giardini


sesso sulle scene


Posted By on Apr 24, 2014

Francoise-Gilot-Sono-l-unica-amante-che-si-e-salvata-da-Picasso-lasciandolo_h_partb“Niente di te discosto/ La poesia nella sintesi/ Il sesso nella recitazione/ Gli attori non potrebbero/ Fingere passioni docili/ Fingere d’esser bravi…”

©Robert Capa

Più di questo sole è il senso dell’acqua, che riposa. Le onde e i secchi straripanti per pulire le croste di sabbia lunare. Guardiamo gli amici sulla barca a sfidare. Dobbiamo accordarci sull’uso di verbi transitivi senza oggetti. Ci mancano luoghi in cui riposare le azioni delle quali i verbi transitivi (che implicano di compierle) costantemente ribollono. Abbiamo in mente le azioni sospese nel corpo dei verbi di pertinenza. Il pensiero ribelle sa far uso inappropriato di sé, e questo è scrittura quotidiana: incantare in gelatina di sguardi i pesci tirati su dal fondo della barca dove guizzano stanchi da che li abbiamo pescati, o ripararsi il sole che brucia gli zigomi con le vele delle mani aperte sulla fronte. L’indifferenziato impatto energetico dei raggi ultravioletti brucerebbe torrenziale fino dentro la preziosità degli occhi e tutto ciò che incontra se non lo riparassimo. Il sole contro una nave di legno troppo dolce e secco. L’indifferenziato impatto addosso alle navi e ai marinai brucia tutto: è il fuoco dell’ideale inesistente del pensiero ‘puro’.

Appena appena contro questo sole il senso freddo curativo dell’acqua. Il freddo che risulta dalla differenza. Stare nell’acqua fino al collo, galleggiare, essere ammalati e fantasticare: vincite alla lotteria, tempo disperso, strusciare al muro, alcolismo minore, scommesse, senza il tramonto l’odio dei climi medi di non essere nati e fare finta. Rifletti: i bravi attori protagonisti si baciano e finiscono a far l’amore. La macchina rumorosa del set non molla: cerca, stringe -spremendo- l’arancia di lei sotto la forza muscolare del ragazzo, e poi lei afferra lui, con dita ardimentose più di quanto lui sia stato pieno d’ardore: e allora lui splende di nero e violetto come una prugna sottomessa alle ‘sue’ labbra.

E a quella cima d’albero d’ogni frutto conosciuto una luce sprizza dalle loro mani, e finta non potranno fare più. Dopo, avvolti nelle lenzuola, ridono felici che la verità non li ha travolti. La bellezza dei naufraghi e dei naufragi si misura dove non parrebbe il caso. Nel fuori scena della recitazione d’amore che ha l’umanità assoluta. Semmai saranno i vezzi quotidiani a confonderci apparendo spettacoli e finzione. A questo si oppone ‘sto Scrivere Quaderni e Quaderni di Ricerca in Psicoterapia come azione di lotta. E’ che il setting, come il set, costringe a non fingere e insomma alla imprevista coerenza, divenuta ineludibile, tra parole e contenuti, tra ‘affetto’ e ‘conoscenza’.

Sotto le luci del palcoscenico fisiologia felice del tuffo è la nascita perché è massima stimolazione. Questa estrema variazione è ricordo dell’aria e della luce del primo momento fuori dall’utero. Inconscio/fuoco in aria e fiamme dagli occhi chiusi di passione. La finta che sia ‘tutto questo’ soltanto, e soltanto ‘questo’ sia, non è finzione: è l’unico modo di procedere. È una scienza il linguaggio e dunque, appunto, come s’era iniziato, ti ripeto e ripeto ripeto come un’onda  il senso che ho dell’acqua:

“Niente di te discosto/ La poesia nella sintesi/ Il sesso nella recitazione/ Gli attori non potrebbero/ Fingere passioni docili/ Fingere d’esser bravi…”

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Posted By on Apr 15, 2014

The Walk to Paradise Garden

“THE WALK TO PARADISE GARDEN” (1946)
©William Eugene Smith
(Wichita 1918 – Tucson 1978)

