mansarde


mansarde di luglio


Posted By on Giu 27, 2013

Mansarde

“Mansarde”
©claudiobadii
per
OPERAPRIMA

Bisogna tacere tacere nella confusione nel chiacchierare. Mi piace quel tuo silenzio. Dovrò mantenere questa posizione accanto a te e ai tuoi giri di fantasia rossi e bruni come i tetti. La mia stanza, che è me per quello che di me risulta, è surriscaldata in estate. In estate dunque devo riposarmi per il caldo eccessivo. ‘Devo’ non è una prescrizione morale, è solo clinica perché il calore eccessivo provocherebbe febbre e collasso. La pietà dell’obbligo del dovere si scontra con la scienza che assicura la sopravvivenza. Si è costretti a ‘pensare’ che l’indagine fisica debba effettuarsi in prossimità della velocità della luce dove la materia è piena di lacune. Fu di certo ingiusto che solo alcuni potessero averlo immaginato. Ma sarebbe stata più ancora ingiusta l’uguaglianza di una generale incomprensione. Che infatti non ci fu. Dunque un dio c’è ed è della discesa, della differenza, del chinarsi del grande al piccolo, dell’ineguale distribuzione delle qualità e dei valori. Un dio lo ‘sa’ che l’uguaglianza è ‘troppo’. Nell’eternità c’è questo dio che ha sempre saputo della costante deriva del differire. Dio è soggetto di frasi che predicano attributi e dio è ognuna di quelle frasi che si asseriscono, che affermano la propria legittimità, ma non si sentono in dovere di fornire giustificazioni in proposito. Alla fine della mia maturità e non prima, dopo comunque  un certo momento posto tempo fa, mi  risulta finalmente evidente che chiarire sarebbe per me venire incontro all’ottusità di menti poco dotate. I ‘non credenti’ o gli ‘infedeli’ dei tempi andati. Noi siamo a immagine e somiglianza di un dio orgoglioso e strafottente, immagino. E la definizione di una temporalità significativa quando scrivo ‘finalmente evidente’ è essa stessa ‘dio’ cioè frase, comprensione, limite, e anche giustizia -seppure una ingiusta giustizia, seppure una ineguale asimmetrica giustizia. Ho un dio asimmetrico, una giustizia incoerente dentro di me. Io sono la casa dei rifugiati: uno scrittore è l’ostello delle ore. Ho in me palestre per i giorni. Da me dormono in stanze ampie e fredde d’aria alpina eroi tisici. I pensieri che arrivano sono gli sputi degli ammalati: io sono una tela di Van Gogh e tutti sanno che il figlio del direttore del manicomio si servì dei dipinti per giocare con i sassi a sfondare la bellezza cui era sigillato il suo cuore. Non mi stupisce che l’inestetismo fosse peggiore delle filosofie idealiste. Qui fermo la mia mano su di te. Se mi ami inizierai tu a scivolare lenta. Non temo il veleno. Saprai amarmi se penso che, siccome la vita umana è imperfetta, necessitiamo tutti di un dio diseguale. 

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