la vita per esempio


gramsciantonio


Posted By on Ott 31, 2017

Così ho preso lo show nelle mie mani e l’ho offerto sulla linea immaginaria tra terra e cielo, e ora lo spettacolo riposa, io ben piantato sulla riva le braccia tese, in uno scintillìo che ho messo in scena sulle mie proprie palme.

Con le mani protese ho costruito un’arena di seta per lasciarla risuonare di pietra dentro la grande pentola di stanotte grondante di umidità salmastra. Tu, io, io, tu e le promesse assenti. Noi: un modo speciale per dire ‘tempo’ e ‘durata’. Noi non siamo tempo promesso, siamo l’inarrestabile arco che si unisce al sogno che, ricordato, è poi pensiero irrefutabile.

La finestra è piena di rami mossi e nuvole in fiume. Il letto un bassorilievo di corpi confidenti. Il pensiero è composto sempre di questo tipo di amorevoli disaccordi. Il tempo è continuamente generato differente. Nella sua irrevocabilità è necessario. Noi questo tempo soggettivo siamo. Imprevedibilmente inattuali, pieni di pensieri sempre appena conclusi.

Temo innegabilmente di perderti. Questa preoccupazione spazza la tundra della creazione. I miei timori polverizzano l’eternità.

Pensiero siamo nottetempo che entra da una parte della sera per uscire dall’altra parte la mattina seguente. Una fragorosa cascata siamo attraverso le crepe della frattura che progredisce nella parete di cemento della diga.

Scrisse Gramsci rovinato fisicamente dalla reclusione e dalla malattia, in una delle sue ultime lettere:

Non mi demoralizzo: sarebbe come accettare che l’uomo non può nulla e che la storia è stata scritta una volta per tutte.

Calligrafia / di una frase / di uno schema acustico / di un pensiero / di un’intelligenza.

L’azione del pensiero umano che ‘non si demoralizza’ per la distruzione della vita biologica scopre e denuncia  l’azione distruttiva della filosofia nichilista su un pensiero diverso.

Nel pentolone umido alte le palme sul mare la frase di Gramsci sale sempre più in altro faticando senza sparire mai.

Il gabbiano è un disegno sulla carta di quaderno sul piano di legno sul pavimento di una cella di un carcere di ottanta anni fa che non sono passati ancora e stanno alle propaggini del piano della nostra attuale vicenda umana.

 

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i soldi buoni


Posted By on Giu 18, 2017

“gabbiano meccanico”

Potrei sparare al nemico. In certe condizioni. Il proiettile si sfarinerebbe. Non uccidendo nessuno. Ma chi è il nemico si sospetta: è me, un aspetto inaspettato di me. Un io irriconoscibile. Il figlio dimenticato. Il ragazzino bastardo alla porta della mia capannuccia di canne e fango. Non siamo uno invariabile. Mi devo guardare dall’illusione d’essere arrivato. Così fondo una modesta etica personale. Transitoria ma necessaria come un fazzoletto candido di lino per il sudore sulla fronte al colmo delle scale. Mi costringo. Ogni giorno metto in tasca solo quei soldi che mi paiono guadagnati bene. Evito di prendere dalle mani delle persone danaro compromettente. Questo modo è anche un ‘non uccidere’. Come le parole che sfarinano in suono e tingono di toni colorati l’aria. Dicono che non si comprende cosa io intenda dire. Io non intendo dire, infatti. Non ho la pretesa. Ho il tempo e, talvolta, un di più di pensare. Tolti i giudici dattorno il pensare fluisce e inonda i campi di grano quasi maturo che attraverso in giorni così. La prima parte. Prima del lavoro. Che precede la notte buona o cattiva a seconda del tono dei sorrisi.

