le cose


Sul numero attualmente in edicola di LE SCIENZE  l’articolo “La nostra mente inconscia”. Finalmente una certa chiarezza. Gli studiosi americani hanno definitivamente concluso che le troppe parole di Freud sull’inconscio non hanno nessuna conferma scientifica. Essi gentilmente ma decisamente escludono ogni legittimità alla retorica letteraria di un inconscio che nella notte riproduce incessantemente le angosciose scenografie edipiche. Infine, e qui si sfiora l’ironia, siccome il cervello è ‘uno’ …. pare questo un ‘argomento’ sufficientemente solido per ipotizzare che anche il pensiero possa essere rappresentato come funzione singolare e intera. E dunque il non cosciente, essendo un processo del pensiero, un modo della attività mentale cerebrale, è anche un processo nel pensiero ed ha continuità e identità di fisiologia inesauribile ininterrotta e ‘inseparabile’ dalle azioni della coscienza. Essendo il pensiero funzione coerente della intera attività cerebrale, non si sono trovate vie sinaptiche preferenziali, né strutture anatomo/funzionali dedicata alle funzioni di coscienza e non cosciente. Senza alcuna reale localizzazione il simbolismo topologico freudiano   (ma non solo freudiano….) sul non cosciente, non si regge e decade: da utopia dell’irrazionale (poco importa se buonissimo o cattivissimo oramai) a funzionalismo atopico. Più che una scienza è un vizio riferirsi al non cosciente come a qualcosa di isolato che sarebbe risolubile e poi slegato da forme di pensiero differenti, con azioni di individuazione certa, una volta per tutte. Di per sé, come attività isolata, specifica ed autonoma, esso semplicemente ‘non è’, insomma isolato non è ‘plausibile’. La scienza ‘gli’ sottrae il tempo. Si potrà aiutare una persona a cambiare, ma non basterà risolvere il problema (a livello*) inconscio. Dovrà diventare agente consapevole della propria cura e poi della vita che viene. Sarà felice della certezza di quanto è accaduto negli anni della psicoterapia. Sarà tutta coscienza ridente, se vogliamo. Ma lasciamo adesso il problema ai cultori della disciplina.

Le sperimentazioni psicologiche citate nell’articolo, provano che siamo costantemente sottoposti alla azione di funzioni cerebrali che ci sfuggono, che non possono essere coscienzializzate diciamo così, in tempo ‘utile’, e che esse agiscono indirizzando ogni nostra ‘decisione’. In relazione a questo dato non ci sono dimostrazioni del primato della coscienza sul non cosciente. Non pare che ci siano strutture anatomiche per portare l’uno all’altra. Si tratta di fisiologia e dunque si tratterebbe, inevitabilmente, di differenza di funzioni della medesima struttura anatomo-biologica svolte contemporaneamente e incessantemente. Dunque l’inconscio esiste, ma …. non è freudiano. L’inconscio e la coscienza confluiscono nella azione del pensiero. Quello che possiamo dire è che, su tali funzioni, da tempo si indaga, nel contesto del rapporto indispensabile alla relazione terapeutica di psicologi e psichiatri. E che ‘transfert’ e ‘contro transfert’ sono i parametri clinici  del rapporto medico-paziente in cui si esercita l’osservazione, la diagnosi e la cura della vita mentale.

Questo tipo di terapia implica l’interesse e l’intervento attraverso i mezzi designati genericamente: interpretazione del latente anche attraverso l’analisi dei sogni, frustrazione/rifiuto dei bisogni, soddisfazione delle esigenze, verbalizzazione delle dinamiche in atto nella relazione e degli aspetti cognitivi favorenti e limitanti il benessere dei soggetti… per realizzare il riconoscimento delle realtà più prossima al vero riguardante il rapporto tra paziente e medico e il variare degli affetti in gioco. La metodica psicoterapeutica ha comunque il compito di rendere possibile lo svolgimento del tempo in forma di passione di una cura non infinita, e quello dell’altra definitiva ed irreversibile passione della ricerca che però, attualmente, pare non finire. Perché sembra che alla ricerca sia deputato di rendere irreversibile e stabile il cambiamento realizzato durante la cura.

