linguaggio


“La modele dans l’atelier” – Picasso – 1954

La ricerca è se siamo arrivati, senza averne coscienza, al punto che si vorrebbe misurare il linguaggio di cui misurabile è solo la scandalosa imprevedibilità. Lungo la via delle proposizioni, come fossero la nostra vita, scegliamo parole come a dire “è fatta, indietro non si torna”.

Sempre, quando prendiamo decisioni, indietro non si torna: da qualsiasi cosa stessimo allontanandoci la decisione chiude le porte del calore dietro noi.

Il dubbio che precede ogni scelta, le esitazioni, sono accenni: piccoli delicati morsi al tuo labbro inferiore nel baciarti, perché tu intuisca sotto i miei denti, il piacevole dolore che è amarti dovendo rinunciare a mangiarti intera.

A parte l’esotico procrastinare del dubbio in quei gesti accennati, ogni scelta è una pietra angolare tra l’erba del campi di fronte casa. Parallelepipedo secolare e irregolare, metafora del volume del tempo precedente.

Le pietre ci separano da tutto quello che non potremo più tradire con una inversione.

Per questa natura della nostra mente di essersi forgiata al fuoco dell’irreversibile amore, e non per una ragione morale, non si dovrebbe più confidare nei vantaggi delle menzogne.

Ogni volta che mentiamo non ci rendiamo conto che dalla scelta di mentire non si torna. Nasconde e svela una scarsa presa sulla realtà chi nascondendo le cose si comporta come se quanto occultato non sia mai stato.

Approssimazioni, esclusioni e parzialità sono bugie, a loro modo. Cercare di esprimere con il minimo di proposizioni l’inestimabile del pensiero fa pulizia del campo di indagine.

E comunque chi si prende cura degli altri -mi risulta oggi chiaro- sarebbe migliore se ambisse alla modestia.

Read More

le parole dei compagni


Posted By on Set 14, 2016

Con un gusto contagioso il linguaggio racconta la variazione che interrompe la simmetria e poi torna transitoriamente in quiete. Ripetutamente così. Il modo contagioso è per via del movimento che esprime ma, bisogna dire, esso è quello stesso movimento o ne è ‘parte’ costituente.

Viste così molte cose ritenute abbellimenti sono implicazioni della variazione di fondo. Non si riesce cioè ad evitare la variazione dovunque ci mettiamo. Non c’è un centro, un luogo esterno a noi, in cui essa sia più ‘reale’ rispetto ad un altro: il linguaggio e noi (ed ogni altra cosa) siamo parte della struttura variante.

Il prima e il dopo dunque, che vorremmo come pieghe di un tessuto temporale separato, sono artifici verbali per esprimere la speranza che il tempo le strutture e noi possiamo consistere reciprocamente esterni gli uni agli altri.

Queste creazioni dell’immaginario linguistico funzionano per fornirci la rappresentazione di auspicabili aree di riposo. Il riposo però è sempre quando non si esce fuori dal movimento (un fuori non c’è…) ma solo quando ci se ne lasci cullare.

Il linguaggio cioè ha più o meno potenza di contagio quanto meno si discosta dalle variazioni che sensibilmente avverte e che vuol ‘dire’. Esso è tanto più bello quanto meglio esprime precise quantità della propria deriva dalle strutture vibranti.

Cerco un modo di stare accanto ai compagni legandomi a distanza delle nostre braccia sulle spalle. Resto alla portata delle loro voci che sussurrano o cantano distrattamente e, a quei suoni, ripercorro in mente i loro nomi. Restano quelli di cui conservo i suoni, la fisionomia dei loro discorsi. Conosco il gusto contagioso della cartografia del linguaggio. Quando sulla terra si realizza il disegno dei loro volti lontani.

Read More

La resistenza è dolore: perché il ‘vivere nonostante‘ costa molto. Prima o poi dunque, ma sempre, si vuole la liberazione dal dolore corrispondente a quell’opporsi soffocante. Quando il lavoro della resistenza non è più necessario si sente la cessazione del dolore: un benessere che non deriva da azioni positive che abbiamo effettuato ma da riduzione e sottrazione. Non si è ‘più leggeri’ ma semplicemente abbiamo deposti dei pesi che non avevano mai fatto parte della nostra costituzione anatomica. Siamo quello che siamo: non un grammo di più. Forse quello cha avremmo potuto sapere di essere in essenza, che il lavoro di resistere per essere nonostante ci aceva tenuto nascosto. La cessazione avviene per cambiamenti interiori: quando l’esterno è allucinatoriamente percepito ostile e poi viene riconosciuto praticabile. Ma a volte è grazie al venir meno di situazioni oggettive di odio e di cecità con cui avevamo a che fare. È complicato rendersi conto che il ‘nonostante‘ sia lo stesso nei due casi per cui ci si difende dai fantasmi che noi stessi abbiamo inventato con la stessa determinazione con la quale ci opponiamo alla distruzione che viene da una realtà esterna. Dunque la resistenza da sola, perdurante questa genericità non può essere, o non dovremmo contentarci che sia, l’unica nostra risorsa. Neanche la vitalità che la sostiene, pensata come fatto legato ad incrementi energetici di azioni muscolari, è dirimente. Il concetto di conoscenza non riguarda infatti solamente la quantità delle nostre acquisizioni ma la modalità con la quale esse vengono assunte. Si può ipotizzare dunque che la vitalità -che è funzione di limite fisico e psichico insieme-si estenda fino alle ‘fibre’ dei singoli atti percettivi separando, via via che essi si attuano, la realtà dalla fantasticheria. Si può tentare di sviluppare una idea meno muscolare della vitalità. Che diventerebbe un fenomeno di barriera intelligente, una azione di epitelio negli scambi di contatto tra noi e il mondo esterno. La massima precisione di intuizione sulla frontiera fa una nuova presa d’atto del mondo e riduce gli sforzi per sostenere la lotta fisica con mostri che la distorsione illusionistica della natura delle cose e dell’interiorità delle persone portava come conseguenza inevitabile. Come sia possibile eventualmente verificare una tale ipotesi non so dirlo. Forse intanto imparare a esprimere con parole sempre più adatte e costruzioni grammaticali sempre meglio costituite una asepsi chirurgicamente efficace sulle piaghe di una cronica confusine che dovremo operare.

Read More