i bassi delle jbl


i bassi delle jbl


Posted By on Ago 21, 2013

piedi 1

Non riuscivano. Per quanto fossi disposto. Disposto a lasciar andare le cose. Per come la vedo io. Invenzioni. Le invenzioni quelle si che fanno avanzare. Questo passare il tempo. Ero dunque disposto al passare del tempo. Mi avevano cambiato la scenografia. “Più buia, per la miseria !!! ” doveva aver esclamato il direttore della fotografia tre oscar in set di guerra, di imperi, e di vicende di interni borghesi. Più buio dunque per costringere alla miseria. Stringere il torace. Cingere in una morsa. ‘Angor’ dice il latino da cui abbiamo derivato ‘angoscia’. Ma nonostante questo parlavo con lei aspettando la conclusione della scena. Attori. Interpreti. Vicende. L’angoscia del quasi buio. Ma è invenzione scenica. Sappiamo distinguerla dai fenomeni di precisa creazione artisitca. Questa era una ricreazione illusoria. Con i caratteri della finzione. Creazione, invenzione, finzione. Parole differenti. Cose differenti. Differenti ‘realtà’. Spingevo la storia. Il motore del sogno pulsava. Bastimenti. Locomotive. Innovazioni come il cono del bassi delle JBL. Lo stomaco in subbuglio. Nesso tra musica e terapia. Tra suono e procedimento. Non mi interessava. “Lascio andare“- penso nel sogno –Ma si!“-. Le conclusioni soggettive non esistono. Il pensiero con qualche conclusione, diciamo così se proprio ci si tiene alle conclusioni, è un pensiero collettivo ed è legato strettamente alle vicende storiche. Bisogna aspettare decenni. Secoli. Solo gli storici di professione quindi possono pontificare. Dire la loro. Dire il pensiero collettivo. Le lune di Giove nel culo di bottiglia delle lenti del cannocchiale. Il cannocchiale di Galileo. Il cadavere della scolastica nel fondo delle lenti di un cannocchiale ‘rubato’. Perché è notorio che Galileo fa un furto. Origliando. Come un praticante o un passacarte. Fa un furto costruendo uno strumento per sentito dire. Copiando i vantaggi di una invenzione non sua. Uno strumento cui non aveva pensato. Ma fonda il metodo. Non cerca: trova. Galileo-Picasso. L’invenzione del metodo. Il cielo impuro. Le macchie sulla superficie lunare. “Les Demoiselles d’Avignon”(*). Ma anche lì, guarda caso: cinque prostitute nude del bordello del Carrer d’Avinyó a …. Barcellona. “Barcellona, per la miseria !!“- urla lo sceneggiatore, professore di storia dell’arte. “Barcellona non Avignone..!“. Così avevo accanto l’arte. Nel sonno eri tu. Ma è l’arte. Non ti amo fino a questo punto. Non fino alla confusione. Lasciavo andare. Con tono superbo. Meglio: con una certa superiorità. Ma l’angoscia non si creava più oramai. Avendo capito che da un certo momento in poi non importava procedere. Bastava testimoniare il procedimento del pensiero. Offrire una modalità esatta della funzione. Il meccanismo “bass reflex” per la riproduzione dei toni gravi tutto nuovo allora nel 1970 dell’inizio dell’amore scuote i coni di trenta centimetri di diametro posti alla base delle nostre JBL e scuote l’acqua nel bicchiere. La rana contrae i lunghi eleganti muscoli degli arti posteriori. Appesa al parapetto di ferro. Secondo i lampi. Nell’aria umida. È morta. Balla scattante sotto la luna. Nell’aria galvanica. Così lasciavo andare. Nell’aria abbuiata della scena. Due aghi. Punture velenose inefficaci. Sotto l’arco voltaico del cielo ero una scintilla. Trapassando secoli avevo il tempo in mente. Dico nella coscienza del risveglio: “C’eri tu insieme a me“. Però so che ‘tu’ eri ‘il tempo’. Avevo sognato che lasciavo entrare due aghi nei muscoli della mia magrezza inaugurata da poco. Due punture di veleno silenzioso per l’eutanasia. Ma il tempo e la (seppur blanda) conoscenza dell’arte facevano da antidoti. Restava, dopo (che significa che resta, adesso) una serie di incombenze. Il tempo va dipanato come sapere scientifico. L’arte va osservata bene così come il sogno e poi il pensiero cosciente che ne è derivato l’ha appena scalfita alla sommità. Dove il cipresso colpisce al cuore la nuvola di vento. Essa deve essere passione. Torna sempre in mente la nascita. La teoria della vitalità che si lega al buio fosforescente in fondo alla retina eccitata dalla luce. Tu torni sapientemente. E’ l’eterna poesia della ‘pratica’ del tuo passo. Con le borse della spesa sei una bilancia lungo una scala. La figura di un nudo. Che inaugura una stagione. Mentre mi sveglio. Sfuggito una volta di più alla pazzia. Nonostante la conoscenza possa fare ammattire. Osservo la punta dei cipressi dove toccano le nuvole e penso che questo vuol essere la modestia della compassione. Il procedere della nudità lungo spirali è possibilità di rallegrarsi ogni giorno per l’arte della spesa. La mia donna sa distribuire le cose acquistate in due pesi e due misure quasi uguali. Al resto ci pensano gli automatismi propriocettivi. Ad amarla nella sua perfezione di massaia ci riesco ancora. Non valeva la pena concedere troppo agli stupidi frettolosi. 

(*)Les Demoiselles d’Avignogn – 1907 – qui

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