grattacieli


Lo strano della vita è che, sebbene la natura di essa sia stata chiara a ognuno per centinaia d’anni, nessuno ne ha steso un adeguato resoconto. Mentre le strade di Londra hanno una loro carta, le nostre passioni rimangono non descritte. Chi mai incontreremo se voltiamo quest’angolo?” (V. Woolf – “La camera di Jacob”.)

Il mondo è quello che è, ed ha compostezza. Noi ci siamo inventati il corpo e la nudità. Per fare impudicizia della perfezione e non smettere mai di finire, e procedere imprecisi fino a  concludere tutto (ma non sapremmo tutto di che cosa) -dunque fino a concludere tutto illusoriamente– nello spigolo di un grattacielo. A concludere, nello spigolo di un grattacielo, il progetto medesimo della città. E questa conclusione addensa nello spigolo del grattacielo in questione il progetto di tutte le città del mondo. E in più l’idea stessa di progetto e l’idea stessa di pensiero. Tutto esattamente in una linea d’angolo vertiginosa e tagliente.

Questo è perché, alla debole affermazione che le città devono pur finire, non abbiamo mai trovato una giustificazione anatomo-fisiologica. Non si sono mai individuati né un punto neurale né un’area corticale della conclusione di un certo procedere delle funzioni psichiche. Mai monitorato, con tecniche di ‘imaging’, i contorni di una piazza per i ricongiungimenti definitivi di ogni linea del progetto. Mai trovato traccia di tutto questo, quando ci siamo occupati di indagare nella mente degli architetti.

Così lo spigolo vertiginoso del grattacielo rimane uno spruzzo di punti farinosi, gettati sul prato di mille chilometri quadrati intorno alla città di grattacieli. Lo spigolo di un grattacielo risulta in ogni caso un addio impossibile. Questo è perché la natura non è abbastanza umana da essere, anche solo appena, nuda. La natura è spoglia. Così abbiamo dovuto costruire una stanza affinché, nella stanza, il nostro amore troneggiasse: una figura umana in una stanza fatta di materia docile. Di materia costruita.

Si costruiscono poi città intere per circondare e proteggere una sola stanza, originale modalità di spazio, riconoscibile dalla forma del vuoto di cui si compone. Stanze, case, palazzi, quartieri e distese di tessuto urbano. ‘A partire da‘ e ‘al fine di‘ determinare, e contenere, e offrire un contesto omogeneo, e circondare, e proteggere le pareti che, incarcerando le armoniche della nostra voce, rallentano il tempo. Allora noi siamo certi di esserci davvero inoltrati nella natura arida e spoglia.

Precisamente noi ci spingiamo oltre la natura, proprio quando stiamo nella stanza in cui parliamo e leggiamo e godiamo lo scivolare delle parole una sull’altra, una via dall’altra, una addosso all’altra. Le stanze dentro il tessuto urbano sono perché abbiamo inventato le frasi del linguaggio, necessarie a dare le istruzioni di abitabilità: “Vieni vicino“. “Vattene.” Di fatto tutto questo generarsi di avvenimenti legati ai grattacieli si perde nel passato: da tanto oramai essi hanno il contenuto di stanze, perché dentro di esse noi possiamo spingerci oltre la natura.

Alla base e al vertice dei grattacieli, più spesso che nei piani intermedi, abbiamo costruito, secondo un’idea differente dell’amore, le sale grandi dei bar, con i tavoli di acciaio e le seggiole lisce scure, cosicché adesso, praticamente ad ogni ora, la bambina che il padre tiene per mano, la bella signora che segue un uomo distratto dall’odore di caffè, il ragazzo adolescente confuso dalla imprevista forza femminile della compagna di banco… tutti possono gustare la frutta nelle coppe trasparenti.

Il bar è indispensabile per la scoperta che la trasparenza, cioè tutte le infinite modalità della trasparenza, si resero necessarie quando si dovette vestire la nudità per escludere il pudore, poiché restava sempre la gioia di vedere. Abbiamo fatto il cristallo e il vetro, dormendo distratti sul mare, perché abbiamo lasciato acceso il falò, e si può dire che, dunque, noi abbiamo fuso la sabbia al fuoco, e così la trasparenza si è svelata una mattina.

La trasparenza si è generata con la luce e la coscienza del risveglio, assumendo, in questa poetica contemporaneità, un potente valore simbolico. La scoperta del vetro, lo scintillìo di gocce di ambra attorno ai fuochi sulla spiaggia, può essere assunta come un evento, un fatto che deve pur significare qualche (altra) cosa. L’estetica dell’insolito, infatti, vuole confondere la poesia con il destino. Ma la ripetizione escluse il miracolo. I mercanti ebbero nelle mani silicati fusi e tecnologia. Noi tutti avemmo la trasparenza.

L’intenzione del (di produrre il) vetro rese plausibile il risveglio e il sonno, i momenti in cui si determina lo scambio vitale tra la trasparente incomprensibilità dei sogni e l’opacità impenetrabile delle cose. La conoscenza, costretta tra buio incombente e luce stellare, si ampliò un poco nello sguardo che trapassava il bicchiere. Con la trasparenza si prese confidenza coi passaggi tra notte e giorno, e si incrementò il guadagno di restare accanto di più e più a lungo.

