i matematici


inclini alla conoscenza


Posted By on Feb 7, 2015

E=mc(al quadrato)

L’affetto dei segni consente l’espressione del pensiero astratto delle formule che è linguaggio non verbale versato in una traccia d’inchiostro sui fogli. La matematica è affidata ai segni quanto è vero che la cifra per antonomasia è zero. Cinico capostipite scalda la serie dei successori. Atterrisce o consola gli ipersensibili seconda che paia loro un addio o un’ombra. Siccome la cifra è segno poi sempre è la forma che caratterizza i teoremi. La comunità degli influenti lascia prevalere -nel giudizio di legittimità delle dimostrazioni- la loro ‘bellezza’. Gli influenti sono un’aristocrazia. Leggono formule proprie e altrui e, recitando, con la mano sul cuore, giurano sulla verità e dopo ancora redigono le ipotesi conseguenti e architettano altri palazzi e erigono campate di colonnati come corolle ordinate sui fogli ruvidi da disegno. Talvolta anche scarabocchiano capolavori sui tovaglioli di carta delle osterie. Una formula è l’immagine irrazionale di una evocazione ed è il primo (ed unico) dovere di costoro che sono noti come matematici, cioè per etimologia ‘inclini alla conoscenza’. I matematici si sono scelti da soli meriti e difficoltà e avendo superate le seconde brillantemente dopo hanno riscosso il merito preventivamente speso e senza più debiti hanno indossato la presunzione che da sempre calza i loro superiori pensieri come il decoro calza a pennello a un onest’uomo. Privi di santità ma a braccetto con l’universo, si sono designati a guardia del paradiso. Stabiliscono l’angolo di divergenza tra quantità ed entità. Scrivono una C e un piccolo numero 2 in alto alla sua destra. Leggono: “C al quadrato”. Indica una quantità che si ottiene come numero derivante dalla moltiplicazione della velocità della luce per se stessa. Potrebbero scrivere il numero, se quello fosse rilevante. Ma pare che sia rilevante tener conto di altro. Scrivere “C al quadrato” indica che quella certa realtà fisica, in natura, esercita una potenza di interdizione o di facilitazione la cui efficacia ha l’armonia riflessiva di un numero moltiplicato per se stesso. Non è più la velocità dunque che accende la lampada del genio nella formula, ma l’azione mentale di quella certa moltiplicazione. Il ‘quadrato’ della velocità della luce in natura non c’è perché la luce non corre al quadrato della propria velocità. Però massa ed energia di ogni esistenza fisica stanno tra loro in una relazione reciproca legata ad una misura multipla di C secondo il suo ‘quadrato’. La legge espressa nella formula risulta insieme 1)-ordinata: nel riflessivo ampliarsi di C tanto quanto le è consentito secondo un multiplo preciso del valore che la esprime quantitativamente e mai diversamente da quel modo esponenziale ‘quadrato’… e 2)- provocante: perché quella composizione di sé con se stessa, secondo potenze del proprio valore, non necessita dell’ordine monacale di una successione di cifre essendo “C quadrato” precisamente il brusio di un monoposto ad elica che vibra dentro la nuvola di acqua sale grassi e proteine della funzione fisica cerebrale per evitare l’orrore di un chiarimento impoetico che è l’orrore anche dei matematici: come sarebbe pesante a chi dorme spiegare la quieta incoscienza del proprio sonno. La formula ha un centro un andamento una forma: insomma un equilibrio interno. La quantità che si ottiene ripetendo mentalmente il numero della velocità della luce tante volte quante ne indica il numero che rappresenta se stessa lega le variazioni reciproche dell’energia che ogni oggetto acquisisce o vede ridursi alle variazioni in più o in meno della propria velocità. C al quadrato, in tal caso sottratto alla formula einstaniana, indica che esistono modi di disegnare l’estetica di un’idea. Esistono modi per fornire indicazioni di rilevanza, dedurre le frecce vettoriali delle inclinazioni sulle mappe mentali, redigere fogli d’istruzione dei cambi di passo del procedere quotidiano. Le formule che esprimono le leggi di relazione tra oggetti fisici forniscono, insieme ai loro enunciati riguardanti le reiterazioni di eventi tra realtà di natura ‘oggettiva’, istruzioni per procedere nella comprensione delle formule medesime. La formula evapora dalla superficie del solido del mondo per restare idea di buon funzionamento del pensiero a proposito delle relazioni tra le cose ma anche tra le qualità interne a ciascuna cosa. La formula non esprime una lista del lavoro da fare per ottenere il risultato di un calcolo. Essa è la carezza sui capelli che ci invita a riposare la dolorosa contrazione dei muscoli mimici. È indispensabile perché ci stanchiamo assai per tenere disciplinate intere legioni di leggi e teoremi dove conserviamo segreta la delusione per l’eleganza evidente di un mondo naturale che poi resta privo di senso e morale. Così ogni formula -purché abbia assunto sufficiente bellezza- deriva da un impegno contro natura a lavorare duro per realizzare composizioni di levità a partire dall’insensata meraviglia di un mondo muto. La lieve articolazione dei componenti delle formule si contrappone alla disciplina -da non augurarsi a nessuno- che ne permette la scrittura. Le formule matematiche esprimono procedure che dal presente della loro individuazione  ed espressione risalgono il tempo fino all’origine comune ad ogni ricerca: cioè fino all’instaurarsi irreversibile nel pensiero dell’iniziativa di andare contro il fatalismo entropico della natura fisica del mondo. Vengono in mente le parole di non innocenti racconti:

“Take care of the sense and the sounds will take care of themselves.” (*)

(*)basterà copiare la frase e poi incollare su un motore di ricerca per togliersi la curiosità. O non farlo e tenersela. Tradurre e poi pensare a quello che possiamo capire: finalmente privi di riferimenti riprendere a camminare sulle proprie gambe essendosi ricomposta la frattura grazie al trapianto di tessuto osseo. Imboccare la via della guarigione dalla depressione di pesanti e servili ossequi. Al genio di turno.

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