“Per caso vuoi ?” Guardavo certe foto che sono una luce al fondo. Se gli occhi sono un pozzo di buio le scintille di ferro acuto della punta doppia -alle estremità degli Shangai- arrivano comunque. Dovunque. Forse ci sono eccezioni per ogni cosa. Ma l’equilibrio degli sforzi e delle pause libere costruisce ardite articolazioni. Come un pazzo a testa in giù sulla punta delle dita magre. “Per caso vuoi ?”. Le richieste vanno ripetute. Le dita tengono in sospensione. Pazzi ominidi non più pazzi, oramai: per aver sviluppato qualità non dei corpi ma di pensiero, la funzione della vitalità che trasforma uno stimolo luminoso in qualcosa di differente, che non ha più alcuna relazione con masse gravitazionali e fenomeni di geologia e meteorologia.

La funzione di pensiero umano amplifica e differenzia, aggiunge e altera, crea quello che nello stimolo non era presente. Lo stimolo era solo energia a-specifica. Impressione senza figura. Variazione. Nei nostri bei corpi eretti, su in cima (nella scatola cranica) la luce negli occhi ha attivato azioni successive di cui si ha coscienza come un blocco di idee. Le idee si sono aggiunte une ad altre e scorrendo hanno inventato modi di sostentamento. La stazione eretta è intervenuta alla fine come estremo attuale di evoluzione vantaggiosa, secondo l’ambiente geografico ed ecologico. Ma contraddittoriamente, per quanto riguarda il modo di pensare, noi adesso siamo una intera specie a testa in giù come un acrobata sulle dita sulla pista di terra e le gambe in cielo.

La biologia è pazza seppure mostra funzioni sottomesse a vincoli. È pazza perché nessun vincolo è stabile. Va via scorrendo il corso delle nuvole e dei maremoti. È un andare nello spazio e nel tempo: ma un dilagare, non proprio linea. È raggiera. Si cammina piano da millenni e abbiamo anche scritto previsioni per la certezza della sciagura torrenziale. Abbiamo dunque preposto gli dei (noi li abbiamo creati appositamente) per ogni certo tempo a prometterci il terremoto e i diluvi… Si sa che sarebbero venuti comunque da soli.

Il pensiero gode di una funzione della coscienza troppo breve. Non sappiamo insistere mai più di qualche secondo a tener conto di niente. La coscienza non dura più di tanto. “Vuoi ?” A causa della scarsa permanenza delle coscienza bisogna ripetere ogni invito. “Vuoi ancora?” Voglio vincere la tua intenzione di astinenza dall’allegria. Se il nostro esser certi dura solo secondi perché è così difficile sovvertire per sempre (una volta per tutte) le tue troppo lodevoli intenzioni?

Guardo la foto che è stata suggerita. Passeggiata al giardino del paradiso. Il blog mi aiuta nella battaglia contro l’inerzia. La natura biologica si regge su probabilità. Esclusivamente su probabilità e non ha nessuna traccia di ordine prevalente irreversibile, tranne il tempo termodinamico. Forze: quello sono le ‘cose’ fuori. E anche in noi: ci sono ‘forze’. Lasciamo dunque perdere quello che i filosofi hanno voluto attribuire di intelletto alla natura. Dopo i presocratici che studiavano la fisica cominciarono le fandonie. Il pensiero teologico volle sostituire quello scientifico. Gli dei immanenti, addirittura. Il blog si avvale, invece, di amorevoli commenti. Suggerimenti. Come se dicessero “Ne vuoi ?” …ripetutamente. “Per favore”. Oppure “Se ti va. Se ti piace”.

Ho trovato anche altre foto. Vagando. In una, ecco una lotta contro il peso della materia bruta. “Non lasciarmi a farlo da sola”. Questo sembra suggerire. Su questo bisogna fermarsi.

francesca woodman-untitled

“UNTITLED”
©Francesca Woodman
(Denver 1958 – New York 1981)

 

 

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