Al cospetto delle aperture derivate dalle conferme di funzioni mentali meglio individuate nella loro natura, si spalanca un lavoro imponente. I quaderni in questione su questo blog, adesso, mi appaiono prendere la (in)consistenza di libricini in un mercatino di modernariato che si svolge nei paesi della costa adiacente al mio studio certi giorni del mese. Io allora mi metto a scrivere per informare di quanto studiato, sono come uno che lucida librerie, o si agita come un ragazzino adolescente. Di fatto spolvero i volumi, porto via ogni segno di sporcizia sparsa qua è là a terra dall’andirivieni delle persone. Mi pare che nasca una libertà da ortodossie tanto più rigide quanto più furono ‘basate’ su imprecisioni ed equivoci a proposito della materia dalla quale il pensiero origina.

Pulisco la stanza, perché ho la sensazione che si chiarisca l’orizzonte e il tempo volga davvero in primavera come quando capitano cose nuove. Pulisco e profumo con il deodorante. A volte pare di non essere soli, e che non si sa mai.

(*).. ‘a livello inconscio’ è una formula da prestigiatori: essa in genere viene usata per distrarre il pubblico, prima della azione truffaldina del trucco che inganna la percezione.

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tempo, tuniche, telai


Posted By on Mar 4, 2014

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“A ME SPETTA SOLO IL MERITO DEL COLORE”

Il sogno del telaio è un vestito primitivo di una eleganza impareggiabile. Avrei supposto il fascino catastrofico di successivi desideri. Nel riposo della stanza rifletto al vestito rosso come ali spiegate di una farfalla preistorica. Quel vestito è immacolata arte del quotidiano. Donne e uomini vestiti di canapa appena disegnata secondo una forma universale. Teoria delle catastrofi, il battito di ali di una farfalla da questa parte del mondo origina una serie di eventi che esponenzialmente si incrementano e provocheranno, lontanissimo da qua, catastrofi. Guardo il vestito, la foggia della tunica universale. Mi dico che il battito delle ali della farfalla -che avrebbe causato il vento che scoperchia il tetto delle baracche all’altro capo del mondo- fu causato da una ventata laterale dello stesso sconvolgente attimo di passione che fu la catastrofica serie di precipitazioni cui quel battito aveva dato origine.  Ma non è una circolarità. È una non linearità. Ha a che fare con creazione e sparizione. Il mondo si illumina perché i migranti hanno acceso le loro bianche sigarette rinsecchite durante una pausa. Poi si spegne e cade nel buio. I migranti riprendono ad avanzare nell’oscurità. Dopo miglia ancora si fermeranno e la costellazione sulla terra sarà mutata. Serviranno nomi nuovi prima che saperi nuovi. Servirà di non ‘volere’.

E forse, senza ‘volere’ si trova ancora. I momenti di buio quando i migranti  si muovono sono la nostra ignoranza. La non linearità delle vicende nell’universo fisico macroscopico è certamente sostenuta delle modalità quantistiche dei suoi componenti elementari. Le cose scompaiono e ricompaiono cambiate, addirittura una energia negativa si conosce! … e una anti-materia! …. e scambi reciproci tra quegli opposti universi. Noi, nella realtà quotidiana dei sogni e degli affetti, abbiamo mantenuto però la tessitura di una estetica differente. La percezione del mondo non è l’idea del mondo che il pensiero scientifico sta ricreando con una risoluzione inimmaginabile prima. Siamo implacabili cercatori, e si trova quasi tutto quello che ci mettiamo in testa di trovare. Ma da millenni il vestito universale era comunque rimasto sepolto. E per quanto abbiamo portato addosso modelli infiniti di abiti, nell’ombra rimaneva ancora possibile un ulteriore immaginabile da indossare. La ricerca per i mezzi più idonei alla psicoterapia mi ha costretto al rosso da legare alla stoffa venuta dalla torba dei millenni e così poi io ho colorato il reperto archeologico.

Anni fa, ricordo, sul ‘suo’ viso il trucco esagerato esprimeva i ‘suoi’ eccessi normativi. La pregai di smettere di giustificare il coraggio dell’intelligenza, e lasciare che diventasse colore e ciglia e sguardo. Dunque dedicata a quei ricordi di coraggio intellettuale è la foto di quel vestito di foggia perfetta, trovato accanto a cadaveri affogati nella torba in paesi nordici. Il ricordo è una traccia che resta nel rosso che per me corrisponde alla idea di ‘impossibile’. Io penso che quel vestito, qualunque sia stata la sua funzione nel tempo della sua utilizzazione, adesso pare fatto solo per essere promesso, come se volesse rappresentare il momento in cui il tempo entra nella mente e diventa pensiero a proposito del ‘soggetto’. Vorrei sempre riuscire ma poi le capacità estreme che mi pare di possedere diventano vestigia di un vestito forse mai indossato. E il pensiero diventa conoscenza. E io una stanza docile ma inespugnabile, un ‘baluardo’ che non voglio, a causa di un completamento e una definizione che non riconosco alla portata di alcun discorso. La conoscenza che fa dire tutto ma non può essere  detta.

