il tallone (il difetto) di Achille


“Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere (….)”
U.Foscolo – Sonetti.

Così eccoci per quello che siamo. Non programmare niente come al solito. Lo stesso tavolo del ristorante di paese. Sospensione della ricerca. Stavolta però. Tre pareti fanno pensare una stanza. Questa stanza che vola perché il niente lento è ospite. Scambio di occhiate. I profumi sono differenti. Il pavimento vibra in maniera preoccupante al passaggio della coppia appena entrata. Lui le dice.

Si deve stabilire la vicenda del parto. La fine della gravidanza è la rottura delle acque. Il feto entra nel canale vaginale. La pressione non è un trauma. La luce neanche è un trauma. È una attivazione. È una attivazione più che una stimolazione sensoriale. Nel canale del parto l’omeostasi amniotica si perde. Si trasforma in traccia mnesica. Non è e non sarà mai ‘ricordo’. È attività funzionale. La quiete inerme ed informe (intra uterina) nel canale vaginale diventa ‘vitalità’. Il feto non c’è più. Alla stimolazione retinica l’onda tellurica neuronale si muove. Trova l’argine diffuso della traccia. Si erige la linea di separazione. È l’io della nascita. Il bambino comprende l’esterno inanimato di natura differente da sé. La chiusura degli occhi è rifiuto. Non un semplice riflesso.

Io ti racconto, di rimando. I passi dell’essere umano attorno al suo cuore. I passi di un’altro essere umano circondano il suo cuore. I passi sono immediatamente importanti. Io ne fui assediato. O abbracciato. Tu ed io e tutti fummo circondati dal galoppo dei cori. Carovane. Assedianti. Vite assorte tra nuvole di migranti. Avvolte da processioni segrete. Da fruscii nomadi. Amati, assediati, investiti, travolti e spinti. Senza tregua. L’arrivo a sera. Il sonno la notte e il riposo delle peregrinazioni sono tutt’uno. E in questo assedio circolare tuttavia ricreammo uno spazio circoscritto. Palazzi di stanze. Città di palazzi. Stanze al cielo. Monti sorgenti dall’acqua. Grattacieli newyorkesi come moderni amori. Costruimmo edifici sentimentali. Nel nostro cuore. Dal nostro cuore aperto nacquero le città. Ma sempre solo tre furono le pareti che potemmo vedere. Di più non ne vedemmo mai. Ereditammo la vista frontale. Migrazione degli occhi. Una parete sarebbe restata per sempre alle nostre spalle. Il passato invisibile. Imparammo a ricordare.

Il pavimento vibra in modo nuovo. La coppia di amanti torna da fuori. Lui riafferma dobbiamo studiare come si determina il passaggio. Da carica libidica del feto senza un io. A vitalità del bambino che non necessita più delle pareti uterine. Non si avrà ricordo del parto. Nessuna traccia di trauma. La pressione vaginale si lega alla pelle che ora si disegna nella struttura cerebrale. La pelle si è impressa durante la gravidanza. Abitudine a superfici vibranti. Forse la carica libidica originaria in sé è pura sensibilità animale generica. Quella dei cani e dei furetti, dei lupi, delle antenne, delle fibre sottili volte in fuori. Ma tanto nell’utero non è mai necessario distinguere interno ed esterno. Per via della prigionia. Però fuori dall’utero… Senza l’io la nascita sarebbe defusione o implosione. L’esterno che fa implodere l’interno senza difese. L’esterno che si imprime in forma di natura.

I passi degli amanti si arrestano. La tovaglia bianca accoglie le mani profumate. Lui la guarda.

Io a te. Fummo privati di ogni riparo. Andare avanti scava il buio alle spalle. Dmmi tu.

Al tavolo vicino lui si ferma ai suoi sguardi. Il sé è dopo l’io. L’es forse è quella sensibilità dei gatti dei pipistrelli delle fibrille mucose. Dei cani innamorati eternamente di noi. Inerti e amorfi i loro pensieri che non crescono più. Ma tu ed io siamo incontentabili. Perché?

Il pavimento vibra di nuovo in maniera ancora differente. Le costruzioni hanno una resistenza. L’io ha la certezza che provvede alle variazioni. L’io sostiene la sensibilità. L’io della nascita non è cosciente. Lei versa il vino nei bicchieri. Lui guarda alle proprie spalle. Non vuole sorprese. Ha ricordato una aggressione. Dietro sta il passato. Negli occhi di lei si riflette la luce della finestra. Lui si rassegna al rischio.

Io a te. La bellezza di Venere è invulnerabile poiché essa nasce dall’acqua senza intervento umano. È la natura che dà la nascita. Non la madre. Neppure alcun altro intervento umano. Lo sforzo di Teti di conferire invulnerabilità ad Achille immergendolo nelle acque dello Stige fallisce miseramente. Proprio la sua mano, nel deflorare l’integrità dell’io, determina la discontinuità della superficie corporea. Il difetto.

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