monologhi


nuove commedie ancora


Posted By on Mag 20, 2017

Napoli 18 maggio 2017

Il faro inaugura il giro del fantastico. L’irruzione. L’eccesso. Le lacrime. Le performance. Le Primavere. L’irruzione luminosa di inciampi e imprevisti. Le Disperazioni. Gli Amori traversi. I Ladri che governano le case che derubano. Vecchi e ragazzi. Gli Sbagli. I Festival. Gli Alisei correnti da levante. I Monsoni alterni. Le Lune in ogni forma. Il cielo senza luna. Le coppe di acqua marina. Le mani sui fianchi dei ragazzi agli angoli di strada. I muri alti che si carezzano con le nocche delle dita. Il faro ordina dove debba piegarsi la curva elettromagnetica del ricordo. Detta il tempo alle sinapsi in corsa.

Attorno al fianco continentale del promontorio si compie il passaggio che trova espressione nella fiaba e sfida le categorie di vero, verosimile e irreale. Si tratta di una svolta improvvisa. Ipotetico, possibile, plausibile: applicato a quanto, girando, cambia  la meteorologia dei sentimenti.

Sono passati due anni dal novembre 2015 quando scrivevo parole di un monologo inventando il punto attorno a cui muovere i passi: il faro. Poi -tradito dalla seduzione della voce di donna che chiedeva “dammi le parole della mia opposizione”- mettevo in una valigia il desiderio e la necessità del tempo necessario per essere all’altezza del mio transitorio coraggio.

Oggi sono un uomo cambiato e così esco dall’incubazione di 18 mesi e ti parlo, donna di allora, come fossi qui.

“Tu sei la donna cui non dirò che l’amo. Per proteggerti dalla caduta di passione cui il suono di certe parole conduce le cose della mente che quelle parole designano nel linguaggio muto del pensiero verbale cosciente. Tu sei stata mandata via da me. Lontana. In salvo. A te tendo le braccia e mi vedranno camminare strano. Mi vedranno dirigermi. Chi si dirige cammina differente da tutti. Tu sarai l’identità assoluta: non perché sciolta dalle cose, ma perché terrai nelle mani il filo della vita che non si rompe. E mi si vedrà venire da te nel vivere. Non temerò alcun male. E potrò guardare, oltre le spalle di chi mi abbraccia, il suo passato in cui il mio futuro riposerà come la chiglia di una barca sul mare. E ciò che sono stato accoglierà la sua speranza d’amore eterno perché il tempo passato ad aspettare ha la qualità della competenza sentimentale. In questa valigia si determinarono le infinite combinazioni cui miliardi di fattori, le percezioni inarrestabili, davano vita nel buio costruendo ragnatele di migliaia di sinapsi reciproche. Nella valigia lascio un filo ritorto che tenne, da un capo, l’amo dei pescatori infisso nel cuore di una tra molte possibilità e che, all’altro capo, si offrì alla mia mano e prendendomi il palmo mi costrinse alla responsabilità della scrittura. Oggi si è liberata la mano e posso esprimere una volontà più forte: un volere del pensiero che interrompe la scrittura perché io torni ad essere libero di muovermi per amare chi amo e insieme cambiare la realtà che ci circonda e che non ci piace più.”

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porte girevoli (monologo 5)


Posted By on Nov 29, 2015

Il maschio/donna è all’entrata. Sul cerchio dell’ingresso. Entrare e uscire sono simultanei. L’uomo è uguale a te e opposto alla tua assenza. Non faccio in tempo a innamorarmi. lo amo.

La sua mano si spinge in luoghi di confine. Io sono quel margine consistente e continuamente mutato. Ma mi accordo alla diplomazia dei trattati di pace. Mi viene in mente, all’opposto di quegli accordi d’intesa, lo sproposito che le balene hanno abitudini riproduttive di grande intensità.

Dico qualche no di indecente debolezza. In stato di esaltata coscienza abolisco la volontà e il movimento. Il mio viso sulla sua spalla è la mia vita intera: l’unico pensiero cosciente ed esatto di me con lui accanto. La luce e il mio grido sono il confine. È la vita umana negli istanti d’amore prima del sesso.

Sulla frontiera di visioni e di voci aspetto l’ulteriore pretesa.

