il mare


bruciare le macerie

bruciare le macerie


Posted By on Set 28, 2014

"IL FUOCO LONTANO"

“IL FUOCO LONTANO”

“Ritiro. Silenzio. Trasformazione.”

Scrivevo per riprendermi i giorni e le ore.

“Nell’annullamento che consente il sonno sta la nascita”.

Nel sonno sta tutto il primo anno. Il sonno è il ritiro dei sensi al riparo illusorio della stanza buia. Le coperte come cielo addosso tengono viva la corteccia. Sulla pelle nuda esercitano una pressione leggera e diffusa. Lo stimolo cutaneo indifferenziato corre ai centri corticali. Dalle aree della sensibilità frecce verticali giù al cuore della sostanza cerebrale, e altre con parabole differenti dilagano attorno. Verticale. Orizzontale. Il cuore colpito spruzza il proprio sangue verso l’alto. L’onda di superficie si colora dei rimbalzi di bagliori rossi. La fisiologia della nascita mette al sicuro l’incoerenza indispensabile ad addormentarsi smettendo di serbare, accudire, proteggere persone care. Di vigilare alle porte degli occhi. Di scrutare. Di esercitare la logica. Di risparmiare. Il sonno guarisce la pazzia perché interrompe la coscienza e con essa la consapevolezza. Il sonno ha la (musica) biochimica del pensiero in assenza di veglia. La metà non illuminata del mondo ammantata di dormienti ha così una propria concordanza lirica.

Il coro muto diventò idea di inconscio mare calmo e molto è stato necessario per chiarire che idea non è figura, è immagine. Il sogno è il ‘ricordo’ di una attività inaccessibile alla coscienza. Ma è ricordo di niente in particolare. Ascolto nei sogni e nei racconti in cerca di senso l’ansia di accettazione. A volte è troppo tardi e divenuta sarcasmo e arroganza per paura di una delusione. Ma: nessun motivo di errore.

Prima (alla base) del pensiero verbale stanno l’infanzia senza linguaggio, i germogli del prato attorno alle nostre case private, le torbiere del parto, gli scavi dei poeti, le ricerche collettive delle norme alla base del contratto sociale, tutte le relazioni senza giudizio, le società rivoluzionarie. Del resto per via delle crisi trascorse, veri inciampi nella psicosi, dobbiamo dedurre che la attività mentale è illimitata per l’imprecisione dei propri confini e può essere affossata, è evidente! Basta un suono, un frammento di vetro avvelenato. La stanchezza che porta il sonno ha sempre, fino ad oggi, fermato il lavoro prima che fosse tardi e il dormire ha serbato la funzione, per quel che si può.

Mi sveglio. Osservo sul viso il germogliare del colore dal pallore. La carezza della natura fisica della realtà è estrazione del brusio dagli alveari. Vigile resto a sfiorare le cose. Come il lenzuolo sfiorava la pelle nel sonno. Il non cosciente è biologia impoetica ma stabilisce che la generale funzionalità persiste. La coscienza non comprende bene. La teoria usa dire di fantasia e pulsione. Cosa può garantire la continuità soggettiva del pensiero durante la dedizione alla comprensione dell’altro nel rapporto? Solo nel sonno la libertà consentita dall’immobilità caratteristica di quella condizione lascia il pensiero fluire per legarsi alla biologia pura fondendo funzione e pulsione.

Nel sonno l’indifferenziato diventa pensiero del tutto privo di finalità detto irrazionale. Se l’indifferenziato non diventa disperazione di una evidente assenza di ‘oggetto’ di certe forme di pensiero lo si deve alla vitalità. Non si sa come, essa ha una sua specificità con la quale ha asservito la tendenza istintiva a annegare nel buio l’io senziente, quando esso viene evocato e minacciato alla fine della gravidanza dalle drastiche variazioni sensoriali del venire alla luce….

Disegnare un albero sullo sfondo di un incendio. Bruciano le macerie di un crollo che era inevitabile. L’albero controluce è quasi nero. Ma la distanza fisica ne evita la combustione. La distanza è la differenza.