Dopo millenni, i resti archeologici di bellezza quotidiana sbattono le ali come farfalle addormentate, che il vento delle sfuriate scientifiche fa volare. Oggi, apparentemente, non sarebbero catastrofi le idee, i buoni umori, le biciclette, i sudori, le fantasie, le creazioni del moderno procede della ricerca psicologica attraverso metodologie del linguaggio e della filosofia della storia e della scienza. Ma la tunica universale rossa è una farfalla. E il battito delle ali della farfalla -che causerà il vento che scoperchia il tetto delle baracche all’altro capo del mondo- nasce tuttavia sotto la forza del medesimo temporale (lo stesso attimo di passione) cui essa da origine. A causa della realtà dei fenomeni di ‘non linearità’ la farfalla è causa e risultato. Perché era rimasta insospettata in un ansa del tempo fin quando le mani hanno scavato e trovato.

Negli esseri umani l’emozione che aveva deciso la tessitura delle tuniche resta nelle tuniche fino al loro disseppellimento. E poi, allora, quell’emozione si trasmette sulle mani e le braccia degli scavatori e dopo, infine, tra le loro mani il loro peso e la loro orma e il loro colore determina stimoli sensoriali e poi una percezione che, nella mente, ricrea la tempesta di un’emozione attuale che permette la comprensione del passato. Il pensiero attuale si ordisce su un telaio che sembra nuovo e che invece ha tutto il tempo dall’inaugurazione della specie e conserva, integra, la trama del tempo… Di questa fisiologica attitudine della specie al ricordo affettuoso si serve il linguaggio nella psicoterapia. Nella ricerca in psicoterapia questa fisiologia diventa oggetto di indagine e l’interpretazione, in tal caso, si avvicina molto ad una conoscenza che trasforma la vita psichica perché cambia la forma dell’organizzazione spaziale del cespuglio sinaptico cerebrale.

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Il 17 gennaio 1904 va in scena la ‘prima’ de “Il Giardino dei Ciliegi” di A. Chekov. al Teatro d’Arte di Mosca sotto la direzione di Kostantin Sergeevič Stanislavskij e di Vladimir Nemirovič-Dančenko. Si concluse col rumore di un cavo spezzato. Stanislavsky lo ottenne percuotendo tre cavi di metalli diversi insieme ad un breve rullo di tamburo. Chekov, ammirato della riuscita dell’effetto scenico, promise: “Scriverò un’opera teatrale che comincerà così: ‘Che meraviglia che silenzio! Non si odono né uccelli né cani né cuculi né civette né usignoli né orologi né campanelli e nemmeno un grillo canterino…’ “

Ironia per sottolineare la perfezione esecutiva di Stanislavsky. Che sarebbe stato privato di ogni rumore dal silenzio sbandierato subito da un attore. La messa in scena del silenzio sarebbe stata la prova più difficile, in vero impossibile. Ma noi andiamo alla ricerca di sfide. E sappiamo: ogni mattina il sogno è affidare uno stato d’animo ad una traccia che è solo rumore di figura. Che rumore di figura già è coraggio di fantasia, consenso alle conseguenze del sonno. Cerchiamo le cause le circostanze e gli esiti a seguito di ogni -transitoria- privazione di coscienza e parola. Il rumore dello strappo di un cavo. Un uomo è stato rinchiuso per sempre in una casa abbandonata.  E’ la fine del Giardino dei Ciliegi, e la percussione dello strappo ci precipita verso l’uscita del teatro.

I lampioni all’aria nevosa ( deve esserci stata la neve a Mosca il gennaio di quell’anno ) stanno a rischiarare una espressione scenica senza rumori e vibrazioni. Né uccelli né cani né cuculi né civette né usignoli né orologi né campanelli e nemmeno un grillo canterino…solo attori di polvere. Il silenzio può essere un fragile tiranno, uguale, per ferocia inconcludente, all’assenza totale del padre. O può essere silenzi e segreti di personaggi addirittura benefici, che impongono il dominio di mani lievi. Un silenzio come una rete o acqua assorbita in grani di sale o chicchi di riso, invisibile.

