gli uomini e la scienza del pensiero


Marx…. E poi filosofi si sarebbero dovuti applicare a cambiare il mondo. Cosa che regolarmente non avvenne. Ma non ci sarebbe stati comunque abbastanza mondo da cambiare. Di fatto ad un certo punto il marxismo è diventato insufficiente: fu nel momento che Einstein ha intuito che il rapporto spazio tempo, relativamente alla natura fisica della luce, si distorceva per lasciare intatto un numero che esprime una relazione la cui natura, ad un esperimento di puro pensiero, parve inalterabile. La cifra che esprimeva la relazione è tanto famosa quanto poco importante. Quello che conta è che la massa degli oggetti in movimento non resta la stessa mentre ci si avvicina a quella cifra. E ad un certo punto diventerebbe imprecisata e non misurabile, infinita. In realtà si tratta di una impensabilità non di una infinità. Il tempo rallenta, la massa si addensa, il pensiero si perde. La realtà fisica cambia e il pensiero fa fatica a seguirne le espressioni. Si fa strada il concetto di orizzonte degli eventi di fronte al collasso gravitazionale dentro le stelle di neutrini, da cui la luce non può sfuggire. L’intrappolamento della luce propone una trasformazione che non è superamento. Un universo che non è prosecuzione di questo. Einstein propose una poesia del modo di essere della realtà del cosmo, che il pensiero filosofico non aveva previsto e che non fu in grado di perseguire coi suoi strumenti. Dio non gioca a dadi e l’uomo si. In questo la non pretesa né invocata superiorità.

Poi. I dadi sfuggirono oltre l’orizzonte degli eventi e la filosofia che non è riuscita a trasformare il mondo diventa sistema di pensiero di un mondo differente. Da accettare. Si tratta di ipotesi di mondi diversi o di differenti relazioni all’interno della realtà cosmica. Si effettuarono esperimenti di pensiero, mettendo in gioco una capacità di immaginare. Il pensiero inconscio, che non è riducibile a linguaggio verbale, perché non è stato mai pensiero verbale, scrive la velocità della luce di trecentomila chilometri al secondo e non ha altre parole corrispondenti. Il pensiero si appassiona a queste sue modalità di raccontare le proprie prese d’atto di un mondo strano alla propria periferia. E le periferie del mondo sono dentro il mondo. I buchi neri sono dentro le galassie. Enormi eventi energetici al centro delle galassie. L’orizzonte non è una linea nello spazio: è scomparsa di notizie relativi ai fenomeni al centro dei fenomeni medesimi. Così noi potremmo pensare la frazione seicentomila chilometri al secondo ma non ci serve per la lettura della realtà fisica, perché in corrispondenza di essa c’è una ‘inevidenza’: un’idea certa che a quella velocità non ci si arriva se si vuole continuare a pensare una massa, insomma una estensione.

La velocità della luce forse è una realtà interna di pensiero. La non concessione al cosmo di una velocità ulteriore, di una frazione di tempo il cui denominatore sia raddoppiato o esponenziale, non ha parole -perché non ha bisogno di giustificarsi- e però diventa, solo dopo, un linguaggio che esclude la possibilità coerente del fenomeno in discussione. Allora allo psicologo, che cerca le leggi della narrabilità e della inenarrabilità, della legittimità e illegittimità dei processi mentali, pare che Einstein abbia espresso, mentre scopriva e rappresentava panorami ricomposti del mondo, non solo una grandezza fisica di riferimento, ma anche un limite ulteriore della filosofia della natura, come un pre-socratico di duemilacinquecento anni fa….. duemilacinquecento anni dopo. Abbiamo adesso, rispetto ad allora, meno vaghe intuizioni: perché si sono collocati meglio i confini e scoperto che noi confiniamo al nostro interno con orizzonti che non sono linee ma eventi. E scoperto che l’oltre neanche in fisica è spaziale, e che semplicemente, come sempre, l’oltre -preteso inaccessibile- anche questa volta è una nuova contrattazione a proposito delle etiche della pensabilità dei mondi. Che Marx sbagliava perché non si trasforma la realtà. O meglio che non ci sarebbe stato il ‘progresso’ come piano inclinato alla provvidenza dello spirito, sul quale esercitarsi a trasformare quote di realtà continuamente emergenti. La legge della sostenibilità è arrivata fino alle falde del discorso filosofico, persino quello anti-idealistico. E allora, a questi confini, è semmai la realtà che trasforma il nostro modo di pensarla.

Ricordi, quando si riuscì a estendere universalmente il suffragio sotto la spinta delle ragazze per le strade.

La comprensione delle leggi nuove è impedita sempre da una morale coattiva insita nei processi mentali. La ricerca in psicoterapia dice che il pre-verbale resta senza parole anche se mai senza effetti, e che molte parole sono per impedire tali effetti. Il pre verbale, che è condizione del primo anno di vita, non verrà poi spiegato negli anni successivi. Verrà dimenticato e protetto. Le interpretazioni sono spesso violente. Einstein non si capirà con successive spiegazioni, ma nel gesto di una trasformazione del modo di pensare precedente. Sempre, appena abbiamo capito qualcosa, si scopre inutile parlarne. Finché parliamo delle cose noi non facciamo che dire le difficoltà e non le conquiste. Liberarci di un dio che non gioca a dadi non sarà facile. Einstein stesso non riuscì ad accettare le conseguenze implicite nella sua proposizione sul mondo. Altri fanno la stessa cosa. Rinnegano il proprio geniale mondo non cosciente che detta formule matematiche per non cadere nella furia divina.

Ma dopo trenta anni di ossequio alle regole viene il pensiero. Dopo il silenzio delle dissertazioni viene un attimo di immoralità. Quanto mediamente dura il tempo che un neonato rimane sveglio dopo il parto? E se c’è una durata media che possa essere pensata come relativa ad una fisiologia della nascita ancora ignota, quell’intervallo ha delle conseguenze nella organizzazione del tempo delle nostre giornate? Nella ripartizione di amore, lavoro, ricerca e accesa solitudine. Perché una seduta dura un’ora un film mediamente due ore e quasi nulla che pretenda una partecipazione attenta e condivisa supera questi limiti? E perché un’ora dura quello che dura? Le ore, in natura, non ci sono. La scelta della durata di quello che è tempo orario, quella precisa frazione del giorno che ci siamo reciprocamente scambiati… da dove ha preso la forza di imporsi come armonica universale condivisione delle durate….?

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