vulcano delle energie cellulari. Sono secrezioni di amminoacidi e proteine, di molecole e rotazioni di molecole, secondo attività continuamente variabili in un universo che sfugge all’indagine volenterosa. Costringendo la curiosità della coscienza a diventare tempo di lavoro, passione e definizioni di chimica, biologia, fisiologia, fisica, osservazione dei comportamenti, studio clinico del pensiero, relazione comprensibile dei risultati, studio e sintesi personale, e -alla fine- ritorno sul soggetto, interesse alla vita.

Verifico dunque fenomeni ‘segreti’ che non sono storie indicibili (le storie sono sempre uguali) ma pensieri articolati su piani innumerevoli, superiori alla pur elevata complessità linguistica della specie. La maggior parte delle cose restano dunque segrete. Per la gioia di perdenti generosi che guariscono del loro precedente controllo compulsivo. Vivo, qua, di sfrigolii vellutati delle dita sui braccioli delle due poltrone e dei due divani. Sebbene, anni fa, avendole trovate nell’arredo abbandonato dagli antichi proprietari, abbia arricchito la stanza di alcune seggiole. Riciclate, niente di nuovo. Uguali a quelle di modeste barberie di quando avevo cinque anni. Come sia rimasta conservata qua questa mobilia di legno poco pregiato e di foggia delicata, un po’ ‘francese’ mi piace pensare, non so. Risulta comunque adatta a me, al mio contro/transfert verso il mondo la vita e le sue forme. Sono mobilia essenziale e assai ben costruita, adatta all’unico modo di accogliere le persone che trovo pieno di stile. Deve essere oramai evidente come io, per stare così sempre solo, mi ritrovi assai spesso a vivere di atmosfere.

Le persone sono il vento che entra. I colori del mondo, dicevo una volta. Perché io il mondo lo sto trascurando e, se non lo tartassi con tentacolari filamenti di verifica e non lo interroghi ossessivamente, il mondo ti dimentica. So dunque che se resto isolato nessuno ce l’ha con me. E’ che sono io che non frequento balere, aperitivi, mostre, premiazioni, prime di spettacoli, presentazioni, incontri diversi insomma tutte quelle che con distacco supponente definisco liturgie sociali. Preferisco così. Non ha alcuna utilità, a mio parere, per la conoscenza, essere presenti a quasi tutto. Alla conoscenza è utile restare appartati e studiare. Niente di tutto quanto è spettacolare o vuole essere spettacolare è utile a niente.

Curo il risveglio: il mondo inquadrato nella cornice della finestra che da sul giardino- E curo la conclusione delle giornate: negli aloni delle luci elettriche che si sciolgono come un gelato nel cono ovattato del sonno.

“Un individuo si vantava del proprio successo di saper restare solo”.

Ecco, a me pare di capire ciò che mi si vuol dire coi sogni. Mi pare ‘naturale’ comprendere come sia che le persone che vengono con la rabbia e la disperazione nelle stanze per la cura del pensiero, possano intuire -bene e male- che un sogno è un modo di ‘reagire’ alla coscienza, di ribellarsi. In questo caso ho risposto che anche io mi vanto del mio successo nell’arte di saper restare solo. Che restare solo è anche quello un modo che somiglia al sogno, un modo di ‘reagire’ alla coscienza esasperata delle liturgie sociali. Ho detto che

“…la solitudine è come un sogno da svegli”…

La seduta è scivolata via, senza che io possa sapere cosa davvero quella persona ha pensato. Magari lo scoprirò nelle sedute che verranno.

Alla fine della seduta, poi, ero andato al bar, cinquecento metri da qui, (ma neanche saranno cinquecento metri forse sono meno)… ed è là che dicevano dei mal di testa, delle loro teorie sul mal di testa. La rabbia contro i potenti che spargono veleni. Nessuno si chiede se per caso siano gli impotenti a spargere puntine da disegno sotto le nostre palme, sotto i nostri fianchi, sotto le piante delicate dei nostri piedi. Da anni bisogna stare attenti ad evitare la confusione. Dicono che però così si resta soli. Me lo dicono sempre, come un deterrente decisivo. A me viene su tutto d’un fiato come quando risalivo dal fondo del mare nelle gare per le conchiglie

“Evvabbè”…

Poi, come se pienassi i polmoni d’aria prima di tuffarmi di nuovo per un tempo ignoto, aggiungo un altro superbo pensiero

“Resteremo soli”.

Per questo mi par di capire cosa significa questo sogno che mi viene raccontato, di vantarsi del proprio successo nel restare solo. Forse questa persona sta realizzando la legittimità di una propria esigenza. Si è vero che nel sogno c’è una ‘vanità’, una ‘negazione’: questo è perché vantarsi del successo di una solitudine che diventa plausibile, beh, in effetti, è una magra consolazione. A meno di essere arroganti e provocatori, non si può affermare che la solitudine abbia molto da offrire. Però, ora che ci penso, forse si: da quando ho imparato a star solo la cefalea se n’è andata. E forse anche la rabbia. E i tentativi nevrotici ben dissimulati di controllo su tutto quanto potrebbe sfuggirmi.

Un piccolo spunto per la mia ricerca. La certezza che esiste l’altro consente di lasciarlo vivere. Non è solitudine: è solo la cessazione definitiva del controllo sulla vita e la realtà dell’esistenza altrui.

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