l’arte della commedia


l’arte della commedia


Posted By on Nov 19, 2014

Il fascino di un tramonto si connette alla fisiologia della tolleranza del dolore fisico. Colore, dolore, sensibilità del soggetto. Attraverso la sensibilità si entra in simpatia con quanto ci riguarda sulle porte della luce e della notte. Le frontiere degli apparati sensoriali distinguono ‘dentro’ da ‘fuori’. Il pensiero ‘pensa’ -senza ancora linguaggio verbale- luce e buio che dunque sono sapere senza conoscenza definitiva e completa. Me e te. La vitalità suona muta “..tu… io… “. La stimolazione sensoriale tiene viva la fisiologia della mente comunicando variazioni continue. Vitalità è una funzione che trasforma quella serie indifferenziata di affluenze esterne in un -non altrimenti rintracciabile nella natura di specie e generi affini- senso di integrità, continuità e memoria. La funzione specifica e inconfondibile di ciascuno ha il limite della soggettività del giudizio e del vissuto. La attività psicologica primitiva precede la coscienza intenzionale di darsi un nome. La presenza primitiva di memoria continuità e specialità del soggetto sono una realtà di pensiero senza suono: “immagine di sé”… o “idea dell’io”. Mai definitivamente differenziati, si adoperano per indicare attività differenti, più o meno profonde, di autoconsapevolezza.

Riprendendo dall’inizio: la tolleranza al dolore, la fisiologia del tramonto, e la psicopatologia degli stridenti conflitti delle diseguaglianze e delle ingiustizie sociali e private… si alternano sulla superficie delle parole. Il Sè. L’Io. E Noi. E gruppi interi di persone. Noi. Gli Altri differenti da Noi. Continuamente. E sarebbe davvero ‘vitale’ riuscire a distinguere quello che siamo da quanto non ci appartiene ma ci riguarda o ci avvince. La funzione di una identità legata all’integrità di una superficie mi consentirebbe di raccontarti senza pudore il focoso sentimento che provo in presenza di te. Altre volte, donna divenuta differente ai miei sensi, di esprimerti senza sentirmi sbagliato il risentimento verso di te.

Alcuni hanno scelto. Per vie difficili e fortunate sono diventati solitari marcatori sulle vie da tracciare. Traversando continenti da costa a costa hanno esercitato l’arte della ferrovia, che sposta la frontiera. Vi accenno con evocazioni da canzone pop. Buffalo Bill.

Gli anni migliori sono ogni volta nuovamente musica e voce. Anche ora tornano. La fortuna di saper cantare: aver curato il linguaggio. È l’arte sola che può permettersi una creatività in isolamento. La sola arte cui sono arrivato: quel genere di esperienza acquisita da chi non ha avuto ‘successo’, ed ha soltanto una ‘povertà’ comunicabile in racconti fatti di cortesie corpose.

“Ciao, buongiorno, è sempre un piacere vederti” dico certe mattine molto presto, nell’umido accogliente, fuori dalle metafore della stupidità, in rifugi d’amore da piloti di tram. Ed è incredibile che sia tutto vero quello che dico salutando, saluti e sorrisi che vogliono dire ti amo a quelle persone, poche, che so scegliere per una piega irrisolta lungo il viso, una irresolutezza che apre alla speranza di felicità… quel “non si sa mai…” che non è il dubbio ma l’indubitabile.

Nel saluto ogni volta tento di mettere a frutto la mia vita. La prassi di rapporto implica l’io pratico agente quel sicuro affetto di simpatia senza i dubbi a incrinare la voce, senza le distorsioni del pensiero ossessivo a piegare malamente le curve del sorriso e indebolire la tensione elegante degli archi delle braccia che si protendono accoglienti.

Il teatro è popolato di passi alla base, musicato dal ritmo di appoggi saldi degli attori rampanti, scandito dalle voci che evocano semitoni e variazioni timbriche: l’aurora e il crepuscolo. Le voci sono il comando del principe e la risposta dei servi nei campi, e gli attori tengono lo scettro e interpretano le idee degli autori, eseguono impertinenti i comandi al dolore e alla felicità dei registi. Alcuni fortunati, dunque, mettono assieme voglio dire, sensibilità della scrittura l’ordito dei sensi delle parole, e la loro -degli interpreti- specifica vita fisica che è il movimento inconfondibile dei loro corpi.

Il movimento è crescere, crescere, crescere e crescere ancora: su tavole, in strade di quartieri popolari, con madri vocianti alle finestre, appese ai fili dei lenzuoli tesi sui vicoli. Vale più di tutto, per affrancarsi, mantenere il ‘fegato’ di un abbraccio ai parenti. Il ritorno rischioso ma emozionante alla mafia del cuore.

Lo dico per chi può capire: un’educazione ai rimbrotti, una ‘dittatura’ teneramente imposta, è l’unica realtà di relazione che ci costringe a non restare fermi: la vita inarrestabile del pensiero, perseguita con attenta implacabilità, non offre alternative al sorriso. Il linguaggio implacabilmente evocato da una storia che dura tutt’oggi, fornisce tempo al pensiero. Il ‘grande mago'(*) della nostra favola è una interminabile riflessione sul tempo. Siamo personaggi(*) che irrompono a pretendere una regia. Una assegnazione. Dimmi di noi. Stamani era per aver letto tratti di opere inconcludenti e piene di promesse. L’arte della commedia(*) è stato come il sorriso che nasce nella mente a sapere di te. Il pensiero è il rumore dei passi sulla strada. Sul palcoscenico.

(*) le allusioni sono a Pirandello (“Sei personaggi in cerca di autore”) e ad Eduardo De Filippo (“L’arte della commedia” e “La grande magia”).

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