infinito e finito


memoria dell’acqua


Posted By on Lug 6, 2014

copyright: Sandro Penna

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Meloterapia del tarantismo è quando il filo musicale traversa la natura fisica della realtà psichica che si è diffusa sul corpo di donne affette dal morso della tarantola. L’infinito del cielo musicale attraversa senza sosta il finito delle donne abbacinate come pietre. In certe culture pietra e donna sono lavanderia di sassi sul fiume e mani in acqua. Infinito simbolico il movimento dei corpi è il mutismo sociale. Ammutolite sono annullate. Dunque i corpi sempre affannati dal lavoro ripetuto sono pura finitezza. La melodia e il ritmo ripetutamente le traversano ogni giorno. La tarantola che le ‘morde’ interrompe ‘qualcosa’ di eterno che loro non volevano e volevano che fosse spazzato via. Si ammalano come morse nuovamente. Prede del secondo morso. Il ri-morso aggredisce il pensiero ed esse si bloccano. Allora scatta la terapia della musica. Violino, cembali, voce. Che esalta quella melodia? Si mettono in agitazione e in frenesia. La vitalità viene stanata dalle gallerie delle articolazioni durante la possessione terapeutica? Domande: perché poco si sa della vitalità: essa è una funzione di superficie che non ha un apparato percettivo specifico globale, non ha un area tutta ‘sua’ propria. Se non il sentire della pelle e il rovesciarsi di essa in ‘mente’.

Il senso della indivisibilità, dell’interezza, dell’inviolabilità e dell’inaccessibilità sono idee che corrispondono ad una funzione sensoriale globale che non sembra avere un apparato dedicato a meno che il pensiero stesso non venga compreso esso stesso come area anatomica e funzione. La natura fisica della realtà psichica fa della anatomia cerebrale una ‘attività’. In tal caso l’integrità è misura dell’intensità. Vale di più, diciamo.

E si parla. Avvolgendo. Scegliendo parole adatte a cucire vestiti e vesti. E anche dovremmo poter sognare. Che per esempio eravamo…. “Avvolti d’aria stellata, infreddoliti, disincantati ogni mattina”. Il sogno, interpreterei, è la fisiologia variabile.

E i farmaci -così necessari talvolta in questa società distratta disincantata e infreddolita a proposito della ricerca psichica- i farmaci servono? Oh certo! Però non sembrano risolvere. Non guariscono irreversibilmente. Forse è che …. il farmaco agisce dentro i meccanismi dei mediatori ma non trova e dunque non investe neanche minimamente la vitalità. Agisce dall’interno e (ma) non tocca la pelle. Non altera la pressione come il suono nel canale auditivo esterno. Né come il tatto sull’epidermide. Non segue la via del rapporto che va dal mondo all’uomo. Soprattutto non ha il meccanismo eccitante che risveglia le funzioni, non fa come la musica alle tarantolate, non fa come quando l’infinito traversa il finito. Il farmaco non comincia da dove dovrebbe cominciare. Non attiva la funzione del primo istante. E non fa nascere il ‘bambino’ del quale tuttavia regola la meccanica cardiovascolare e respiratoria neutralizzando la risposta variabile alle emozioni. Il malato resta sospeso. Si chiede se guarirà più da quel quieto respirare. O quanto a lungo resterà a ricordare l’eco del vento tra le foglie che in quell’universo verde non ha nome e direzione. Non sappiamo ancora come riattivare la stimolazione della luce sulla retina del primo istante di vita. Non sappiamo svegliare sulla pelle l’onda delle spinte lungo il canale del parto, quando la carica libidica originaria si pacifica in funzione caratteristica che potremmo chiamare: la memoria dell’acqua.

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