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monologo 3


Posted By on Nov 24, 2015

Nel dormire al Grand’Hotel la notte del primo giorno ho avuto un sogno di celluloide: splatter né più né meno. Sangue e spade iperrealisti. Libera associazione: sangue/prime mestruazioni. Avrò avuto dodici anni e il margine di quel giorno è affilato come una spada. E i giorni successivi, finché il sangue durò, furono una pellicola di celluloide tagliente.

Sangue vivo: “Oh mamma!”. E mamma dice: “Devi abbracciare la giustizia e il piacere”. Immagina cosa avrò capito io! Però sono cose che rimangono. Ogni mese quei giorni mi dico che dovrei aver imparato a tenere insieme giustizia e piacere. E oggi mi dico di tenermi la voglia in tua assenza.

Nel sogno impugnavi la spada che stava nel mio cuore. Al risveglio non mi capacitavo. “Perché non me lo sono dimenticato subito, senza tirarmi addosso quella cattiveria che involontariamente gli ho addebitato?” Belavo. Ma mi è rimasto in mente lo stesso, come una cosa che non ho voluto e mi fa soffrire. Troppo piacere è ingiustizia.

La voglia di te che hai messo in me si tende tra l’albergo e la spiaggia. La banchina che porta al faro è il letto di un gigante. La dimensione dei sentimenti è fuori misura. Il mare rende plausibile la mitologia. Non pericolosi gli amori. La femmina creata dal fianco del maschio consente maschi/donna e femmine/uomo. Che è quello che siamo noi: da cui la grande voglia.

Su pietre acqua e conchiglie mi muovo fino al faro. È un titano di cemento e vernice lucida. È lui il maschio/donna: in esso il genere sostiene la grazia. Il dio Oceano mi costruisce un corpo di cemento e acqua salata di femmina/uomo: perché il genere sostenga la forza.

Ti tornerò cambiata. Riconoscente. E con conchiglie taglienti alle orecchie, in ricordo del sangue.

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monologo (2)


Posted By on Nov 21, 2015

Ho preso un aeroplano. Per arrivare qua. Mi ci sono aggrappata. Ho afferrato quella bizzarra specie di anfibio d’acciaio. Quella torreggiante balena volante. Immagina, me, inerme. Piena di passione per dove ero andata a cacciarmi. Lo stordimento nel fare cose più grandi di me. Le mani in tasca del soprabito. Il biglietto tra le dita come una carta di caramelle. Nel soprabito color glicine una siepe di primavera, ero! Gli occhi al cielo che faceva da sfondo al pesce-aeroplano: precisamente una specie di balena maschio  d’acciaio leggero. E il cielo che era il volto amato di un padre e di una madre. Immagina una donna adulta che scopre la risorsa d’amore dei legami primari da aggiungere ai precedenti modi di amarti.

C’è stato un tempo nel quale la fiducia era proporzionale alla differenza delle altezze. E potrebbe tornare.

Pensami mentre mi innamoro della mia perturbante inermità. E non si notava niente: il pensiero come la vita segreta delle balene nel buio luminescente dei fondali marini.

Si vedeva solo me ai piedi della scaletta di prua. Non si vedeva che stringevo la carta d’imbarco nella tasca del soprabito. Non si vedeva la ragazzina con la carta di caramella in mano all’ombra della grande balena anfibia che sa anche volare.

Si possono solo immaginare: una balena capace di grandi balzi che guizzando scuote la confezione azzurra di un cielo da cartolina; la pista al petrolio dell’aeroporto che è un mare senza nuvole. Non si poteva sapere quanto io mi sentissi piena di risorse. Cresciuta abbastanza da essere pronta per la distanza e per la solitudine. Una sposa bambina assorta nel suo futuro di regina.

Poi siamo saliti in aria. Ti ho raccontato.

Ora sono al Grande Albergo Del Capitano di fronte alla piazza girevole dell’ingresso. Nel ventre della balena ho vissuto l’esperienza sessuale del volo. Allo schiocco delle ruote sulla pista amore sesso e pensiero si sono fusi restando inseparabili. Come precipitazioni atmosferiche improvvise sesso amore e pensiero sono scesi sui campi e le città.

La voglia di scriverti ha assunto la natura di una nevicata nelle sfere di cristallo per turisti. Una cosa improvvisa estenuante disordinata silenziosa su un mondo inalterabile.

L’amore non è fedeltà. È natura.

