lirica


lascia ch’io pianga


Posted By on Giu 20, 2012

“Lascia ch’io pianga” – Rinaldo (1711) – Georg Friedrich Händel

Questa storia finirà insieme a noi. Dolcissimo amor mio. Invece ci comportiamo come se essa potesse sopravvivere altrove, da qualche altra parte e siamo spesso perseguitati dai sensi di colpa in relazione all’assoluto di una utopia di condizioni inesistenti in cui quanto siamo sarebbe sancito continuamente, continuamente riproposto in modi differenti. E in questi pensieri ci perdiamo l’occasione di diventare appena un poco più intelligenti. Di evitare di morire di noia. Non si capisce perché e per come la mente divaghi tanto. Divaghi da sé stessa. Non è come nella musica, il pensiero sulla durata della passione. Il pensiero nella musica ha le onde sonore, è facile farsi abbracciare da qualcosa di ‘reale’. Non è come nella preghiera di richiesta dei favori e delle elargizioni. Là, nella richiesta e nel delirio di sottomissione la potenza dell’altezza degli edifici fatti apposta per evocare terrore e umiltà della propria condizione concedono un riposo inginocchiato al cospetto di qualcosa o qualcun altro che non dipende da noi. Il pensiero non divaga nella prassi del lavoro perché si vede alla fine qualcosa accadere e star fuori, una verità come un soldatino di stagno in una barchetta di carta.

Ma finisce con gli amanti la storia. Basta pochissimo: la realtà della relazione è proprio la chiara evidenza dell’energia che non ha una massa a riposo. Ti dico, ti scrivo, ti mando pensieri, ti invito da lontano senza muovere un dito con l’idea del desiderio e della grande consolazione che mi da il pensiero di te. E so che potrebbe finire in un attimo appena non ci fosse più l’idea rafforzata, la realtà aumentata di una quota pari a te per come agisci, senza muovere un dito, sulle variazioni continue del movimento del pensiero, nell’agitazione della materia scossa ed eccitata da una energia che non avendo alcuna massa a riposo chiamiamo, chiamammo, realtà non materiale. Scusami però mi viene da dubitare di te perché tu stessa mi sembra che non hai mai capito. Che sei vissuta come se il futuro fosse qualcosa di esterno a noi. Esterno a questa storia di compagnia e fiducia. Invece non c’é alcun futuro al di fuori dei dialoghi brevi e degli accordi sulla strada cui svoltare per andare al nord, verso il Mare del Nord così caldo di amori allontanatisi per povertà e felicità diseredata.

Vabbene che nessuno abbia fatto mai caso alle parole scritte in tanti anni? Che non ci sia stata alcuna reazione? Per me, per la mia soggettiva soddisfazione, per i miei pensieri di ogni momento, per la compagnia che dovevo farmi (come capita a tutti) sarebbe certo stata molto favorevole una accortezza se c’era una differenza e una qualità. Per il resto, per quella parte di me che è cresciuta, ed ha sviluppato comunque capacità discrete, non deve aver determinato comunque conseguenze gravi. Per cui dico che non era poi così importante. L’intesa di cui parlo era generata indistruttibile ai margini del prato. Dove stavano le lucertole verde smeraldo provenienti quasi certamente dall’Egitto dei faraoni fin là, ai piedi dei ragazzini degli anni cinquanta. Per la loro acculturazione. Per la nostra formazione storica ed estetica. Perché potessimo poi capire il senso delle scritture ideografiche e prima ancora pittografiche. Per capire il metodo di attribuzione della paternità delle opere d’arte secondo una indagine poliziesca a proposito dei particolari (di Holmes e Freud) le lucertole verde smeraldo di provenienza mediorientale sono state fondamentali.

I margini erano ricchi, era là che continuavano a passare i grilli e dove il falegname e il carpentiere lasciavano costantemente i chiodi lunghi un palmo che erano i più adatti per fare i pali della ferrovia nel terreno. I pali della ferrovia nel terreno furono a loro volta importanti per l’educazione sentimentale degli scioperanti. Il liceo ebbe là un fondamento di terra battuta e il sapore della tostatura dell’orzo. Le cose impopolari della povertà riescono a estrarre il coraggio di dire che finirà con noi la nostra storia. Non ha fuori un futuro. Ai lati di essa ci sono queste cose che ti racconto. Non è il futuro, sono solo parole affettuose. Non mi fido più, come sai, della tecnica della decifrazione della metafora attraverso una metafora successiva e più profonda ed arguta o più ampia e accogliente. Mi interessa la caducità. Il colore squillante del tempo. L’allegoria pittorica della vecchiaia delle cose, senza più la morte dell’idea di una certa bellezza. Di una certa ricerca. Che l’energia che sostiene il racconto non si inabissi nella presunzione di interpreti che non hanno fatto alcuna ricerca di base sulla natura del pensiero.

Che uso hai fatto delle cose che ti avevo dato? Che uso si fa del regalo della grazia della compagnia e della fiducia. Che uso si fa della piccola gioia dell’accordo che è di là che si svolta verso il Mare del Nord. Volevo essere e restare la bussola dei formidabili anni dell’innamoramento. Il nostro futuro che non è nel tempo là fuori è invece nella capacità di affermare che esso è questa chiavetta che muove l’automa. Le nostre parole sono scricchiolii del meccanismo adorante messo a punto da una mente davvero meticolosa. Realtà materiale di una massa a riposo che è energia se solo qualcuno vorrà usare la gentilezza di sollevare quei massi dal loro equilibrio disperatamente inerte e farli rotolare giù. Ma noi amore siamo luce fluttuante e la parola riposo e fermezza e equilibrio e fine non possono essere coniugate da noi. Non fa parte della natura della natura dell’energia del pensiero che non ha alcuna massa a riposo. Ora è il momento di questa voce. Ti regalo attraverso questa voce splendente la necessità di sapere la storia turpe dei castrati. Castrati perche potessero conservare la voce sottile e la fierezza di una ingenuità esasperata.

Ti regalo, senza sapere che uso ne farai, la ricerca su una infanzia fatta delirantemente e violentemente perdurare dalla lesione anatomica di una castrazione. Da un’attentato definitivo e irreparabile alla meravigliosa complessità dei nessi della sessualità che diveterebbe intelligenza differente per l’uomo e la donna se fosse lasciata svilupparsi come prassi di rapporto e pensiero memoria affetto nati nella relazione sessuale. Si costruivano così automi folli di acute grida poiché alla fine e per sempre avevano perduto la vitalità nello sfruttamento del vizio di un’arte sottomessa alla morale religiosa. Ai divieti alle donne di calcare le scene. Tu calchi la scena del mio apprezzamento da sempre. Chiodo e terra battuta e lucertole di smeraldo e orzo tostato. Momenti di una formazione che non si toglie più. Ma non c’è futuro al di fuori di noi. Non ci sarebbe un futuro di noi nel mondo che noi non fossimo più in grado di illuminare attraverso il nostro costante legame. L’annullamento della relazione viene operato lasciando il deserto.

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