La tintura appena rilevante del silenzio è assorbita diffusamente nella vita psichica. Si concentra nel rumore di un cavo che si spezza, alla perdita del padre, a altre necessità conseguenti. A quel suono si possono immaginare neuroni che si affollano in una supernova nelle circonvoluzioni mute. Masse di cellule di fisiologia esplosiva, che reagisce alle assenze improvvise come la messa in moto di un motore a scoppio. Il silenzio non è  percepito come una cosa innocente. Diventa organizzazione non solo di una gerarchia acustica delle cose fuori, ma anche delle cose dentro di noi e là dentro diventa struttura e poi funzione.

Nella circonvoluzione del silenzio può originare l’autonomo prodursi di uno stimolo che realizza un conseguente modo di pensare non appena gli ammassi cellulari delegati  hanno misurato un sufficiente grado di quiescenza. E si compone l’idea di un genere di eroina ribelle sporadica, un faro nella sabbia. Le forme del romanzo ricalcano il disegno anatomico dell’accaduto: solo che qua fuori è una cicatrice. Il segno di uno sparo sulla spalla. La forza di lesione della punta della matita sui fogli. Il silenzio è la messa in scena di un esercito di marionette. E’ dunque una massa scenografica.

L’eco degli arti di legno fracassati. Un applauso storpio di invidia. Piacerebbe esordire sempre e soltanto con ingressi sonanti la grandezza del pensiero. Ora però siamo minacciati intellettualmente. Non stiamo comodi dove stiamo e abbiamo necessità di sedute ergonomiche, nonostante tutto. La stanchezza è una forza che agisce da fuori, e solo il lusso può guarirci. Ora bisogna parlare a lungo del silenzio. Inventare un suono che si sciolga in scenografia palcoscenico illuminazione e figura. E poi dare inizio a tutto ciò che resta senza spiegazioni. Riuscire è gratuito.

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Ascoltavo il canto esasperante e ipnotico di Olimpia (Natalie Dessay) nella opera lirica “Il conte di Hoffmann”, in specie “Les Oiseaux Dans La Charmille”.

Adesso a chi lo dico quello che nasce dopo la caffeina? Milligrammi dispersi nella massa fisica di gambe, braccia, e cuore, piedi, viso, capelli, dita sensibili. Sotto il sole. Al bar. Ti penso. Vi penso. Mancate. E’ non cosciente il pensiero che mancate. Non c’è mai, che mancate, come una cosa della mente. Ci sono dita, piedi, visioni della campagna che rinasce spunta e fa agguati dal basso perché profuma. Non c’è nel pensiero la figura della vostra assenza. E’ tutta una fantasia di altro anche il pensare dopo la vostra partenza. E’ tutto un dolce ‘non sembrare’. Tutto restare qua essendo belli, attenti, precisi e appassionati. E’ stare al sole, nei campi e sul mare, e nelle strade (qui è tutto così vicino e concentrato). Tutto un sacrificare alla vita. Questa religione erotica che disegna le ginocchia per restare saldi qua. Non c’è nella mente il pensiero cosciente che non ci siete da mesi. C’è l’aria intorno. La libertà c’è come sempre dopo gli abbracci di addio: la libertà dopo gli addii c’é come aria. L’aria dopo la separazione mi ha avvolto, e l’idea della nascita umana, quando lo stimolo della luce sulla retina consente di chiudere gli occhi e di fare il buio senza fare il nulla, ora mi permette di evitare la confusione. E essere certo che questa assenza che diventa aria e non ha forma di pensiero cosciente non è disamore ed assomiglia di più ad una identità delicata e distratta.

Ciao, stai bene, sii felice fosse possibile, non stare a pensare a me, sappiamo quanto è importante il modo di mettere un piede davanti all’altro per il mondo, non distrarti alla vetrina della nostalgia, io farò la stessa cosa, prenderò il caffè alla stessa tua ora del giorno, per stare comodo proprio sulla mancanza di te, come fosse una seggiola in vimini bruni e grigi, nella piazza sui pavimenti di pietra grigia e bruna, e saremo riflessi di colori alternati, lo spettro ognuno della materia della luce e del pensiero dell’altro, nei luoghi così simili tra di loro, ma senza che dalla fisica delle piazze -nelle quali ci troveremo- e senza che dalla natura del colore delle pareti delle case delle tue amanti e dei miei fedeli amici, si possa minimamente desumere niente delle immagini pensate, abbracciami ancora: ciao!”

