mondo


il mondo nuovo


Posted By on Apr 16, 2017

Americhe

Possiamo non smettere più. L’attrice ha un aliena in valigia. Io avevo sogni nelle mani. Non stringevo più a me né l’amore di dieci anni né l’ansioso terrore del fallimento. I pugni s’erano disserrati. Evidentemente ero riuscito a lasciar andare i sospetti di non essere degno d’amore. Era evidente si miei occhi di nuovo azzurri che per venti anni ero diventato una prigione. Che i miei pensieri li avevo messi in fila come le sbarre di Alcatraz. Il segreto svelato della possibilità di poesia ininterrotta delle interpretazioni dei sogni fu la chiave della prigione. Non ci fu, poi, più nessuna fatica nel lavoro. L’ideazione pre-verbale non precipitò mai più nell’orgia figurativa.

Si può abbracciarti senza desiderio. Perché la tua pelle mi persuade a lasciar scorrere carezze di pensieri inavvertiti. È Giotto che sancisce il confine. La prospettiva, accennata, che prelude a trasformazioni di figure piane verso bassorilievi. I volti ieratici tutti identici si agitano sulle assi di legno delle caravelle.

Mormora l’onda di una ciurma che esprime mimiche soggettive impreviste. Il mondo dei volti si anima. È la caravella di Colombo il beccheggio della storia: un movimento mimico che si impadronisce dei volti dei santi sui fogli piani delle pareti affrescate. L’idea di movimento connette le figure in un simbolismo corale. Sotto la volta delle antiche chiese si muovono figure che nascondono la certezza della creatività umana. Il cielo delle stelle fisse trema sotto il soffio divino di artisti duecenteschi. La scienza del telescopio arriverà dopo. Pavida e monca.

Sarebbe bastato capire che un cambio di prospettiva, portando il movimento dei sentimenti sui volti dei santi, figurava l’idea di un mondo nuovo.

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Senti la ‘Musica notturna di Madrid‘ di Boccherini e scopri che non esiste incompatibilità di tempo nel campo delle armonie sentimentali. Vedo code di cometa sopra la nuca delle donne. Ci saranno state a scivolare scarpette ricamate e piedi nudi quelle notti. I tempi lento, mesto, maestoso, allegretto, vivace, presto sono le invocazioni esecutive di quelle maestre d’orchestra. Maestranze maschili seguono o fuggono sguardi di invito e proibizione sulla piazza della crudeltà d’amore. La chiarità danzante in notte ampia. La rete sensibile tira su note corrispondenti. Oggi si chiude il cerchio, durante l’ascolto della notorietà.

“Quando si chiude il cerchio tra la premessa teorica e la conferma scientifica?” ci siamo chiesti stasera. “Si dovrà avere una lavagna per scrivere le parole della ricerca quando si presentasse una variazione: per misurarla e per inferenza cogliere la verità: il passaggio di eserciti di particelle attraverso i nostri corpi inconsapevoli.”

Gli ultimi quarant’anni sono stati sprecati e se si vuole ristabilire la continuità si torna agli estremi giorni del 1972. “Istinto Di Morte E Conoscenza”(*)  è una “premessa teorica”. Quarantatre anni sono la musica notturna nelle strade di Madrid. Ma il primo ‘giro’ dello svolgimento non si è chiuso perché, non essendosi trovata l’unanimità attorno ad una conferma scientifica, non possiamo godere un’ascolto di piacere condiviso. Le affermazioni sulle due forme di pensiero: del feto nell’utero e del bambino dopo il parto, non sono state accettate dal mondo accademico. Non lo saranno finché la ricerca neurofisiologica non avrà individuato la funzione primaria alla nascita: che trasforma l’attività mentale del feto, che riflette un equilibrio esclusivamente energetico, nella capacità, del neonato, di sostenere il rapporto col mondo esterno freddo rumoroso e frammentario. L’io del neonato è in grado di immaginare l’esistenza di una realtà umana fuori di sé in opposizione al mondo. L’io dev’essere(**) in quanto è in grado di ristabilire l’omeostasi ‘impossibile’ tra soggettività-unicità del singolo essere umano e:

-1) l’impegnativa vicenda del parto

-2) la fredda insensata frammentarietà del mondo materiale.

Di umanità, nascendo, non si ottiene conforto: non un’esperienza che si sia mai avuta in precedenza.

“Ed allora” – si disse – ” la si realizza come forma immediata di pensiero durante il parto come dire che l’io si autorizza subito da se stesso per sua natura: all’origine, prima del latte della madre e prima dell’acqua del battesimo del sacerdote”.

Così nel 1972 la scoperta proponeva la vitalità riferendosi a una funzione cerebrale nuova. Non, come d’uso, per riferirsi ad azioni di forza muscolare. Si diceva: “Deve(**) esserci una attività generale diffusa e specifica della corteccia cerebrale umana che sviluppa le forme successive di creazioni immediate e imprevedibili, di strumenti per vivere. E poi il superfluo: che smentisce il riposo, il contentarsi.”

Vitalità è una carezza elettrica che deposita una mantiglia sulle circonvoluzioni cerebrali e rimane dalla nascita per sempre(***).

Fu, suggerisce la licenza poetica, la proposizione di far intendere in modo del tutto nuovo una parola antica, senza sapere quanto tempo sarebbe stato necessario per verificare la veridicità della proposizione.

Le definizioni che ne sono scaturite sono numerosissime e incalzanti e la funzione non si mostra mai in modo lineare. Non vale, per le manifestazioni già innumerevoli della vitalità, il principio della fisica classica di ‘realtà locale’. Essa non è mai una volta per tutte in un unico luogo.

È opulenza agile e insonne che non si ferma e dovrà essere trovata, come il bosone di Higgs, attraverso la misura di tutto ciò cui ha dato luogo. È una dannata funzione fondamentale! Che impegna migliaia di psichiatri in definizioni progressivamente migliori e più puntuali della scoperta della cosa nuova della quale si era ipotizzata l’esistenza necessaria  con esperimenti di pensiero (speculazioni) a partire dalle forme di una realtà umana ancora paradossale e sconosciuta.

Forse provocherà qualche sentimento di disdetta  l’eventuale conferma definitiva che quella famigerata funzione esiste.  Sarà un tragico trionfo per la antropologia corrente, quando si traccerà, negli Istituti Superiori Di Ricerca, l’evidenza della funzione che consente (e corrisponde a) l’origine dell’io neonatale.

Per adesso si tratta di insistere a ridefinire per avvicinarsi.

“Essere al mondo”

La frase va pronunciata lentamente, con premurosa attenzione, dando aria agli spazi tra le parole, guardando nella mente succedersi i passi dei componenti il quintetto d’archi mentre percorrono simultaneamente, con medesimo aggraziata danza, strade differenti, verso una stessa piazza.

Non è sùbito (oggi) il momento della musica piena.

note:

* (di Massimo Fagioli)

**(è un ‘dovere‘ inteso per inferenza: una esistenza ‘necessaria)

*** (non sempre, purtroppo, perché l’invidia è una attività contraria che aggredisce tutte le forme di originalità.)

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