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Sul numero attualmente in edicola di LE SCIENZE  l’articolo “La nostra mente inconscia”. Finalmente una certa chiarezza. Gli studiosi americani hanno definitivamente concluso che le troppe parole di Freud sull’inconscio non hanno nessuna conferma scientifica. Essi gentilmente ma decisamente escludono ogni legittimità alla retorica letteraria di un inconscio che nella notte riproduce incessantemente le angosciose scenografie edipiche. Infine, e qui si sfiora l’ironia, siccome il cervello è ‘uno’ …. pare questo un ‘argomento’ sufficientemente solido per ipotizzare che anche il pensiero possa essere rappresentato come funzione singolare e intera. E dunque il non cosciente, essendo un processo del pensiero, un modo della attività mentale cerebrale, è anche un processo nel pensiero ed ha continuità e identità di fisiologia inesauribile ininterrotta e ‘inseparabile’ dalle azioni della coscienza. Essendo il pensiero funzione coerente della intera attività cerebrale, non si sono trovate vie sinaptiche preferenziali, né strutture anatomo/funzionali dedicata alle funzioni di coscienza e non cosciente. Senza alcuna reale localizzazione il simbolismo topologico freudiano   (ma non solo freudiano….) sul non cosciente, non si regge e decade: da utopia dell’irrazionale (poco importa se buonissimo o cattivissimo oramai) a funzionalismo atopico. Più che una scienza è un vizio riferirsi al non cosciente come a qualcosa di isolato che sarebbe risolubile e poi slegato da forme di pensiero differenti, con azioni di individuazione certa, una volta per tutte. Di per sé, come attività isolata, specifica ed autonoma, esso semplicemente ‘non è’, insomma isolato non è ‘plausibile’. La scienza ‘gli’ sottrae il tempo. Si potrà aiutare una persona a cambiare, ma non basterà risolvere il problema (a livello*) inconscio. Dovrà diventare agente consapevole della propria cura e poi della vita che viene. Sarà felice della certezza di quanto è accaduto negli anni della psicoterapia. Sarà tutta coscienza ridente, se vogliamo. Ma lasciamo adesso il problema ai cultori della disciplina.

Le sperimentazioni psicologiche citate nell’articolo, provano che siamo costantemente sottoposti alla azione di funzioni cerebrali che ci sfuggono, che non possono essere coscienzializzate diciamo così, in tempo ‘utile’, e che esse agiscono indirizzando ogni nostra ‘decisione’. In relazione a questo dato non ci sono dimostrazioni del primato della coscienza sul non cosciente. Non pare che ci siano strutture anatomiche per portare l’uno all’altra. Si tratta di fisiologia e dunque si tratterebbe, inevitabilmente, di differenza di funzioni della medesima struttura anatomo-biologica svolte contemporaneamente e incessantemente. Dunque l’inconscio esiste, ma …. non è freudiano. L’inconscio e la coscienza confluiscono nella azione del pensiero. Quello che possiamo dire è che, su tali funzioni, da tempo si indaga, nel contesto del rapporto indispensabile alla relazione terapeutica di psicologi e psichiatri. E che ‘transfert’ e ‘contro transfert’ sono i parametri clinici  del rapporto medico-paziente in cui si esercita l’osservazione, la diagnosi e la cura della vita mentale.

Questo tipo di terapia implica l’interesse e l’intervento attraverso i mezzi designati genericamente: interpretazione del latente anche attraverso l’analisi dei sogni, frustrazione/rifiuto dei bisogni, soddisfazione delle esigenze, verbalizzazione delle dinamiche in atto nella relazione e degli aspetti cognitivi favorenti e limitanti il benessere dei soggetti… per realizzare il riconoscimento delle realtà più prossima al vero riguardante il rapporto tra paziente e medico e il variare degli affetti in gioco. La metodica psicoterapeutica ha comunque il compito di rendere possibile lo svolgimento del tempo in forma di passione di una cura non infinita, e quello dell’altra definitiva ed irreversibile passione della ricerca che però, attualmente, pare non finire. Perché sembra che alla ricerca sia deputato di rendere irreversibile e stabile il cambiamento realizzato durante la cura.

Al cospetto delle aperture derivate dalle conferme di funzioni mentali meglio individuate nella loro natura, si spalanca un lavoro imponente. I quaderni in questione su questo blog, adesso, mi appaiono prendere la (in)consistenza di libricini in un mercatino di modernariato che si svolge nei paesi della costa adiacente al mio studio certi giorni del mese. Io allora mi metto a scrivere per informare di quanto studiato, sono come uno che lucida librerie, o si agita come un ragazzino adolescente. Di fatto spolvero i volumi, porto via ogni segno di sporcizia sparsa qua è là a terra dall’andirivieni delle persone. Mi pare che nasca una libertà da ortodossie tanto più rigide quanto più furono ‘basate’ su imprecisioni ed equivoci a proposito della materia dalla quale il pensiero origina.