Studiamo il nero con passione. Studiamo per raggiungere la passione per l’indifferenza, che è necessaria a tollerare le offese, fino a che non si riconosce la donna più bella di tutte per andarci insieme in queste campagne tra il mare e la città e nelle campagne del cuore d’Europa che è tutto un fiorire di eliche che una volta sarebbero parse il sogno di in pazzo. Come dire che la distanza è un elica nel buio, l’immagine dell’assenza nell’oscurità della sostanza cerebrale al centro delle nostre teste. Un’elica incardinata al terreno, che non vola. Come dire che il pensiero che non ci siete non è coscienza. Che però quel pensiero ci trasforma in eliche di un aeroplano tenute da blocchi di cemento bianco, che fanno girare vorticosamente i sogni e le parole. Che noi, per amore di un amore che non è più qui, facciamo volare il cielo avvitandolo nelle spire dell’elica per spingerlo via dietro di noi. Che noi, con la vostra assenza, ci costruiamo il vento e il nero. Ci facciamo la sapienza che l’assenza non è il vuoto e che il nero non è il nulla. Che l’assenza è un modo vigoroso di definire il pensiero della vostra libertà, e il nero è intelligenza dell’idea che la nostra potente solitudine è uguale alla distanza dal vostro viso così convincente.

Tutto questo camminare nella città, e viaggiare tra le grandi monumentali piazze, e tutto questo frequentare i porti sui fiumi, e le terrazze al mare del nord mi rende felice e ci rende innamorati, e ci fa riconoscenti verso la nostra storia, e vi lascia liberi di distrarvi dall’amore per noi, di distrarci dall’amore tra noi.” (così scrivete)

L’aria dopo la separazione mi ha avvolto e l’idea della nascita umana, quando lo stimolo della luce sulla retina consente di chiudere gli occhi e di fare il buio senza fare il nulla, mi permette di evitare la confusione e l’angoscia. Nella mente c’è la coscienza che si attraversa l’aria nelle campagne da casa al mare. Nella coscienza il mondo luminoso dell’onda elettromagnetica. La vostra assenza è nella mente in modo differente che non è coscienza. Allora la strada dal mare a casa e ritorno, in mezzo ai campi, così esattamente percepita e narrata, diventa dita, volti, possenti corporature, e esili fianchi all’aria. Non deve essere la caffeina, penso. Deve essere che la vostra assenza, di cui non c’é mai la coscienza, trasforma il pensiero delle cose coscienti, cioè la percezione del mondo di questa natura tanto decantata di mare e campagne di grano e girasoli, in qualcos’altro. Che non ci siete, che non è coscienza, è il retroterra, l’immagine su cui incidono le cose percepite, e le cose percepite fondendosi all’idea non cosciente dalla vostra assenza fa una alterazione del mondo e una creazione dei pensieri corrispondenti alle cose viste in altro che non c’è mai stato. Che il nero di Caravaggio è l’aria dopo gli abbracci, il niente che circonda il corpo che è improvvisamente così impegnativo dopo le separazioni. Un non aver nulla addosso che rafforza: il soggetto non è tanto in chi percepisce l’oggetto, ma anche e soprattutto in chi immagina quanto non è percepito nella realtà esterna.

Quando eravate qua, la percezione dei vostri volti innamorati e dei vostri movimenti accorti tutto intorno, illuminava il nero e noi non eravamo che oggetti: sottoposti alla forza della registrazione della vostra presenza evidente. Voi eravate imponenti macchine di attenzione. Si può restare molto tempo oggetti del mondo amato. Per quasi tutto il tempo della nostra storia d’amore si può aver rimossa la nascita. Con sguardi profondi come gli occhi di Picasso sulle colombe e sull’argilla i nostri sguardi possono essere rimasti molto a lungo schiavi di forme suggerite dalla materia inerte e colorata. Credere di vivere d’amore nella strada tra il mare e la città può essere stato un gradevole destino. Gradevole andare e tornare, senza chiedersi nulla. Inventare una vita pensando che non ci manca niente. L’assenza non è un pensiero cosciente. Ci sono le cose. Ed altre cose ancora, differenti via via le une dalle altre. Quando ci sono tutte queste cose si può essere ‘geni’ del bene. Abitare lampade. Restare rinchiusi dentro vetri polverosi.

