materia


accanimento dei timonieri


Posted By on Ott 4, 2016

04/10/2016

04/10/2016

Si accaniscono, i timonieri, chiedendo ossessivamente cos’è la coscienza. Le barche girano attorno al capo di buona speranza e sembrano farcela: ma è un’illusione perché la coscienza naufraga inseguendo se stessa.

Si vedono gusci oscillanti solcare l’oceano. Il mare d’acqua è materia e l’oceano d’aria è energia. Galleggia galleggia si va, ma a babordo l’onda dell’atto di avere coscienza di sé si impenna e la barca sparisce.

Dove si toccano energia e materia è curva di orizzonte marino: in qualsiasi istante lungo quella linea le giovani chiglie possono svaporare in aeree trasparenze.

Io sono diventato formica. Ora appartengo a questo popolo di frontiera. Camminiamo in processione. Svolgiamo il lavoro dividendo la fatica complessiva in frammenti sostenibili.

Relitti di domande improprie vengono smontati in frammenti. Una singola formica è il granello di sabbia di una clessidra che esercita sulle cose l’azione del tempo.

Ci vogliono anni per capire. Decenni per curare un pensiero malato. Le formiche suggeriscono che la coscienza non ha nessuna possibilità di autorizzarsi da sé.

L’origine materiale della vita mentale è una foglia lucente. La coscienza è una farfalla stralunata di leggerezza appena deposto il peso dell’inchiesta sulla propria natura. Che è di non riuscire a sostenersi coi suoi soli mezzi.

Allora la coscienza si spegne. Si getta nel fuoco. Quando rinuncia alla propria sostenibilità ultima il pensiero se la riprende. La vita mentale assorbe l’ombra del gabbiano nella schiuma dell’elica della nave.

Dove si toccano biologia e pensiero è la curva di orizzonte tra sonno e veglia: in qualsiasi istante lungo quella linea la veglia e il sogno si alternano svaporando.

In trasparenze celestiali siamo e restiamo: formiche in fila e processione di gusci di nave oscillanti. Tutto accade lungo la linea che separa scoperte provvisorie in relazione a materia ed energia.

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materia attiva


Posted By on Mag 28, 2016

“Quali insegnamenti filosofici si possono trarre dalle recenti scoperte nella fisica? La principale lezione che si è appresa è che la natura è complicata, non è un semplice universo materiale. Einstein sperava di trovare un universo che possedesse ciò che lui chiamava realtà oggettiva, un universo pieno di picchi montuosi che lui potesse circoscrivere con un insieme finito di equazioni. La natura, è risultato, non vive in cima alle montagne, ma nelle valli. Ho ascoltato recentemente una conferenza di un famoso biologo: ha parlato di due punti di vista filosofici che lui chiamava materialismo scientifico e trascendentalismo religioso concludendo che se si va in fondo alla questione, essi sono incompatibili e l’uno esclude l’altro. Questo è un punto di vista largamente accettato sia dai biologi sia dai cristiani fondamentalisti. Io non lo condivido. Non so cosa significa la parola fondamentalismo: parlando come fisico ritengo che questo concetto sia impreciso e piuttosto superato: per dirla in parole povere la materia è il modo come si comportano le particelle quando un buon numero di esse si accumula insieme. Quando esaminiamo la materia nei minimi particolari (negli esperimenti della fisica delle particelle) vediamo che si comporta come un agente attivo piuttosto che come una sostanza inerte. Le sue azioni non sono prevedibili in modo deterministico: come se si potessero effettuare scelte arbitrarie tra possibilità alternative. Tra la materia come noi la osserviamo in laboratorio e la mente come la osserviamo dentro noi stessi sembra esserci solo una differenza nel grado di complessità anziché di qualità. Se dio esiste, ed è accessibile a noi, la sua mente e le nostre possono a loro volta differire l’una dalle altre in complessità e non in qualità. Noi stiamo, in un certo senso, a metà strada tra l’imprevedibilità della materia e l’imprevedibilità di dio. Le nostre menti possono ricevere impulsi sia dalla materia sia da dio. Questo concetto della nostra posizione nel cosmo può non essere vero, ma ha per lo meno una coerenza logica, ed è compatibile con la natura attiva della materia come viene rivelata negli esperimenti della fisica moderna. Quindi, parlando da fisico, materialismo scientifico e trascendentalismo religioso non sono incompatibili e neppure si escludono a vicenda: abbiamo imparato che la materia ha qualcosa di misterioso abbastanza da far sì che non vi siano limiti alla libertà di dio.” (Tullio Regge)

