latitudini


Non come pensavi le cose si sono messe a camminare. Bene si sono messe a scorrere. Hai pensato: corrente. La libera associazione ha detto sorridendo nella mente: mare. Quella mattina, saranno state le dodici di agosto, una barca di scorza di pino con una vela triangolare di panno, faceva sobbalzare l’esca traditrice a trenta metri da riva per la pesca nell’acqua d’oro che è il colore che esprimeva la temperatura del Tirreno al momento in questione.

La mente si riflette su quel velluto liquido dorato delle dodici di agosto alla latitudine di qua, latitudine che è una ferrovia e taglia la terra scivolando su tutte le gradazioni del binario di luce della propria circonferenza ad una distanza proporzionale ai gradi dell’angolo di separazione con l’equatore. O con i poli.

Le cose hanno natura fisica anche se la loro forma diventa sempre più astratta con la riduzione di massa. E così, ad un certo punto, certe realtà – esistenti in dimensioni non più percepibili o direttamente misurabili – diventano soltanto immaginate. È, l’azione di IMMAGINARLE, una precisa idea della loro ammissibilità e la loro ammissibilità è, dunque, la loro stessa ‘esistenza’.

Non sono oggetti mentali: sono realtà di natura fisica che solo la natura fisica del pensiero privo di massa può realizzare non incoerenti con quella loro esistenza sottile quanto si vuole, ma non priva di ‘conseguenze’.

Sono le ‘stringhe’ dei fisici, o la ‘cascata’ di eventi intorno al passaggio della particella elementare nelle camere di misurazione degli acceleratori. E quella cascata di eventi è l’evidenza della loro esistenza poiché esse vivono nelle conseguenze di una serie di accadimenti fisici che raccontano una natura ‘eccitata’. E quella cascata di eventi sono dunque quelle stesse particelle ed esse sono le conseguenze del loro passaggio in una nuvola di elementi mossi come l’acqua del mare calmo è viva.

Per le loro infinite conseguenze esistono dunque anche l’amore, l’affinità, la negazione, l’odio. Anche la violenza dell’indifferenza e, del tutto diversa, la presenza che caratterizza l’attenzione specifica.

Esistono queste parole come riflesso di un giorno di agosto. E d’altra parte solo adesso esiste quel giorno. I giorni tornano ad esistere nelle parole, o forse tra il tempo fisico, e le parole successive che piovono addosso a quei giorni con la piega obliqua dei verbi al passato, non c’è alcuno scarto se non per una nostra imperfetta coscienza del funzionamento reciproco di affetti e ricordo

In agosto una certa temperatura alle dodici a questa latitudine conferisce al mare sempre lo stesso colore tra oro e azzurro. (Ho sbagliato a riferirlo con riflessi puramente dorati).

Si alternano, adesso che agosto non è ancora, ma già rincorrendosi: mare temperatura colore oro latitudine: le parole della libera associazione. Fanno le tegole di un tetto infuocato che ripara la stanza, e ripara in essa il mio lavoro, e con il lavoro il ricordo e, legata al ricordo, una certa dimestichezza con la scienza delle libere associazioni, con la teoria neurofisiologica che sa che certi pensieri, realizzando legami multifocali tra passato e presente, fanno la coerenza dell’io cosciente e la consistenza sorniona del sé.

Attorno lo spazio si inarca: con la prepotenza di un gatto indisturbato al centro di una casa vuota: gatto/unico/rumore, respiro, basso continuo di fusa esplosive.

La libera associazione dice che questo animaletto, che non si addomestica, questo sacro gatto, che sa di polvere di piramidi di bassorilievi e di geroglifici, è più un riflesso flessuoso del sé che non l’io cosciente: è, viene da parafrasare, la coscienza dell’io mentre dorme. Il micio dorme al centro della casa che è estroflessione dell’anima mia. Io sognando mi occupo di pienare un’appartamento come fosse la mia esistenza ed essa fosse un volume. Anche se poi la parola esistenza è un’idea: un’emulsione d’aria e propositi e, più profondamente un voler evitare il vuoto con voce di parole scritte prive di massa (anche quella presumibile delle molecole d’aria) ma piene di conseguenze: cioè in grado di imprimere una propulsione alle cose. Anche le cose che hanno una massa evidente. Come quando ti chiamo e tu arrivi spinta, sembra, dal nome che turbina in aria.

Il gatto ha finito la distensione, fa la ciambella, si scioglie dentro gli arabeschi di linee del tappeto. È il caldo, mi dico. È che ogni tanto la cattiveria delle persone diventa una distrazione, un’assenza ben giustificata, una coazione all’accecamento programmatico. Questo fa certe mie ore ‘libere’. Ma forse questa parola, libertà, è proprio difficile da interpretare. Io non mi sento libero di lasciare il setting, di essere assente e di ritardare. Perché ‘loro’ si? È libertà? O assenza del ricordo di un colore d’acqua legato ad una sua temperatura che, potendo ricreare la fantasia degli anni lascerebbe spirare il vento fino a qua per mostrare che si poteva sempre arrivare alla riva dove l’acqua leggera scrive “resistere alla pulsione” in un gorgo rapidissimo, quasi invisibile, di molecole in amore. Si poteva sempre andare. Non è vero “non posso…”

Nella mente la realtà fisica delle idee ammassate, vicine per pura assonanza, per l’attivazione di uno schema neuro chimico corrispondente alla idea di ‘pulsione’, determina un dilagare di smalti azzurri cangianti sul tessuto del pensiero. Colgo bene per primo il sé satinato e poi l’io saturo di tutti gli azzurri del mondo. La pulsione potente accoglie il dolore del pensiero: ancora l’odio, il giochetto scemo: “Vengo, anzi no, sai, invece non vengo, magari verrò. Devo vedere un po’ se avrò tempo.

Una scorza di albero bruno galleggia a trenta metri da riva. Era agosto. Saranno state ormai le dodici passate. Ricordo benissimo che per il naso e il palato traversarono la vita che tenevo serrata in me due ragazze: una passando seminuda portava dietro sé una nuvola d’aria in forma di futuro immediato di erotismo passione e voragini di piacere: che è la pelle dell’uomo. L’altra, sicura e odorosa di terra, affondava i muri delle fondazioni di intere città e aveva, dentro la curva imponente del ventre, il bambino sospeso nella nuvola d’acqua che è la mente di dio.

Niente devo escludere di quanto accade per la necessità di una comprensione. Ma a salvarmi è sempre l’immagine femminile che oppongo. Che oppongo a ‘tutto’. Quasi volessi annullare per un istante di inaccettabile consolazione, la violenza della gentilezza stupida. Mi mancano i sentimenti di ossequio.

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