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die Nacht


Posted By on Mag 3, 2012

Ora che sto cercando di imparare questa lingua nuova con questa nuova pronuncia è come se nominassi me stesso ancora una volta. L’idea delle cose è la stessa ma il suono è differente e allora le cose sembrano più interessanti. Offrono un lato nuovo prima invisibile. Tradurrò: pensiero, fisica, realtà. Idea, figura, linguaggio. Percezione, comprensione, azione.

Mi devo ricordare che l’infinito ha due limiti sul versante del molto grande e del molto piccolo. Che le misurazioni che si compiono su quei margini comportano errori di rilevanza da accertare. Che i livelli di errore che gli scienziati si concederanno come tollerabili misureranno a loro volta i livelli di confidenza tra ricercatori e metodo.

Differenti scienze, fisica e matematica, arrivate a quei confini di non-finito si differenziano: i matematici sono assai meno generosi con se stessi. Mi devo ricordare che la locuzione ‘livello di confidenza’ è assai vantaggiosa da adoperare per valutare la relazione tra esattezza dei risultati e autostima. Tra metodo di valutazione e confidenza con il metodo operativo della scienza.

Mentre sto cercando di esprimere le figure della percezione e le idee degli affetti in suoni del tutto nuovi da quelli usati fino ad ora, forse anche io esploro difficoltà di misurare le cose difficili, non percepite, mai viste e mai acquisite del tutto. Cose della mente che possono avere suoni diversi. Parole nuove per rendere conto del proprio grado di confidenza con quanto non ha un oggetto esterno di riferimento.

Pensiero, fisica, realtà. Idea, figura, linguaggio. Percezione, comprensione, azione.

Ma ho studiato un poca di fisica e di storia della matematica. Ho ascoltato la fiaba: la parabola, che per i greci era la sezione longitudinale di un cono, poi è diventata l’equazione Y=X al quadrato. Dicono che questo pensiero non ha una figura corrispondente. Ascoltando le conferenze dei matematici mi sono detto: l’intuizione non è un evento visuale.

L’intuizione ha a che fare con la possibilità di essere di certe cose a certe condizioni. La parabola, sezione longitudinale di un cono, corrisponde ad una realtà esterna. La funzione Y=X al quadrato è una condizione di possibilità data una precisa relazione. L’intuizione ha alterato la percezione. Posso avere l’equazione senza avere più alcuna realtà esterna.

I matematici e i fisici, per quanto assolutamente protesi verso un avvento di limpidezza, si sono imbattuti (nel ventesimo secolo, precisamente) in condizioni di incertezza a proposito della individuazione di alcune caratteristiche della materia, e nella certezza che intuire non era legato all’attività della percezione specificamente visiva, ma alla attività ideativa in generale.

Y uguale a X al quadrato è una equazione e non è qualcosa che si sia mai vista. E’ una immagine che si crea nella mente dei matematici, senza la percezione. Fisici e matematici hanno affrontato l’universo senza scandalizzarsi che esso perdesse via via un provvidenziale centro e, semmai, tenendo conto che era l’infinito che li riguardava.

E che li riguardava proprio dove, appunto, non era più possibile eseguire misure di esattezza. Agli estremi, quella dimensione di non finito, assumeva davvero il senso della propria definizione: al confine con il molto piccolo e verso l’infinitamente grande. Hanno misurato cercando quelli che chiamano i livelli di confidenza con i risultati delle loro misure.

La confidenza che possono concedere agli scarti  delle misurazioni è il livello di inesattezza che possono permettersi. Poi si chiedono se gli scarti nel misurare i margini del mondo siano una qualità della materia o l’inevitabile erroneità del proprio metodoImmaginare e capire sono ormai cose differenti da quando è divenuto impossibile tracciare una ‘immagine quantistica’ delle particelle.

Immagine quantistica. Non so come sia che lego quella serie di problematiche alle affermazioni sulle infinite proposizioni psicologiche a proposito della condizione della realtà psichica. Essa non coincide  con una figura esatta, non sta dopo una liberazione. La presentazione del fenomeno psichico, la realtà non materiale del pensiero, ha natura fisica e margini a confidenza variabile.

