ferite


Il libro smarrito eravamo. Pagine arruffate i nostri capelli irti non più belli volavano. Nella poesia perché era troppa bellezza niente consolava. La troppa bellezza violentemente il pensiero invase. Pensare dunque per l’invasione, dopo l’invasione, non potemmo. Non, dopo i terremoti, ricostruzioni di sorta. Dal balcone giù la donna nell’utilitaria volava. Figurina sospesa -in aria baciando lui- nuotava. Di pagine/lenzuola il cielo componemmo. Cartoline un letto verticale ogni mattina scrivevano. “Sempre te penso”- dicevano, sul retro, con -“baci”. La memoria di inchiostro azzurro è tracciata. Anche vitalità è, in un certo modo. Una parete una finestra intera è: che sulla valle bianca affaccia. La Pasqua ebraica una fuga -non una resurrezione- celebra. La parete una vista sul deserto regala. Sulla storia la coscienza i fuggitivi conta. “Gli eletti!”-  le formiche in fila, giù sotto, una seconda coscienza chiama. Altre figurine -coppie appiccicate per le labbra con spilli- in quella insolita vista panoramica di cielo galleggiano. I polpastrelli le impronte digitali di carminio colorano. Ergastolani una vita da scontare ci resta. La norma ancora possibile torna. Sui cortili le sbarre tutto quanto è possibile rubano. Sullo sfondo del cielo, in pagine scritte, le nostre ragioni alle altrui ragioni si oppongono. Perché le sbarre fredde generosamente l’aria luminosa liberano. Dal grattacielo penitenziario guardiamo. Dall’angoscia del nulla il vuoto ci salva. In prigione nel sogno siamo. Perchè la critica dolorosa degli scandali politici e dell’inciviltà dei rapporti interumani al giudizio severo ci rinviò. Le cose come stanno alla prima occhiata ogni mattina i sogni distrussero. Una forma noiosa e una retorica coattiva priva di grazia il dolore nascosero. Il libro smarrito trovammo. I nostri capelli irti arruffati di nuovo belli volavano. La poesia di nuovo ci consolò. La troppa bellezza violentemente il pensiero invase.

(accanto alle rovine del Siri Fort)

“All’ombra di un muro edificato sulla testa
di ottomila uomini, le donne asciugano

panni da secoli. Biancheria sintetica
pende da corde rosa e verdi fissate

al bastione di un forte del duecento. Lustrini
spettegolano nella luce del sole. L’assenza

di maglioni e calzini. Fiere lenzuola
sfoggiano le loro macchie. Ed io che contavo

sugli anni per trovare una prospettiva.”

di Aditi Rao(*) – traduzione Francesca Spinelli

(*) autrice indiana, vive a Nuova Dehli. Questa poesia è uscita nel 2013 sulla rivista online “Cha: An Asian Literary Journal”.

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