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monologo


Posted By on Nov 20, 2015

Grande Hotel Atlantique. La Stazione Centrale. Poi il faro. Roccioso grande lungimirante. Di notte fin dove il faro abbraccia è la salvezza. Come l’intelligenza nella confusione. La notte sul mare il buio ricrea la preistoria. Come il faro fa girare la sua lanterna elettrica io muovo le mani con trepidazione. Con l’amore femminile quando carezza le coperta sui letti appena rifatti. Sei ampio da avvolgere e molto di quello che sei si spinge oltre me.

Grand’Hotel del Mare. Di fronte all’enorme porta girevole. Si vede l’oceano oltre la strada. Cerco di guardare con i tuoi occhi. Dentro la tua testa mi illudo di seguire il disegno delle mie parole che si sviluppa nella mente. Un discorso di testa. Irrazionale. Spirituale. Libero. La pancia potesse fare a modo suo direbbe ‘mangialo senza amore’. La pancia pensa ‘ti piace dunque prenditelo’. Una logica stringente, invidiabile.

Grand’Hotel del Mare. Edificio in pietre grandi che guarda l’Atlantico. Grand’Hotel Atlantico non lontano dalla Stazione Centrale. La Stazione Centrale ha marciapiedi affollati. L’anima è libera e io non lo sono. I treni hanno tutti la medesima destinazione. Partono tutti per venire da te. E non dico di più.

Non avessimo l’anima saremmo liberi. Ho pensato il Grande Albergo del Mare e la Grande Stazione Centrale. Li ho pensati per te. Chi scrive è donna. In quanto donna non è un caso che sia io a scrivere a te.

Il gabbiano è comparso altissimo nel mare di vento. Un gesto teatrale che ti ha rivelato nudo per me quando ho guardato le ali fluttuare. Ero sopra di te con le mie braccia pronte a tutto. A non negarti nulla. Chi scrive è sempre donna. E non è un caso che apra le braccia per poter scrivere davvero. L’amore è un grande edificio, una stazione, una torre di guardia che perlustra il mare. Non finirei mai di volgermi dalla tua parte ad esplorare. O fare luce intorno.

Stare con te a torto o a ragione. Come i sassi della costa l’amore tra me e te non è fedeltà. È natura. Mi dilungo a seguire il gabbiano che è muta leggerezza della vita insieme. I passi ad ali spiegate sul mare d’acqua dolce del soggiorno. Quando si resta nel cielo del sabato sopra la prateria di disegni preistorici del tappeto di lana. Fino a che il sonno ci benedice, goccia a goccia.

Mi hanno assegnato il seggiolino che guarda l’ala dell’aereo. Ho potuto seguire le inclinazioni variabili delle ali durante le fasi decisive. L’economia dell’ingegneria meccanica alare. È la misura che conserva l’amore. Il cielo nel salire mi ha schiacciata a lungo contro la spalliera. Finché non si è stancato, ho pensato, come è con te. Dopo le ore di volo ho vissuto l’attrazione opposta. L’attrazione ‘terrestre’. Il corpo si è precipitato mio malgrado in avanti. La vita appesa a un filo. L’attrazione è gravità.

Le cose di tutti i giorni sono immerse nell’ambra grigia del desiderio fisico di te. Vedimi come una balena. Non così intelligente da tenere distanti corpo e anima nell’erotismo del decollo e dell’atterraggio. L’aereo è il maschio anfibio volante. La balena solo memoria e desiderio oceanico lassù, sola senza te. Il grido di piacere in gola dovesse prorompere avrebbe l’impudenza del naufragio. Ho cercato ‘distrattamente’ il braccio del mio vicino.

Le persone mi diventano indispensabili. Il desiderio di te mi causa rossori e impazienze. Sola senza te. La pudicizia stravolta dal ricordo. Appesa a un filo. Un grido di piacere in gola. Col rischio di cadere. Chi scrive è donna. Alla fine tenterà ogni volta di escludere il sublime. Per me ottomila metri sopra il mare erano un abisso di voglia.

La pancia potesse fare a modo suo direbbe ‘mangialo senza amore’. La pancia pensa ‘Ti piace. Prendilo’. Una logica stringente, invidiabile. L’anima mia gode di te tuo malgrado. L’anima che non è libera mi consiglia di levarmi la fame di te anche in tua assenza. Non perché averti fisicamente potrebbe essere un’illusione. È che tanto sei ampio da avvolgere che in ogni caso molto di quello che sei si spinge oltre me. So guardarti da ogni distanza.

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