là dov’era il mare


Cara Lalla ti rispondo. Trovo nella tua onestà i segni dell’arte. Certo artista non sei diventata. Ma il coraggio è rimasto. Così oggi ho una appassionata interprete dei miei ‘disegni’. Hai colto che uno a volte non può far altro che fare senza sapere la direzione. Ora dopo anni risulta un movimento ascensionale. Si rischia il misticismo lungo la via dei santi nel discorso che riguarda la realtà del pensiero. In più si fa presto nella mia professione a sentirsi ‘chiamati’. Ma si è spinti, penso io. Spinti, a partire da vicende comuni (i legami originari) a riflettere sulle vicende comuni (i legami quotidiani). È un lavoro quasi impossibile e senza fine. La fine è solo nella storia personale di ognuno. Interruzione sospensione riposo malavoglia rifiuto stanchezza intima conclusione. Ma la cosa in sé non si arresta. Così adesso ti dico -giocando con le parole di fisica e di relazione- mi pare di stare cercando un disegno che esprima una realtà impossibile: l’esistenza di una attrazione evidente senza le conseguenze finali della gravità.

Poi, forse non rispondo più è sviluppo una mia aspra volontà non innocente. Dico qualcosa di cosciente. Tengo sospesi frammenti di linee che non ho mai contati uno per uno. Ho voluto impormi di non contare nulla neanche per me stesso. Non ho più voluto dare nomi e definizioni. Ho interlocutori noiosi nella mente sciami di vespe feroci che rilego insieme in atteggiamenti di persone numerose senza volto -fortunatamente- che sviluppano una azione antistorica di sindacalismo culturale. Cerco di dire che la dittatura dell’essere ‘poco’ è una immodestia e un’arroganza ed è troppo. Appunto è dittatura delle peggiori. E che ci sono dittature migliori è una cosa da accettare. A partire non da altre forme di democrazia ma da forme di nuove dittature sogno una socialità differente. Sogno secoli avvenire di imposizione al silenzio.

Guardavi il mare è accaduto e i riflessi di frammenti di luce sulle onde hai visto bene che non si potevano contare e poi colmarono di crema chantilly il cuore e la mente. L’arte deve fare capolavori di fronte ai quali siano possibili secoli di silenzio. Penso generazioni mute come quelle onde di sale e luce. Mi addormento in questo modo tra greggi in successione: lucciole di salgemma. “Là dove era il mare, là dove era il mare, là dov’era il mare…” Ripeto aumentando lo scivolamento tra consonanti e vocali. Ripeto senza memoria, perdendo progressivamente la memoria consapevole del senso, parole che alla fine sono suoni e di memoria non hanno più necessità. Sono alla fine generazioni silenziose e universi senza causa. La perdita del dio causale, del principio che ci sarebbe una necessità di un principio, consente l’irresponsabilità: la forza inerte della chimica che inghiotte il prima. Dissipando ogni forma oramai inutile di sé (di me) l’induzione al sonno esprime la biologia di una funzione del pensiero che è immaginare la possibilità di dormire come abolizione del controllo. Questa capacità di immaginarsi non coscienti conclude tutto in una entropia paradossale che da una parte è assenza totale di movimento e dall’altra dissipazione della catasta di legna di tutte le ragioni della nostra vita vigile.

Disegno la terra e accendo il fuoco e chissà, penso, nel fuoco del sonno forse sta la ‘matrice’ dell’origine materiale del pensiero. Le figure si frammentano nei loro elementi costitutivi. Non sanno che salire nello spazio libero sopra di loro. Per adesso, in prima istanza, per quel che se ne sa, il sonno realizza il ripristino energetico delle attività neuronali del sistema nervoso centrale. Forse è questo concetto di riposo che disegno in silenzio perché sono poche le cose che si possono dire sul destino della coscienza per le ore lunghe della notte.

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