mari e monti


il secondo giorno


Posted By on Gen 2, 2016

mari e monti fatti di tempo

mari e monti fatti di tempo

Ci accoglie, il secondo giorno, una pioggerella fina fina che ci infradicia progressivamente e senza che ce ne rendiamo conto. Dunque non fermiamo il cammino e però intanto i vestiti bagnati si scaldano al calore del corpo e cominciano a fumare.

Visti dal crinale siamo quei fumanti bozzoli scuri: o, semmai, i resti di un falò i cui tronchi hanno cominciato a camminare ed è questa, mormora il pastore, la nuova propagazione dell’umanità sulla terra. La transumanza di ogni anno nuovo. Che ‘nuovo’ è il dopo, quanto segue la festa, il rito, la segnalazione e il fuoco di avvistamento.

Ognuno di noi è, in questa scenografia dei risvegli rituali, un tizzone ardente del falò che si è acceso la sera precedente la notte prima del mattino in cui i naviganti dovettero partire, portando ognuno con sé il fuoco in forma di brace sulla cima di piccoli bastoni.

Una processione luminosa taglia il quadrilatero irregolare della pianura, con la diagonale delle traversate grandi e piccole di ogni epoca. Si ride con un riso sussultante e inquieto perché si ignora la misura di quello che sta arrivando. L’istante iniziale di ogni cosa è talmente piccolo e sfuggente che non sappiamo niente di quello che contiene e che sarà

Per questa faticosa ignoranza del futuro si era deciso di andare noi incontro al tempo e questo divenne transumanza perché era evidente che il tempo era  uno dei costituenti essenziali dei monti e dei mari.

Così si calmava il timore del domani ma si doveva sempre camminare traversando quei mari e quei monti: e l’unico momento mistico che i carovanieri grandi e piccoli si concedevano ogni tanto era l’osservazione del dondolìo ipnotico dell’apice bruciante dei rami tolti dai fuochi.

Questi bastoni arroventati sono stati i primi orologi. Il tempo veniva scomposto in frazioni uguali alle oscillazioni di quegli alberi infuocati. Di quelle lanterne povere. Eppure a quei lumi si vedeva bene rosso pulsante battere il cuore del viaggio: l’addensarsi della fatica nelle falcate dei nomadi.

Tutto quel camminare delle tribù di esseri umani migratori su strade assenti è il fondamento del pensiero collettivo e del primo accordo sociale.

Molto dopo, senza che ora noi si possa capire come e perché, venne il perdono e l’idea che il tempo si potesse misurare anche senza la fatica del cammino. Si arrestarono. Coi bastoni accesero nuovi fuochi. La mente svegliandosi dal rollio del viaggio cominciò a ricordare.

Il tempo del riposo che noi abbiamo adesso è coscienza: ma non ha precisamente la qualità del pensiero distratto, la qualità della coscienza del sogno, la gioia inconsapevole dell’ipnosi che allora stordiva la fatica rendendola sopportabile. Lo stato di stupore fluttuante di quel pensiero sottile che lottava contro il rischio costante della morte fisica.

I crinali di estenuazione sono stati l’unico baluardo dei popoli schiavi dell’ignoranza contro la loro estinzione. La tensione al limite dello scontro tra uomo e natura generava in tutti loro quotidianamente una coscienza fine sottile esangue e impalpabile e questa coscienza -attualmente a noi ignota- consentiva l’accesso di ognuno ad una vigilanza distratta.

Il pensiero derivante da quella coscienza e quella vigilanza svelò ben presto la costituzione atomica della realtà fisica. Noi, adesso, abbiamo queste due cose: la natura fisica della realtà umana, e la natura non umana dello spirito.

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