Non è esclusione di tutto, gloriosa liberazione del segno dal contesto. Fluttua, pretendente ad un  proprio diritto, funzione logico-grammaticale ad esistere. Una equazione. Idea di qualcosa mai vista. Identità (guarigione?) non più trionfo del guerriero imponente. Solo prevalenza del rapporto e ricerca costante delle leggi variabili della relazione.

Le discrepanze, rilevate nella ricerca tra livelli di confidenza propri di differenti scuole di pensiero antropologico, sono l’inevitabile incompletezza e incorreggibilità dei nostri limiti conoscitivi, o la crisi della conoscenza attuale che fondano la necessità di una antropologia differente ed una ricerca ulteriore?

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le macerie delle onde oceaniche


Posted By on Lug 11, 2011

le macerie delle onde oceaniche

Musica di clarinetti atlantici prima di doppiare il promontorio. Cerco un al di qua, un paesaggio praticato. La nave deve avere il parapetto del ponte di prua stabile, vernice azzurra sul manufatto di acciaio che sarà opportunamente assicurato al tek del piano con dadi e bulloni grandi e squadrati: torniti e affilati da specialisti. So che tutto questo è possibile e cerco sul mare delle scoperte. Si arriva dovunque scendendo da Gibilterra. La discesa per i giardini a piani successivi ampiamente arcuati attorno all’asse della terra fa perdere la testa e l’orientamento e porta all’Africa o all’America del sud. Per me resta d’essere un narratore del rientro in me stesso, una specie di raccoglitore di alghe -al margine tra la tempesta del disordine malato e la quiete delle guarigioni. Io rimango a lungo tra le grida dei trichechi, tra onde dai colori acidi e lucidi a tracciare la mappa linguistica delle spiagge di marea. Metodo: prima lasciare che sia completata l’evaporazione delle acque, la sublimazione dell’arca pietrosa sulla vetta, il consentire programmatico, la pigrizia chimica, i cristalli di sale, i miracoli ottici del bianco assoluto, il bianco assoluto. La musica delle coste dell’Europa mediterranea mantiene una sua composta aristocrazia. Oltre Gibilterra -se si sale – altro che Caraibi !! si va al grigio piombo pragmatico. La musica delle coste atlantiche d’Europa e d’America fa il pensiero vasto e auspicabile. La musica della traversata svolge il rammendo tra realtà e materia: la fisica dell’affetto così ben evocata dai jazzisti allampanati, dagli sguardi sulle onde, dal ponte di prua con il parapetto azzurro, dalle lenzuola di cotone grezzo con i disegni all’inchiostro di china. Il pensiero del suono di improvvisazione compone nuvole alte: poi, regolarmente, viene giù il cielo e ci troviamo fradici, seduti nei bar di fronte al tè con l’uvetta nei bicchieri piccoli arroventati di vapore con la menta, in genere un manico di metallo attorno al vetro trasparente. La cultura araba diffonde la luce dovunque: avendo sviluppato la grazia della scimitarra affilata curva sghemba dal taglio ineccepibile, un’ arma – voglio dire – con la forma del sorriso che posso fantasticare anticipazione squillante della musica lirica e  dei fiati rivoluzionari mozartiani. Percorrere le coste occidentali  dell’America del nord, traverso l’atlantico verso occidente trovo le coste del mare del nord d’ Europa, scendo al mare di verde smeraldo portoghese dopo il mare del colore delle ali di aeroplano del Regno Unito, poi cado addosso al colore verticale dell’Atlantico francese. Le coste mediterranee di Spagna e dell’Africa invece hanno il colore dei soffitti degli attici di Parigi, Madrid, Malta: per via che l’Europa mediterranea è quasi per intero una Facoltà Universitaria per la formazione di arredatori, architetti di urbanistica, clarinettisti, sarti di tendaggi per terrazze e padiglioni delle feste, e arredatori di piatti di molluschi crudi per la cena delle otto e mezzo- subito prima del teatro all’aperto-. Se ho pensato che fosse irredimibile la scimitarra, penso subito ad estendere quella qualità a quanto si associa, nel pensiero, all’arma curva, al sorriso tagliente e al tuo sapiente profilo: irredimibili, dunque, la cicatrice che origina dal taglio del filo sottile, l’origine delle cose nel tempo che trascorre, la fondazione esplosiva del tempo medesimo, le lame d’aria attorno al profilo di noi ad aspettare un bicchiere di vino. Il silenzio alla fine dei drammi di Ibsen – da questa parte del mondo – è anch’esso senza tregua e senza redenzione. Questo pensiero accentua l’eleganza algida dell’imperdonabile, la grazia ferrea del grigio dell’atlantico nel suo centro più lontano dalle coste. La non redimibilità – di fatto – dà alle cose un tocco di definitiva perfezione, le tinge con un carboncino assai grasso, con tracce di impronte, con rintocchi di materia colorata, le invita a tornare al di qua della curva eleganza delle incisioni dei chirurghi, al di qua dell’omicidio, sul filo del bisturi e della cannula per il salasso. Sul mare si dispongono portentose porte di pietra e cristallo per segnalare le soglie dell’impetuosa sospensione delle vite dei musicisti, costituite da inarrestabili onde di indecisione. Mentre i tamburi proiettano addosso alle mura delle città di costa il rombo d’aria delle pelli tirate, io disegno, nella grafia della lingua italiana, le tracce di una attitudine alla comprensione non cospiratoria.  Mi immagino che essa sia, con la stessa fantasiosa complessità ingenua del Castello errante di Howl, l’impressionante realtà di una psicologia sottile ed abile dei terapeuti. Sarebbe, se esistesse -ma questo si deve ancora acquisire- un costituente indispensabile della mentalità più genericamente medica, per studiare ulteriori vie di accesso ai segreti della materia, per scoprire le non ancora note e forse ancora impensabili condizioni fisiche della degenerazione e della guarigione. Mentre scrivo suona nelle orecchie il Clarinetto Atlantico e poi il Quartetto dei Clarinetti, la cui suadente persuasiva dissonanza mi colpisce con l’idea di essere in presenza dell’ultimo dei soldati che erano andati alla guerra, ora guarito e abbracciato al fratello ritrovato in questa musica.