Pulisco la stanza, perché ho la sensazione che si chiarisca l’orizzonte e il tempo volga davvero in primavera come quando capitano cose nuove. Pulisco e profumo con il deodorante. A volte pare di non essere soli, e che non si sa mai.

(*).. ‘a livello inconscio’ è una formula da prestigiatori: essa in genere viene usata per distrarre il pubblico, prima della azione truffaldina del trucco che inganna la percezione.

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ciò che immediatamente siamo


Posted By on Dic 21, 2012

quello che immediatamente siamo

quello che immediatamente siamo

All’addome sono rimasti muscoli e pelle e l’idea di una bellezza asciutta. I digiuni e la passione amorosa fanno scherzi salutari. La magrezza è insieme bella e lieve da portare. È l’artiglio di te che fa sanguinare la fronte il viso poi giù collo e cuore e addome fino alle anche e sempre più giù verso terra.

La magrezza estirpa la colpa e avvicina alle trasparenze del mattino. Io sono il racconto del mio risveglio e non oltre. Io sono senza alcuna colpa per alcuni istanti un vero innocente. Il pensiero di me non è consapevolezza storica bensì ’insorgenza’ dell’io crepuscolare del sogno e la vita -che chiamo ‘ieri’- è un ‘prima’ ma non una ragionevole causa.

La fame che ci provochiamo nel rifiuto delle cose sbagliate consente la comprensione degli elenchi di cose senza valore prospettico.

“Il mattino, l’aria leggera, il colore della sabbia,la lucentezza dei binari, la gelatina terapeutica del cielo notturno, gli ovali di ambra preistorica, i colori beige e albicocca, l’idea di vita mentale, la libertà del camminare, i decaloghi di promesse che si recitano ad una sconosciuta, l’acqua di mare, il mare intero, il piano del tavolo, la luce che entra alla finestra, la luce che esce dalla finestra, le case sul foglio da disegno, le cose viste dal basso, il crollo dei potenti, i portoni di legno nuovo, le stanze vuote, gli angoli acuti, i grattacieli, le tele di Fontana, la parola ‘dio‘ in lettere minuscole.”

Scelgo secondo intime mie convinzioni che non sono altro che un estetica individuale cioè un modo per illustrare la mia anima. Perché convinzione, qui, è l’accostamento di idee di cose secondo legami transitori tra immagine qualità e suono. Rapidamente scrivo, prima che l’idea successiva di altro ancora – che già si è formata nella mente – si imponga  creando un arco troppo labile di senso tra due parole successive e sciupi la cadenza e il disegno della scrittura.

Se la comprensione è espressione è perché l’immagine non è immediatamente né parola né suono né figura o segno e deve diventarlo. La comprensione è corrispondenza con una variazione: idea che tiene assieme una colonna di proposizioni anatomo/funzionali in un denso ambito di esiti ugualmente probabili.

La dizione che scelgo non è che la cresta probabilistica di un massiccio di molteplici resoconti di quanto capita che io sia (cioè che io pensi). La storia della scelta delle parole nella proposizione che ogni volta mi definisce è casuale.

Non è aleatoria: in genere riesco a dire quello che volevo. Ma i modi per farlo sono infiniti e sfuggenti e ogni volta devo gettarmi in picchiata dalle nuvole per afferrare segno per segno i segmenti necessari alla composizione delle lettere per la creazione delle parole.

Per il respiro il segno è la virgola. La virgola varia gli affetti che donano il timbro e modulano l’enfatizzazione del suono dedicato alle frazioni di senso corrispondenti ai fonemi e ai gruppi di sillabe.

Nel testo mentale ci sono più spazi di quelli che vedi nel foglio. Il testo mentale è la grafia delle variazioni chimico/fisiche che si succedono a formare la condizione psicologica corrispondente alla genesi di unità di senso compiuto che chiamiamo idee.