Poi siete partiti. Sono passati mesi. Io continuavo la ricerca sulla scoperta della nascita. Cercavo di chiarirmi a cosa potesse servire quella serie di pensieri in relazione trasversale, obliqua, verticale, intrecciata. Che poi tornava sempre nei riflessi di uno sguardo di un’altro, quando devi capire la pazzia e l’irrealtà. Pensavo all’enormità del materiale da studiare, rivedere, riproporre, citare, approfondire. Come niente fosse, come voi foste sempre qua. Non c’è mai stato un pensiero cosciente, che legasse le giornate di studio e lavoro con la vostra assenza. Con la distanza che avete posto: che è un muiltiplo grande della distanza tra la casa e il mare. Che è difficile da colmare rapidamente.

Poi ho pensato che alla nascita il mondo esterno con la luce fredda e priva di alcuna forma non è una percezione di un soggetto assente nella sua neutralità di essere biologia indifferenziata. Ho capito che la teoria dice una cosa diversa: che per una volta la luce, il mondo esterno, è solo uno stimolo. cui segue una attivazione. Che è pensiero cioè da subito capacità di immaginare qualcosa di diverso da quanto viene percepito. Prima c’è il soggetto. Chiudere gli occhi non è il nulla.

Stamani bevevo il mio caffè. E il caffè è diventato pensiero cosciente della vostra assenza. E l’io ha fatto la scrittura. L’assenza non ha generato la pazzia. Me ne stavo là fresco come un fiore in uno dei vostri maglioni che avete abbandonato nell’armadio e che indosso per romanticheria criticabile e melodrammatica. Riflettevo che il non cosciente -riferito ad oggetti spariti- era l’assenza vostra. L’assenza come oggetto del pensiero non cosciente. La (teoria della) nascita permette di pensare che alla nascita il mondo esterno della natura (la luce) non fa che attivare sostanza cerebrale. Dunque non c’é la percezione ma lo stimolo. Il bambino nenonato diventa soggetto. Si dice che accade perché egli ha una vitalità.

Stamani era quello che capitava: la vitalità aveva tenuta non cosciente l’idea di una assenza senza causare lo splitting nel pensiero. Poi l’assenza era tornata come immagine di voi che la scrittura trasformava in qualcosa d’altro, esattamente nell’idea corrispondente alla parola che si scrive conoscenza.

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per una critica del contenuto e del desiderio

posso amarti senza il desiderio determinato dalla visione intuitiva di una immagine interna. prendere a piene mani ciò che mi è chiaro evidente che so già e che ho sempre saputo. non cercare all’interno. solo volere impacciato e sfacciato all’ombra della pineta.

ricordo di me anni fa in una uguale condizione di assoluta certezza al davanzale dei gerani. circumnavigati i fiori ero andato via. l’addio furono risate e grida di un impeccabile colore di rosa. poi feci caso ad altro. a smentite.

che non tutti buttano giù i chili di troppo (semplicemente non si riesce a togliere loro quell’incapacità). che non esiste l’uguaglianza. che in proposito c’è una tensione. e che ci consoliamo col diritto. ma non ci sono vere soluzioni.

come è vero che sei sempre stata troppo bella, con la stessa evidenza risulta chiaro che, oltre una certa data, i vincitori sono reduci anche loro. non fa differenza che anni prima avessero al loro seguito altri reduci legati in lunghe file come prigionieri.

studiando con progressiva passione la storia si sa che: gli schiavi pesano come cannoni sulla mulattiera che sale alla linea del fronte, che le frontiere hanno un costo elevato di manutenzione,  che nessuno può permetterselo, che è solo una questione di tempo.

infatti adesso posso dire che quello che vidi era vero. non c’è un oltre. è solo il tempo necessario a recuperare la visione della nascita ad essere illustrato in stile romantico. si avanza verso la carne tua. non è l’anima intima che vogliamo. quella fu subito evidente. adesso sei tu soltanto.

negli anni non è desiderio è volontà. così a scuola si insegnerà a odiare lo stile in letteratura, a odiare tutta la letteratura, che i misteri sono incisi in superficie. si pretenderà l’intelligenza. che uno voglia mangiarti il cuore non è crudeltà. tu hai il cuore tatuato sulla carne di un braccio.