Stanotte, nella festa, la musica non è che le giubilanti macerie delle onde oceaniche. È questo che anche noi siamo.

(il cartoon cui fa riferimento la figura dell’articolo: qui)

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salsa di mare


Posted By on Apr 8, 2011

salsa di mare

C’è una intelligenza che non c’è alla base della nostra attuale disperazione. Disperiamo continuamente che si possa trovare fuori di noi quello che è in noi ben chiaro. Ognuno di noi trova esaudimento nella sicurezza che a nulla serve se non c’è la nostra immagine nei tuoi occhi. Se non c’è sulle tue labbra il ghiotto sapore di noi. Ci provoca difficoltà sostenibili non essere nei tuoi occhi e nel fuoco incrociato dei tuoi stereoscopici interessi d’amore.

Guardarti senza più l’amore di un tempo: cose che succedono. Prelibate amarezze di questa discussione a proposito delle reciproche frontiere per decidere fin dove puoi spingerti nei nostri confronti. Esitiamo con magnificente condiscendenza come poveri che conoscono le necessità e ne traggono argomenti. Affrontiamo l’assenza e la prosecuzione del digiuno con la dignità della poesia.

In cuor nostro siamo certi che tu abbia da sempre e da subito voluto fallire e non amarci. Fallire attraverso una decisione di ragione che ha influenzato i sentimenti. C’è un difetto di sentimento nella ragione più precisamente si può affermare che la ragione è deficit d’affetto. Queste affermazioni sono il digiuno di oggi al sapore di spezie sul pesce affumicato e di pepe sulle carni tolte dall’acqua corrente.

Abbiamo amore in salsa di mare e tu non potrai più prenderci per fame.

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