le mani nel sonno


le mani nel sonno


Posted By on Mag 5, 2014

Leggendo come è cresciuta la composizione del linguaggio dei commenti al blog mi dico dunque che gli anni vanno a mazzi di dieci. Che solo adesso, in seguito alla conta di quei mazzi di asparagi ben tenuti dagli elastici di fortuna, elastici dei ricordi verdi e gialli, la variazione relativa agli anni è sensibile e lo scarto dalla condizione iniziale può essere colto dai nostri sensi. Il pensiero conseguente è se potrebbe essere una buona ragione per riposare un poco, riposare al fondo della mente, voglio dire. A fermarmi come se avessi compiuto almeno uno dei componimenti che erano da fare. I componimenti sono cose, in generale. Però fino ad ora al centro della mente continuano a formarsi ipotesi, pretesti che poi sono quasi obblighi. Obblighi d’amore eh, dico, non doveri come in genere si pensa la serie di scomode costrizioni e inevitabili necessità. Al fondo della mente, quando sembra possibile fosse pure stata un’illusione, di perdonarsi con il riposo… ecco la folgore della bellezza imprevista, il calore di una vicinanza, un regalo, un ti prego di starmi vicino appena appena ti prego di farlo però, non lasciami a fare da solo, da sola. Questo avverto nella variazione sensibile dei toni di chi commenta Operaprima. Il suono di una persuasione e di un acquietarsi ma un invito a approfondire, senza fretta che quella non c’è più davvero, ma senza posa.

Allora le mani che si fermano è solo nel sonno la notte, sui cuscini, riverse in alto, i tendini del dorso appoggiati a rigare il lenzuolo e le palme in su, inchiodate dai mille occhi del soffitto che respira come un albero. Me che dormo come un esploratore un archeologo un cammelliere. Un derelitto naufragato vivo sulla spiaggia del mare di sabbia. Ho un costato magro accanto. Un magro bottino di guerra. Penso che deve essere me, uguale a me. Solo le mani stanno in altro modo. Giunte non proprio legate strette. Non una preghiera verso il cielo. Forse un ringraziamento per essere stata lasciata libera il tempo necessario. Non poco. Un tempo tinto di inchiostro. La formazione delle gocce dagli alberi e poi insinuarsi sotto la pelle a fare la crosta e poi il volo. Le termiti di dolore che sciamano via e lasciano il corpo leggero. Un alveare vuoto che risuona soltanto del ricordo dello sciame e della sua confusione operosa. L’orgasmo. Un attimo di liberazione dai pensieri. Pare di sentire tutte le parole dette che cantano. Il murmure vescicolare, l’arte dell’auscultazione, che è vedere l’invisibile struttura dei polmoni attraverso i suoni e non guardare senza immagini le cose ottuse visibili. È l’aria che si fonde con il sangue. La meccanica dei mantici che serve a dire sei bellissima. Il corpo e la voce. Il volto si è volto al futuro. Io sono il passato che continua. Tu quella che va e dice “Solo questa figura ama”.

È questo che si genera nel fondo della mente, per cui fermarsi è impossibile. Solo le mani, nel sonno. Ma il ritmo del respiro, se guardi, si trasmette anche alle mani, e anche nel sonno non c’è mai l’assoluta immobilità. E dal calore si può sperare di sapere, di quella tua pelle, la qualità d’ambra: se più chiara, o più scura, o miele, o sasso, o legno di ciliegio.

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