una pedagogia prossima al disinganno chiarirà la deriva e legittimerà la disuguaglianza. la rassegnazione verrà disegnata con piglio deciso. studieremo l’inclinazione del fendente del boia. e gli angoli di caduta dei chicchi d’uva quando sfuggono dalle labbra.

le intelaiature degli scheletri delle ballerine del Crazy Horse hanno proporzioni fatali come quelle dei linguaggi terapeutici. al contrario di quelle perfezioni la ferocia dello stile si oppone a tutto e impedisce oramai di dedicarsi a qualsiasi cosa valga la pena. proprio per quello.

te ancora oggi ti lasci amare con trasporto assoluto che esclude ogni allusione. è grazie a te che parlare e scrivere ha ancora un tempo. il senso la scrittura e il linguaggio non ce l’hanno e non ce l’hanno avuto mai. il senso è sempre stato un cuore da divorare. altrimenti una convenzione servile.

nell’arte delle carezze è la proporzione omicida degli incrementi lungo una curva che soddisfa il desiderio e lo uccide. noi fortunati, dopo, passiamo la vita nell’incredulità. scriviamo per sfuggire le parole ferocia e pazienza. fingendo di capire qualcos’altro distraiamo lo sguardo dalle pinete.

sei stata sempre troppo bella: prova evidente della non esistenza di qualcosa che stesse oltre noi. fuori di noi. ci fosse stato un oltre ci sarebbe un senso. invece c’è solo il tempo per avvicinarsi a te che hai tutte le qualità dell’anima.

è stato subito evidente tutto il tempo inevitabile. impossibile. dunque che c’entra lo stile in letteratura? c’entra la personalità multipla, l’isteria, la santa anoressia, il digiuno accorato, il panico per un rumore dietro la parete. e l’ansia: facile da togliere con i baci.

la relazione tra i baci e la guarigione dell’ansia (e altri sintomi del tempo) rende sospetti: la formazione, i convegni, la distribuzione legale dei crediti a pagamento. la disuguaglianza è al centro del pensiero. tu avevi le prerogative dell’anima. io lavorerò in eterno.

l’estetica del pensiero geniale ha la natura della bellezza. perdere tempo alla ricerca di uno stile è invidia. di fronte alla bellezza non si può pretendere l’uguaglianza. avevi addosso lo splendore. l’oltre sulla tua pelle proponeva la vitalità alla base della cura. i baci contro la confusione

posso amarti senza ricorrere alla letteratura di genere. privo della poetica della visione intuitiva. fuori dall’auspicio di una immagine sublime di contenuto. per me sei tu in carne ed ossa la famigerata immagine interna oggetto del desiderio.

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quattro minuti scena risolutiva


Posted By on Lug 24, 2011

Hannah Hersprung nel film "Quattro Minuti" di Chris Kraus

quattro minuti scena risolutiva

( primo sogno ): Si nasce con incerta figura la nostra miseria è non poter risolvere quelle linee incerte perché escluderemmo la nostra nascita. Tra l’eccesso di luce e l’amore per il buio del fondo vibrano i corpi di balena. I mammiferi acquatici che non possono mai dormire fino all’arresto del corpo nell’immobilità sarà che allora sognano continuamente e non avendo intero mai il sonno sarà che non abbiano mai intera la veglia: forse hanno una veglia differente e adatta all’acqua. Siamo forse noi dico al risveglio dal sogno quelle vibranti montagne oceaniche nella condizione fluida e precipitosa che immagino. Nel sonno è la fluidità della biologia pulsante nel fondo scuro della materia non ispirata dalla grazia del ricordo nè dalla provvidenza delle figure. Il risveglio è il lusso d’altre funzioni appena superiori che realizzano il sogno.  E consente le parole. Le parole – vale a dire l’uomo oltre la propria notte – una creazione. Tu io noi: siamo l’uomo di stamattina alle persiane. L’uomo tu io: siamo i fatti accaduti come vengono alla mente. I fatti come vengono alla mente sono sempre ‘altri’ da quello che sono. E ‘altri’ sono subito dopo alla voce dei Narratori. I Narratori dei Fatti aumentano la loro importanza in fondo si può verificare che essi siano – a loro volta – Geometri della Segreteria al Ministero di Archeologia e Geologia che tracciano i progetti dei passaggi segreti alle piramidi. Nei disegni loro noi tutti siamo notizie alla voce: viventi della specie privilegiata gridati all’incrocio dei grattacieli dallo Strillone di Corte. Donne e uomini quotidiani, creazioni definitive ognuna a suo modo. Da raccontare. Finestre. Sferraglianti binari grigi e lucidi appena completati. Svegli con gli occhi spalancati e piangenti. Pronti per cominciare. Vibranti montagne di carne marina mai del tutto immobili nel sonno siamo coscienze illanguidite. Siamo coppie liquide. Tutto oramai abbiamo assimilato di canzoni e madrigali in disaccordo. Che il vero è ‘altro’ dalla storia.

