io sono


io sono


Posted By on Ott 8, 2012

Un articolo per ogni chiglia di bastimento. Per ogni profilo di vela. Un articolo differente tutte le volte che è per via della fisica della materia cerebrale che varia la vita mentale come capita al vento. La morfologia della navigazione a motore non consentirebbe di capire. Ci si fissa su certe parole che decliniamo ripetutamente come un’ossessione malata ma non corrisponde proprio precisa a nessuna patologia nota. Si insiste a guardare e cercare in una certa direzione. A trovare: o almeno ci pare di trovare.

L’illusione riguarda un errore della coscienza. Un errore delle previsione per una scarsa conoscenza delle condizioni iniziali. Ci sono azioni profonde della biologia, sono atti multipli sottostanti e corrispondenti alla esecuzione di funzioni. Profonda è la fisiologia, diffusa in un mondo di particelle invisibili oggetto di speculazioni dal quinto secolo avanti Cristo. Si immagina la base molecolare atomica, la fisica generale del comportamento biologico. Si crea un universo tenuto insieme da leggi che corrisponderebbero alle forze che attraggono tra loro le cose: è la meccanica di Galileo e Newton. E si può speculare che la meccanica sia una metafora della razionalità del pensiero, della metafisica come sistema implicito e innato. Metafisica dunque come una prima idea di una qualche funzione alla base della correttezza delle immagini del mondo. L’inizio del ‘900 -qualcuno immaginando – correva a cavallo di onde luminose. Ci portiamo parecchio accanto all’amore per la verità probabile. Siamo filosofi interrotti. Come Democrito che dei suoi atomi aveva solo potuto dire. Era un’idea, no? Un pensiero che “…forse, magari, alla base deve esserci una unità, per poterci riposare.” Ora dico: alla fine ci saranno braccia aperte. L’amore, ecco la parola.

Ma prima: la biblioteca di Babele. Borges e l’immaginabile universo di opposti non escludentisi. Allora se tutto può essere già scritto, se di nulla c’è davvero utilità poiché nei tomi senza numero c’è una distesa non configurabile, noi siamo illusoriamente dotati di estensione poiché il passato eccolo di fronte. L’esaudimento è alle nostre spalle, nel nostro passato, ed ha strutturata la nostra vita fino a qui: ora possiamo andare incontro alla vicenda della promessa. Le tue braccia all’origine: un po’ donna un po’ madre, testimone dell’io non cosciente della mia nascita, delle mie parole sconclusionate nell’orgasmo, dei gemiti durante il sonno.

Deve esserci una singolarità, una discrezione dignitosa. Poi sia quel che sia. Però, perché porla all’inizio? E se fosse solo quando si è in grado di immaginare possibile una concessione d’amore? Adesso è possibile pensare coscientemente all’ Io non cosciente della nascita e alla maternità e paternità come testimonianze di esistenza non solo materiale. Allora poi supponiamo, immaginiamo, giorni tutti uguali, carezze identiche, identici pianti di fame sovrapponibili, sovrapponibili sorrisi di riconoscimenti (“ah! siete voi!”). Immaginiamo la ripetizione quotidiana, la civiltà evoluta delle braccia sicure e dunque la donna e l’uomo e il bambino che, cullato, vede ripetersi lo spazio con tanta sicurezza che scopre la gioia del non finito, la carezza tiepida dell’assenza di correnti. Immaginiamo, supponiamlo, in un esperimento di pensieri che allora, dentro uno spazio tanto sicuro quanto infinito, senza certi confini per via della certezza della sua costituzione di braccia e lenzuola, il movimento del pensiero, la funzione fisica della biologia, le profonde azioni della funzione mentale,  in tanta innumerevole, non misurabile felicità di profumi e delicatezze, di forza muscolare e di potenza vocale (nella migliore delle ipotesi, ovviamente)  diventano ‘tempo’. Cioè salvaguardia del pensiero di uno scorrere della biologia, di una affermazione di sé, di capacità di realizzare una dimensione che potremo anche pensare come Io della nascita. Esistenza nella certezza della fisica della protezione, dell’amore di cure e preoccupazioni al nostro posto, di calore e frescura, a seconda. Amore per noi di cose belle e nostro pensare per noi, pensare temporale, orologio atomico della funzione mentale. Una certa continuità subito lievemente oppositiva.

“Io sono”.

D’altra parte, poi: il presente nella coscienza non è storia. La storia è dopo, il lusso fragile ma arrogante di scoprire quanto non era stato cosciente mentre accadeva. Il presente in effetti è solo immaginabile: essere presenti è per consegnarci al dopo, quando finalmente sapremo. Ma potremo soltanto dare una versione di questo presente. L’io non cosciente della nascita ci accompagna eternamente. La funzione superiore della coscienza è sempre successiva. Dunque quel tempo cui la sicurezza della realtà materiale ci assegna, qull’ io non cosciente della nascita è davvero funzione inderogabile. Come sia che tale funzione è stata consegnata alla disgregazione da certe teorie antropologiche e psicoanalitiche è un fenomeno ancora da chiarire.

