generosità


Lo spazio non ha un centro. Il punto di una particella scelta casualmente può essere pensato il denso accordo tra noi la scintilla d’amore, la scoperta. Ma ‘oltre’ non è pensabile come attraverso la finestra sul muro. ‘Oltre’ è, qui, avverbio di modi e non di luoghi. Essendo necessario pensare lo spazio col tempo l’oltre è trasformazione in altro. Non meglio e non peggio. Lo spazio che ha il tempo non è piano e neppure tridimensionale. Che fa la quarta dimensione è il pensiero umano che sa immaginare e che non fa altro che immaginare. Però scompaiono la linea e il piano. Essi non servono e le proposizioni logiche di prima, dopo la scoperta einsteiniana sciolgono gli ormeggi e il ‘discorso’ libera dall’osservanza logica che non lega più e gli strumenti sintattici si dissolvono cedendo agli elementi fonetici e la loro inconsistenza nuova allenta i legami della coerenza formale. Così una notte i fuochi artificiali salgono e fanno gli ombrelli sia a natale che nell’afa dell’inverno boreale. Nello spazio dove una intera stella è collassata in punto acuto, lì si nasce. ‘Oltre’ è una impareggiabile concessione. Allineato vedevo le tue spalle e urgenze incomprensibili spingevano le contrazioni muscolari addosso a te. Dietro avevo un respiro di ignoti che scandiva i miei accresciuti sospetti. Non era vita. Dunque ho immaginato. La conoscenza che lo spazio, compresso dentro la stella di neutrini comporta lo sforzo mentale di immaginare un altro universo di altrettante dimensioni di questo, implica che dove lo spazio fa il proprio ‘orizzonte’ non si crea né la linea né il piano. Un riduzionismo illusorio propone una semplicità che non esiste nel mondo fisico. I limiti dello spazio non sono nello spazio. Sono quando lo spazio di prima incontra Einstein che pensa insieme relatività e gravitazione. La poesia è di un nostro costante cadere armonico con accelerazioni proporzionali ma le accelerazioni sono espressione matematica di valli incurvate che si possono solo immaginare perché c’è una realtà che non si percepisce mai. Mai si attraversa un foglio. Mai si supera la frontiera. Sempre cadiamo inclinando il nostro asse longitudinale verso un reticolo di fantasia. Così è pensabile che nel ‘punto’ la realtà mantenga le sue prerogative. Ho immaginato. Fatto lo scavo di misure contenute. E rivoltomi dalla parte da dove arrivo da sessantacinque anni dirigendomi verso me dove mi era messo ho fatto lo spazio/tempo dell’idea di sedermi sul bordo della mia piramide poco imponente, una comune fossa scavata in tempo. Le gambe rimbalzano picchiando alternate il muretto di terra. Secondo quel modo di immaginare realizzo la grammatica del discorso sul mio bel volto beffardo che sorride. Dico bel volto per esprimere che mi piace vedermi venire verso me. Riavvicinarmi. Tutto quello che capita è uguale a raggi del traffico luminoso delle eccitazione delle onde cerebrali che traversano e pienano la distanza che separa. Alle spalle l’uomo che avanza ha la nascita. Il suo moderno background è l’origine. La fine è concretezza della morte fisica. Terra fresca di uno scavo modesto. Rischiando una scandalizzata incomprensione mi sono appropriato della mia inevitabile frontiera. Sarò generoso a partire da adesso col viandante. Gli perdono.

Read More