Siamo altro da noi nello sforzo di essere io la tua fronte tu il davanzale per il tuffo nell’aria della piazza profumata di arance. A Taormina.

( secondo sogno ): L’uomo gli capita di potersi costruire la notte per il sonno con la calcina o le foglie. L’uomo. La sua compagna – dell’uomo – che è l’altra metà del cielo quella buona è la donna. La donna: campagna seminata a girasoli grano e papaveri e la metà buona del cielo accetta – torcendo da millenni il collo come un cigno malato di strabismo – il patto con i maschi. Accetta. Dice brevi cose. Non è d’accordo. Sa farlo di non essere d’accordo senza ‘non essere’ e senza fare il ‘non essere’ dell’altro. Sebbene la donna – sussurrano le ricerche di base – voglia farsi ancora più esatta. Somigliante ad una idea di sè che va portando sulle spalle subito svoltata la caverna. Attende il tempo di farsi. Ne vedremo delle belle noialtri ragazzi. Comunque questi due – maschio e cigno – creano. Di malavoglia – tuttavia inventano la grazia dei gesti. La carezza della mano sulla roccia serve ad evitare i danni maggiori le ferite mortali l’imprecisione che distrugge l’idea di un equilibrista sul filo del pensiero. Si veda Cyrano si veda si ascolti quando si lamenta troneggiando sopra la media della comune abitudine del discorso corrente. Intendo questo quando mi viene in mente che questi due – maschio e cigno – creano. Di malavoglia i fili di luce nei quadri e l’idea di lesione incisione cura chirurgia legatura fortissimo espressione musica intervallo tempo stanotte il giorno che viene.

Creano la propria specie creativa.

( terzo sogno ): Non d’amore è il suono che piuttosto è fisica. Raccontano i sogni che non sono per gente sentimentale. I sogni sono le parole che raccontano i sogni. Le parole che raccontano i sogni sono la fisica dei suoni della nostra voce. Nella nostra voce si incarna l’io narrante sempre. I ladri al mattino acchiappano la luce per tirarsi fuori dalla grotta: hanno mani piuttosto svelte come serve all’impunità dei furti nel mercato rionale della capitale. Il sogno dice dei furti perdonati, dei regali agli incroci, delle stelle aggruppate nel mito. Il mito è la falsa credenza che la mente origli sempre le stesse parole. Ci sono parole speciali che non dicono le cose ma le figurine sottili dei nostri incontri. Tu io la vita suoniamo alla porta del circo. Svoltiamo insieme. Vieni. I pronomi sono oppio e ‘tu’ ed ‘io’ e ‘noi’: quello è parlare! Le cattedrali possono pure crollare: i pronomi dureranno perché sono fatti di sabbia. La sabbia è quando tutto è crollato è rimasto a pezzi è digerito dal sole e genera nella sabbia la meridiana delle particelle fonetiche che dicono l’idea della persona senza la necessità di un volto da seguire. Nello stesso modo nella materia di acqua e polvere e terra sotto gli alberi sotto i monsoni si genera la grammatica del soggetto. Il suono è fisica tu io noi fatti di sabbia sono per gente niente affatto sentimentale ora si capisce. L’amore è per scegliere. Il sonno per la conoscenza. Il sentimento crede di doversi continuamente accordare e fa la geometria. L’affetto diverge determinando le condizione per le forme matematiche e le immagini dei numeri.

I pronomi sono la musica. La musica è l’oggetto della ricerca. Non ne è il fine ultimo. Però non si può evitare. Nella relativa linearità di una coerenza emotiva il suono si incontra subito prima della vittoria. Esattamente alle foci del fiume delle risoluzioni provvisorie ma trionfanti. Transitoria prigionia del genio. qui.

 

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