Può esserci una scrittura senza un linguaggio verbale. Bambini si disegna sui fogli, penso fosse ripetendo con la matita una serie definita di ‘cose’ davanti ai nostri occhi. Può esserci un pensiero pre-verbale. Può esserci dunque un tempo che non forma mai la figura. Un tempo einsteiniano prima di un tempo assoluto. La scoperta della relatività aveva bisogno prima di tutto di una potente capacità di regressione. Vedere profondamente infatti è esclusivamente ideazione.

L’idea non è rivelazione dello spirito oggettivo fuori di noi e del tempo. Le idee, il vedere cioè, sono espressioni di stati della natura fisica del pensiero. La variabilità connessa alla condizione non spirituale della vita mentale è condizione della successione delle idee che creano una proposizione. L’identità (l’io narrante) non è possibile che sia relegata (contenuta) nel mondo della necessità ma delle probabilità. Io in genere non sono esclusivamente -e neanche con significativa rilevanza- ciò che penso di dover essere ma mio malgrado (cioè con una certa sofferenza dato l’attuale riduzionismo razionalistico cui si è rassegnata la cultura), quanto posso essere. Essere è una capacità e non un obbligo.

Amare e ricordare sono perenne ricreazione e non testimonianze contingenti. L’atomo di Democrito si muove nell’universo di Parmenide certamente. Che c’è di meglio che sposarsi alla sposa fedele che è la fedele fissità che condanna l’immoralità del movimento che è  illusorio. Però la sposa fedele è essa una prestigiatrice e una maga illusionistica. E’ illusionistica la filosofia che accusa le altre di illusorietà.

L’universo di Parmenide, che ha la legge che accusa ed esclude tutti coloro che si lasciamo travolgere nel movimento muto del desiderio…. Ha la legge che impedisce di pensare il moto del pensiero che dice: ”il desiderio è un’idea (come un’altra!)“ Esso stesso -nella sua pretesa immutabilità e quindi a causa della fissità che gli si impone- non ha ‘misura’. E questa impotenza di misura che non consola (il che andrebbe benissimo) purtroppo, haime! neppure delimita: e questo non va affatto bene: poiché fuggire nella noncuranza di una delimitazione, attraverso la trovata di porre un assoluto, è una troppo facile scorciatoia argomentativa, una sciatteria formale, e una sguaiataggine metafisica.

“Ed eccoci 

 Noi

Ancora

 ‘Misura di tutte le cose’. 

Siamo”. 

 

Nell’umanesimo verosimile -architetti di multiformi ed improbabili grattacieli e di macchine per abbracci incerti- si sa esser felici del ‘niente’ che è il ‘niente’ della rapidità della pelle sulla quale le mani -ma anche l’aria e l’acqua- disegnano senza posa. Il niente che non è il nulla che sarebbe senza misura, ma è soltanto smisuratamente inquietante, ed ha l’inquietudine della rivoluzione e delle stragi e del sangue sulle rose, della poetica della storia: il niente che ha per unità di misura l’altro niente della casualità di noi, di te al mio cospetto e alla fine ha il niente della comprensione immediata di una trovata geniale.

Tu mi ami, dato che hai pietà della mia intelligenza. Se fosse più che pietà mi avresti già abbracciato e preso e trascurato. Sarei già una tua spoglia e non ancora sempre il tuo sogno. Ci sarebbe la conoscenza, nel gettarti me alle spalle. Preda di altre sarei un oggetto compassionevole, un fardello di ossa di guerriglieri bambini esplosi sulle mine dei campi dell’Afghanistan o in Siria. Voglio dirti insomma che tralasciando me avresti la passione politica e la fine del terrore della lesione fisica e il sogno del coraggio. Sono vere tutte e due le cose: la storia è casuale, l’intelligenza non è universale.

E così noi senza posa parliamo e scriviamo per delimitare la figura letteraria e il progetto scientifico della Fortezza della Gioia. Ricordo di te e storia probabile di un’amore. Dimenticanza di te e immediata fantasia della fine dei fallimenti. La cura della coazione, per dire.

Questo confusionario non confuso ‘pensare’ è per augurarti giorni felici. Poiché la festa non si esaurisce nel conformismo borghese. Al contrario è imperativo, per essere felici nella festa, essere in qualche modo  ‘innamorati’. Poter dire sinceramente. Buon natale.  Amore mio.

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