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Di nuovo, la sera, restiamo silenziosi, con la testa reclinata. Diversamente da prima. Ora è segno di dedizione all’intimità nel buio. Immaginarsi figure di un quadro, simili o uguali a certe meraviglie che si erano viste e sono rimaste importanti. Quelle opere d’arte agiscono inconsciamente trasformandoci in capolavori. Le giornate sono colazioni sull’erba. Basta poco. I papaveri laccati, centinaia di unghie rosse, fioriscono sul ciglio del sentiero. Se mi lascio andare mi rendo conto di non capire la norma. Forse è una natura che mi impedisce di ‘accettare’ le cose come sono.

Avevo letto “realtà non materiale”. E le parole facevano venire alla mente la figura singola di un capolavoro. La serie di suoni, che compongono la locuzione “realtà non materiale”, è rimasta una persistente allusione. Un’icona e anche un fantasma. Adesso è evidente il vuoto che nasconde. Sono passati quarant’anni. La letteratura scientifica, scaturita dalla scoperta della vitalità del feto alla nascita, contiene la definizione di ‘realtà non materiale’ a proposito della natura del pensiero umano. Ma la definizione è confusa e incoerente, sebbene sia opinione di ‘tutti’ che incoerenze, in essa teoria, non vi siano ‘possibili’.

Così siamo rimasti silenziosi per anni. I volti accostati. In segno di riconoscenza della genialità. Senza capire che quella compostezza, uguale alle composizioni della maestà delle figure in un quadro, era solo apparente e copriva un terrore. La “realtà non materiale”, innominabile altrimenti, rimane un muro d’ombra. Agita inconsciamente. L’incoerenza, non criticabile, un’icona o un fantasma ma non più opera d’arte, fa la calma opaca della paura. “Perderai tutto. Rimarrai solo. Non sarai più riconoscibile”.

Ma il corpo ha fatto un movimento. La scoperta della vitalità ha consentito di uscire dalla casa del padre senza pensare. È stato facile affermare che, se la vita mentale ha origine materiale, allora la “realtà non materiale” ha natura fisica. Il pensiero, nato nella realtà fisica della biologia cerebrale, resta nell’ambito della anatomia endocranica, poiché è funzione incessante della attività mentale. È realtà umana che non necessita di alcun attributo ulteriore.

Forse fu la lotta contro il materialismo marxista, che costrinse a pagare un prezzo eccessivo, per il timore che si potesse lasciare in dubbio l’umanità del pensiero: si volle tentare un modo di indicarlo senza alcuna ambiguità. Ma le due parole: REALTÀ e MATERIA, avevano subìto, nella riflessione filosofica e medica, una degenerazione semantica. Nessuno si accorse che “realtà non materiale”, nel tentativo di definire una “qualità di natura” del proprio ‘oggetto’, andava a riproporre il dubbio della “esistenza” dell’ ‘oggetto’ medesimo.

Purtroppo, nella realtà della vita psichica dei ricercatori, una incoerenza terminologica che in poesia sarebbe forse un auspicabile paradosso, non inclina al sublime ma all’inerzia. La scienza implica una chiarezza tanto esasperata da essere criticabile anche dai più pazienti degli artisti.

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