genitori figli e bravi maestri


Devo arrivare ai passi sulle pietre del centro storico alle scarpe al suono rotondo dei miei passi sotto i quali ondeggia appesa con un un filo l’ombra lunga di me più lunga di me alle otto del mattino del primo inverno gelata nervosa blu scuro sul grigio del materiale di cava rettangoli grandi accostati quasi alla perfezione e il ‘quasi’ che erano rette parallele e perpendicolari utili, sorridevo, per geometria e grammatica. Avverbi e assiomi. Infiniti pensieri si svolgevano e continua ancora questo eterno amore di non trascurare il trascurabile farci i conti servirsene quasi come (…di nuovo!) una occasione di vivere ulteriormente più intensamente il grigio dell’alba l’altro più scuro della strada il nero delle linee di accostamento delle pietre uguale al colore dell’ombra l’infinita gradazione tra cielo e terra entro la quale mi trovavo a camminare sapendo che non sarebbe mai venuto meno il mondo d’aria luce e materia in piani linee e arpeggi che facevano il viaggio della specie umana come io definisco da allora la città le persone che incontro con la voglia di riuscire a fare la loro conoscenza cosa che so che deve essere eseguita accuratamente variando di poco gli angoli dello sguardo secondo le espressioni altrui. Distogliendo lo sguardo dalla geometria del piano stradale mi incantavo sui segmenti dei percorsi di ciascuno su come quegli occhi esplorano l’aria invisibile che è in realtà solo trasparente e sfiorano avvolgono infrangono qualche volta l’area semicircolare del campo visivo degli altri poi sempre più intensamente il volume delle aspettative di tutti che vedevo bene annusando perché tutti portavano con loro la propria intimità ben evidente a quell’ora come un profumo. Il cerchio la retta le figure solide costituenti la vita societaria del risveglio di una cittadina si scioglievano nel solido complesso del pensiero non figurativo in merito alle psicologie alle norme e alla loro validazione e agli usi e costumi a come era evidente essere quei costumi il modo di usare forme e colori nel comportamento appreso ma speciale (differente) in ciascuno: un balenare di mani e sguardi, un disegnare in aria espressioni di approvazione o rimprovero, nel che lasciavano irrimediabilmente trapelare dall’interno di ognuno loro, le pretese, le attitudini, le volontà di sottomissione o di comando.

Nell’aria trasparente del mattino erano, gli altri, meno distanti. Nel mistero del tepore che si portavano addosso erano ai miei occhi più facilmente conoscibili perché mi appassionavo alle differenti rapidità e maestria con le quali traevsno i fazzoletti candidi dalle tasche o riponevano gli spiccioli lucenti prima tra le dita e il palmo, poi nei borselli di pelle scura. E io mi vedo che mi mettevo già allora a rischiar di sapere, mi mettevo a fidarmi di sapere, mi arrischiavo a esser in confidenza con me stesso, ad essere certo di aver capito. Sebbene avessi avuto subito chiarezza ed apprensione per tali presunzioni e precocità che però coccolavo dato che mi facevano più felicemente procedere. Mi consolavo: “…è un animo poetico ….” pensavo “…se anche stamani la strada tra la casa e la scuola è viva e bella come un geranio fuori stagione!”

Ma invece camminando lungo un percorso di circa settecento metri tra casa e scuola sviluppavo una mentalità in cui era naturale e desiderabile la costanza dell’apprendimento, la lotta continua alla conquista delle competenze: che è bella sulle lastre di cava del pavimento stradale (come fossi stato in un fortino verde e arancio in mezzo ai campi) … e meno naturale nelle aule ma mi parve sempre inevitabile a farmi sentire via via più adatto ad amori assolutamente in arrivo che avrebbero seguito l’ultimo. E il primo degli ultimi fu il primo e fu dolorosissimo e dopo ecco il tempo vero dove posi il lusso del per sempre per camminare libero senza posa.

La comprensione di ciò che non potevo sapere fondava il futuro.

Poi lessi che alla nascita il ragazzino ha la certezza dell’esistenza del seno e leggendo sentii il profumo dell’autore che spiegava: che si in effetti si rendeva conto quanto sarebbe stato difficile capirlo logicamente perché nessuno dovrebbe poter essere certo di qualcosa di cui non ha avuto esperienza. Rilessi in altro modo la parola ‘immagine’ e ebbi chiaro che immaginare è avere la certezza dell’oggetto ed è differente dal sapere di qualcosa per averla appresa. La capacità di immaginare è una disposizione a sviluppare certezze irragionevoli, presunzioni, disobbedienza. 

Il discorso si sarebbe fatto poi ampio come un seno di fantesche o di odalische al balcone.

Dunque mi imbattei in quella trattazione ardua su una capacità cui nessun essere umano sfugge nascendo che sta alla base dell’unica teoria della nascita degli esseri umani che abbiamo a disposizione.  Da quella premessa originò una necessità di cercare se sarei stato in grado di volgermi verso una cultura antropologica e una prassi clinica assolutamente nuove.

Ma il fatto notevole ai miei sensi è che accadde che la teoria della nascita mi parve subito ‘elementare’ quindi indispensabile: forse fu come l’immediata aderenza alla proposizione di studiare che mi capitò naturalmente nelle aule grandi della scuola. E leggendo le pagine del libro che conteneva gli Elementi delle Basi Teoriche della nascita umana forse sentivo il primo inverno i giorni alle otto di mattina le figure geometriche e le dolcezze del primo bacio e avevo in cuore il ricordo dei miei passi di tanto tempo prima tra casa e scuola, quando l’inverno nasceva con il mite rigore delle regole elementari da imparare per, mi riempivo di gioia nel comprenderlo benissimo, rendere accessibili i pensieri. 

Non è tutto: i pensieri furono coltivati da maestri in buon umore quitidiano dato che i vivi, allora, sapevano di essere sfuggiti alle stragi della guerra. Della guerra restavano invisibili nell’aria trasparente del mattino granelli di polvere di macerie sangue di stragi di distruzioni e poi goccioline dell’acqua che aveva lavato via tutto rendendo il mondo di nuovo abitabile col lavoro della generazione dei nostri genitori. Un lavoro che avevano svolto cantando quando non sospettavano di noi perché erano ancora ragazzi mentre lavoravano a rifare il mondo per noi. Avendo certezza di noi seppure non ne avessero il sospetto

Ho respirato con l’aria di allora grani di guerra di salvezza di macerie di giovinezza di guerre ricostruzioni e buon umore e mi tennero in una trasparente allegra certezza senza ragioni. Ma le ragioni ci sono e stavano nell’aria trasparente nei granelli di polvere e nelle goccioline d’acqua. Solo dopo, ma grazie a quanto primitivamente ero diventato respirando l’aria del mattino, mi fu possibile capire la teoria, l’aria nuova, i suoi costituenti invisibili l’acqua e i granelli di terra diffusi tra le parole appassionate. Tornai su me stesso come un nomade del deserto: ma appena più in là della prima nascita, e mi fu possibile quanto era indispensabile a non lasciar morire, tutto quanto fatto fino a lì, nell’ignoranza pigra insomma nell’ottusità di molti accanto a me: potei imparare la scienza che misurava con sicurezza la fortuna che mi era capitata.

Ho avuto la sorte di essere nato due volte in una ripetizione che non è semplicemente una somma.

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