Per una libera associazione, ora, viene alla mente il pensiero potente di Parmenide, (a proposito della tempra indistruttibile dei costituenti la natura delle cose, anche delle cose animate) resta fuori dalla grazia. Che è imperdonabile. Gli atomi di Democrito, e l’atto di immaginazione cui bisognerà ricondurne la genesi, non si potranno perdonare. La sopravvivenza dell’immagine della fisica atomica -già contemporanea appena originatasi nel quinto secolo avanti Cristo- dice che la natura fisica del pensiero è composta di innumerevoli gesti di auspicio di conoscenza.

Poi l’amore. Ho ascoltato un maestro del cinema lasciar correre la frase che “… l’amore non è cieco anzi consente di vedere meglio..” Ed ho pensato che mentiva. L’amore, per la spinta emergente che deriva dalle azioni mobili nelle profondità dei tessuti neuronali, sembra per una volta conferirci una specie di percezione dei fenomeni fisici della materia e renderci ‘coscienti’ del presente. “Ti amo” allora vuol proclamare con il volto disteso “Finalmente so chi sono e, nel disinteressarmi dal mondo per amor tuo, sono onesto“. Sorridendo ebeti pensiamo che questo amore è riposo, e che finalmente il presente, seppure non ci appartiene, almeno ci è noto.

In quanto alla cecità dovremmo parlare solo di illusorietà dei sistemi di conoscenza. Della difficoltà di passare successivamente da una misura all’altra con una certa sicurezza. Dovremmo parlare di onestà della scienza. La scienza amorevole dice che l’accordo è probabile. Noi possiamo pensare allora che gli abbracci riducono le distanze dalle quali siamo separati per via della specificità delle identità. La scienza dice che possiamo immaginare di stare a cavalcioni della staccionata alla fine dell’universo… a guardare il vuoto. E che dunque questo vuoto, di fronte a noi, non è il nulla. Allora pensiamo che possiamo immaginare il nulla con passione e nominarlo “nulla” e, evocandolo, giocare. Dovessimo non esserne più capaci, allora faremmo il nulla: allora cioè la realtà fisica del pensiero che non ha una massa, diventa irrealtà (non la bella e sana capacità di astrazione). La caratteristica di assolutezza dell’irrealtà lede l’io non cosciente che ha la certezza del legame del pensiero con la biologia. Persa quella certezza, quella funzione, è possibile una crisi della conoscenza: una crisi del rapporto con la realtà. Disorientamento temporale e spaziale derivano dalla lesione della continuità dell’io non cosciente che fisiologicamente deve restare eternamente attivo. Tolta la sonorità alla nostra voce essa rimane monotona fino a che non torna la guarigione. La frase stagnante corrispondente alla crisi è:

“Io non sono”

La fisiologia del pensiero è l’azione costante dell’io non cosciente, che è prevalente durante il primo anno di vita ed esclusivo del sonno per il resto della vita (quando non compare più all’espressione della vista e del pensiero adulto, perché la funzione superiore della coscienza lo protegge mentre svolgiamo atti necessari). La bellezza, l’arte, l’allusione delicata o allegra o aspra nell’amicizia e negli scontri politici culturali sociali e le ribellioni e gli atti dittatoriali, il disamore che non si evita e non si riesce a velare, l’imbarazzo, il rossore, la mutazione autunnale degli occhi con foglie brune e la primavera nella pelle dorata delle guance e l’inverno/neve sulle scarpe alte nere ai piedi forti e infine l’attrazione per il sole che resta nascosto agli occhi come un’utopia. E infine, sempre: l’attrazione per ‘lui’ solo/’lei’ sola che restano nascosti agli occhi come utopie. Tutto quanto scritto e più, e tutto davvero tutto, sono non finite fonti di resa possibile ad un sospetto: strade alla modestia. Via della Resistenza. Ricordi? Disegnammo un vecchio pullman con la matita scura. Eravamo ancora tutti accanto: prima delle partenze e delle nascite che hanno moltiplicato distanze e amori e fatto di noi persone migliori per via della pazienza. Una pazienza che è a turno tra le nostre braccia: la difficoltà non è il peso. È imparare, della pazienza, la distribuzione lungo la postura verticale. Si sa che si nasce con il vizio delle pretese. Cammina, ripeti la strada. Io, devi vedere bene me, vedere come io sia una chitarra al vento. Immaginare che sia possibile che io suoni in silenzio piangendo appena. Non diventare piena di disprezzo per il tempo che non ha natura di una cosa materiale. Nell’immagine il tempo è il tuo latte bianco. Io ascolto il tuo respiro paziente mentre mi concedi la vita materiale. Questo tempo sarà la matrice del suono della mia voce che si aggiungerà alla gioia della prima immagine. Sarà l’avvento della coscienza, che alla fine del nostro amore, dirà le parole nuove che guariranno la crisi:

“Noi siamo”.

 

 

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