leggerezza dell’atto mentale


Infermi di mente impegnati in discorsi più grandi di loro. Un ascetismo irreligioso col sole nel ventre. Il mutismo entusiastico. I giorni passati, al vertice del calendario, sulle guglie di agosto e dicembre. Le vette sono sempre blu dell’inchiostro con cui è scritta la nostra corrispondenza. I campanili e le torri servirono soprattutto per misurare la mappa delle longitudini. Più che l’elevazione dei reciproci poteri. Il tempo solare fu misurato anche in miglia marine. Scrivere da millenni è un sentimento ‘attuale’. Lasciamo affidati ai segni sulla carta i trattati di pace e gli accordi di guerra. Siamo una specie piena di fiducia nella grana della cellulosa, dei papiri, delle pelli di montone. L’irruenza delle inondazioni e poi, dopo, facciamo un sonno sugli stessi argini che saranno inevitabilmente travolti non sai quando ma senza preavviso. Da millenni è ‘attuale’ il legame coi figli e le figlie che sono i frutti della nostra carne. Di fronte a loro le parole aumentano il loro impegno ma poi non bastano mai. Per la loro natura di non dire nulla. Gli avvistatori di mondi nuovi, sugli alberi maestri, hanno sensibilità per un’aria che, vista dalla cima della colonna di legni, ha una lucente evanescenza. L’aria non si vede, precisamente. Si vede quello che fa. L’aria “è” quella lucentezza ed evanescenza.

Le parole sono come l’aria. Sono invisibilità affluenti. Riflessi del movimento che il pensiero fremente compie nella nostra testa, dal tempo in cui eravamo rampicanti antropomorfi. L’uomo scimmia sale e scende. L’estensione verticale ci entra in simpatia a vedere la sua facilità. Riempire e portar via. Afferramento. Attaccamento. Sospensione. Oscillazione. Scioglimento. Salto. È tutto un franare di cristallerie. Di vincoli, nodi e quesiti. Dopo il fragoroso rovinare dei precedenti, si costruiscono nodi di mondi nuovi: assiomi, teoremi, vele quadre per gli alisei e altre vele, triangolari più adatte a spingersi contro il vento. Giù, giù (o forse su) fino alle mani del baleniere. Anche solo le mani. Afferrare. Pensare rapidamente. Scagliare arpioni dove lo sguardo ha già visto il futuro riemergere. Pensare rapidamente è come non pensare. Non è, insomma, un pensare cosciente. Non sembra pensiero razionale filosofico. Il gesto raffinato della azione psichica che si pone all’apice della formazione del cacciatore e del chirurgo non sembra umano. Ma neanche naturale, sembra. Sembra, come avevamo notato, intelligenza artificiale. Ma uccisione e guarigione sono sotto gli occhi di tutti. L’arpione sul dorso del pesce. Il sorriso di riconoscenza del paziente guarito. Si è costruita la lancia pazientemente per non pensare più nulla nel lancio, cacciando la balena. Si è affilato il bisturi con procedure di sfregamento e scintille roventi perché il taglio fosse silenzioso e insensibile. Si è determinato il linguaggio verbale cosciente e ora dobbiamo affidargli di dire il rammarico. Troppo lontano dai primi giorni di vita dice ‘luminescenza’ e ‘trasparenza’: forse racconta la vicenda della luce che attraversando i cristalli d’acqua e vetro per raggiungere la retina ha preso già qualcosa specifica del bambino. Qualcosa che diventerà, detto con grossolana approssimazione, il singolare modo di vedere di ciascuno.

Si è altrimenti specificato che la bellezza sia negli occhi di chi guarda. Sensazione, percezione, pensiero, proiezione, conoscenza. Oppure identificazione proiettiva, non conoscenza, terrore. Dove nasce la malattia delle allucinazioni che sembra che riguardi la percezione per cui poi si scambia una cosa per un’altra? E la malattia dell’ideazione che organizza il pensiero cosciente nella struttura più o meno sgangherata del delirio? La capacità di immaginare del neonato forse, in seguito a certe vicende, si altera nella ‘delusione’ viene travolta dalla rabbia cieca quando si scopre, per l’assenza dell’altro, che il mondo che si voleva fare da soli… non si riesca sempre a crearlo con la leggerezza di un atto mentale.

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