L’epoca genera un lusso: furto di tempo e incremento di forza. Con il fuoco, la sabbia, la festa, il sonno, e il vetro, sono nati il pudore insieme alla trattazione dei fenomeni luminosi. Non è dunque mai trascurabile la voglia di dormire insieme. Al fuoco. È pur vero che, subito dopo, il pudore -che dal fuoco, e la sabbia, e il vetro del risveglio era nato- si è sciolto a terra, smorto, nell’angolo di una stanza, come un vestito leggero abbandonato.

Adesso si fanno stanze dove si dimenticano e si raccontano sogni. “Mi hai spezzato il cuore.” La fisiologia della visione e le illusioni della percezione. La sapienza dell’ottica e gli errori dello sguardo. Rifrazioni e diffrazioni. Bastoncini nell’acqua. Linee rotte. “Mi hai spezzato il cuore.” Il pensiero non cosciente usa i fenomeni del mondo fisico per dire cose non ‘vere‘. Se fossero vere direbbero una falsità. “Mi hai spezzato il cuore.” E non è vero.

Ma abbiamo l’idea della trasparenza, del sonno, del fuoco e del vetro. La capacità di immaginare, di cambiare il significato alle parole, per esprimere ogni forma di rapporto. L’indispensabile di tutti i suoni corrispondenti all’idea delle differenti forme di legame. Sappiamo (sappiamo dire): l’immagine si compone in stati funzionali di differenti aree cerebrali, quegli stati hanno una evanescenza costituzionale e dunque forme transitorie. In genere spariscono subito senza diventare mai coscienti.

Talvolta, l’idea della certezza del mondo umano, attiva stati funzionali differenti dai precedenti che possiamo chiamare, componendo parole differenti, come vibranti ipotesi di segni grafici. Può accadere che essi siano trasformati in un sistema di scrittura. In una scrittura i segni sono stati funzionali, che si definiscono ipotesi vibranti poiché possono rivolgersi all’esterno, come richiamo attrazione avvertimento conferma e minaccia. Capaci di diventare, più che pensieri, suoni.

È la generazione di una lingua. La caduta del pudore (come il pudore fosse una funzione) consente la scrittura. Scriviamo. “Mi hai spezzato il cuore.” E’ un sogno che è espresso con la scrittura ma non ha ancora la realtà di un linguaggio. E’ linguaggio quello che dice: è il sogno di una lesione, forse di una malattia: esso deve corrispondere ad un certo stato funzionale riconosciuto nei segni grafici e nelle intenzioni fonetiche.

Diagnosi delle strutture di un sistema linguistico. La biologia di una idea iniziale si può arricchire, cambiare, trasformare. Il linguaggio può trasformare la struttura fisica delle proprie corrispondenze con stati differenti di realtà fisica cerebrale. Legarsi a stati funzionali precedentemente perduti o del tutto mai attuati. Il significato delle parole può cambiare. La conoscenza può correggersi. La biologia può guarire.

La biologia che guarisce determina il fenomeno del pensiero che infine si trasforma. Il pensiero non sostiene più la verità dei fatti legati alle definizioni, piuttosto il coraggio di rischiare la nudità attraverso la trasparenza che sostiene il pudore. “Mi hai spezzato il cuore.” Ecco che questa frase di crisi e di malattia adesso è guarita. Fu sottratta all’ animo ferito e fu incisa sugli spigoli di tutti i grattacieli del mondo. Al confine con i campi vuoti.

Il tempo attuale.

Il cuore spezzato dice la frattura tra spazio della intimità privata, e spazio collettivo che è intimità del legame sociale (dialettica). Non si è precisato a sufficienza che il linguaggio non si esaurisce nella trattazione della vergogna. Il linguaggio è intimità dialettica, implicita alla base del contratto sociale. Linguaggio e patto sociale non sono propriamente pensiero. Hanno a che fare, piuttosto, con la trasparenza, il vetro, la sabbia, il fuoco e un mare sullo sfondo. Hanno a che fare con il suono. No: con la materia.

Il linguaggio è una forma di accesso alla biologia che sostiene le funzioni del pensiero. La ricerca può avvenire attraverso il linguaggio. Comprendere la poesia di ferirsi le mani agli spigoli dei grattacieli. L’assenza di rabbia per le ferite. Era inevitabile: i margini dei grattacieli al confine della campagna sono universalmente taglienti. Le pareti, confluenti alla formazione degli spigoli, hanno le scritte delle idee non coscienti che ne hanno guidato la costruzione. La lucidità del progetto.

Suonassero potremmo scriverle in forma di una frase oramai differente da quella ripetuta ossessivamente fino ad ora. La frase “Mi hai spezzato il cuore” attraversando la trasparenza del tempo, ha guadagnato la nudità e perduto il pudore. “Mi avevi spezzato il cuore. Sono guarito. Adesso sto bene.

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